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 2009  ottobre 20 Martedì calendario

L’ESERCITO DEI LAVORI INSTABILI


Sono 3 milioni 600 mila: negli ultimi 5 anni 700 mila in più

ROMA - Oggi sì, domani chissà, con un lavoro instabile che spesso rende instabile anche la vita. Quello che ieri il ministro Tremonti ha recitato - l´elogio al posto fisso - 3 milioni e 600 mila italiani se lo sognano tutti i giorni. La stragrande maggioranza di loro non ha scelto quel contratto a tempo determinato o quella collaborazione che, in qualche modo, garantisce lo stipendio a fine mese. Non vorrebbe che in fondo al modulo firmato al momento dell´assunzione ci fosse una data di scadenza. Ma al di là dei desideri, trovare un nuovo lavoro a tempo indeterminato resta una rarità, tanto più in tempo di crisi.
I precari in Italia sono tanti, rappresentano il 15 per cento degli occupati, spesso sono giovani, ancora più spesso donne, con un titolo di studio che non supera il diploma. L´unica discriminante che manca è quella territoriale visto che - segnala uno studio dell´Ires-Cgil - la popolazione degli «instabili» è sparpagliata su tutto il territorio con una lieve prevalenza del Nord rispetto al Sud (anche perché nel Mezzogiorno, spesso, si rinuncia a cercare lavoro e si finisce per ingrossare le file degli «inattivi»).
Per il resto l´esercito dei «oggi sì, domani chissà» è composto da un buon 15 per cento di parasubordinati (ovvero titolari di una collaborazione esclusiva o prevalente) e quasi un 20 per cento di dipendenti che il lavoro lo ha perso da meno di un anno ed è alla frenetica ricerca di un nuovo posto. Trovarlo non sarà facile, specialmente per gli over 45 (il 17 per cento ci mette oltre tre anni).
Dal 2004 ad oggi i lavoratori instabili sono aumentati di 700 mila unità, ma la fascia è in continuo movimento, visto che la flessibilità non è solo in uscita, ma anche in entrata. Solo il 23 per cento delle assunzioni effettuate fra il gennaio 2008 e gennaio 2009, precisa una indagine della Uil, si è concretizzata in un contratto a tempo indeterminato. E quando il lavoro è precario fare il salto è un terno al lotto: dei rapporti avviati, segnala lo stesso studio, solo il 3 per cento si stabilizza (al Sud l´1,7) emancipandosi da «un abuso di forme di lavoro deboli».
Quanto all´uscita, se l´azienda deve licenziare, preferisce privarsi del collaboratore a «scadenza» che del lavoratore esperto. Gli ultimi dati Istat (secondo trimestre di quest´anno) segnalano «il forte calo dei dipendenti a termine (229 mila posti) e dei co.co.co (65 mila)». Per questo - spiega Claudio Treves coordinatore delle politiche del lavoro per la Cgil - si può cadere nel «tranello» dell´effetto statistico che vede crescere il peso del lavoro fisso rispetto a quello instabile. «In realtà - commenta - ciò è dovuto solo agli effetti della crisi che si abbattono in maniera più forte proprio sui lavoratori giovani e precari».
Una forte quota di lavoro instabile agisce infatti da moltiplicatore quando il mercato del lavoro è in crisi: lo dimostra la Spagna di Zapatero dove, grazie ad una percentuale di lavoro a tempo determinato superiore al 33 per cento, oggi c´è un tasso di disoccupazione doppio rispetto a quello degli altri paesi europei (il 18 per cento contro una media del 9,5 nei paesi della zona euro).