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 2009  ottobre 20 Martedì calendario

L’Italia senza identità non crede nei classici- Oggi manca una chiave per riproporli ai lettori Le antiche collane incarnavano lo spirito nazionale La vita editoriale dei classici italiani coin­cide, nelle sue tappe essenziali, con gli snodi storici del nostro Paese e dello spirito unitario, delegato alla letteratu­ra come tradizione privilegiata di identità

L’Italia senza identità non crede nei classici- Oggi manca una chiave per riproporli ai lettori Le antiche collane incarnavano lo spirito nazionale La vita editoriale dei classici italiani coin­cide, nelle sue tappe essenziali, con gli snodi storici del nostro Paese e dello spirito unitario, delegato alla letteratu­ra come tradizione privilegiata di identità. La madre di tutte le collane, la Biblioteca Naziona­le, fu avviata da Le Monnier già nel 1843, prece­duta dall’iniziativa pionieristica di Giuseppe Pomba, che sin dal 1818 aveva iniziato, sotto il marchio Utet, la pubblicazione di un corpus di tutti gli scrittori latini dell’età classica che nel se­condo dopoguerra avrebbe figliato, con la cop­pia Neri-Fubini, la serie «verde» degli italiani. Ri­manendo agli italiani, nel 1885 Carducci aveva inaugurato una Biblioteca scolastica per la San­soni e nel 1910 Croce arrivò a progettare un colos­sale piano di 660 volumi per gli Scrittori d’Italia Laterza. Poi, in epoca fascista nacquero, sempre come strumento di rivendicazione dell’identità nazionale, i Classici Mondadori diretti da France­sco Flora. Quattro anni dopo, nel 1939, Leone Ginzburg avrebbe affidato al suo maestro, il filo­logo Santorre Debenedetti, i Classici Italiani An­notati di Einaudi. Che cosa rimane oggi di tutto questo fervore per veri e propri progetti unitari e a loro modo monumentali, volti alla formazione di un pubbli­co colto? Ben poco. Chiusi i Classici Mondadori (che nel frattempo erano passati nelle mani di Dante Isella), chiusa nel 1987 la collezione di Cro­ce con il volume 287, chiuse le due creature di Carlo Muscetta (Parnaso Italiano Einaudi e Bi­blioteca Feltrinelli), chiusa la gloriosa Utet dopo l’assorbimento nel gruppo De Agostini. Scom­parsa nel nulla, dopo il passaggio da Einaudi al­la Treccani, la Ricciardi, che sotto l’impulso di un banchiere illuminato come Raffaele Mattioli doveva, con i suoi «mattoni», andare a formare un muro nella cultura del Paese; passata come una meteora l’ammirevole iniziativa anni Novan­ta di Giunti; dissolte altre gloriose collane, dalla Zanichelli alla Sansoni, dalla Rizzoli alla Mursia, dalla Marzorati alla notevole Spiga garzantiana (sede delle opere di Gadda curate da Isella), alle recenti einaudiane (abbandonata la Nue di Bolla­ti, estinta la Pléiade, che negli anni scorsi aveva proposto ottime edizioni di Pavese, Fenoglio, Ma­chiavelli, Foscolo, De Sanctis). Rimangono in vi­ta, tra le collezioni di italiani con pretese scienti­fiche, i Classici Annotati, che dalla direzione di Contini sono passati a Cesare Segre (ultimo volu­me è quello dei Poemi conviviali di Pascoli, cura­ti da Giuseppe Nava), le pregevoli serie di Novel­lieri e di Testi e documenti della Salerno, gli Scrittori italiani della Fondazione Bembo, ma con uscite piuttosto diradate. Con formule miste (italiani e stranieri) rimangono gli Adelphi (spes­so con proposte filologiche notevoli, quali i Com­mentari di Enea Silvio Piccolomini o le opere di Giordano Bruno), sopravvivono anche i Millenni Einaudi dove Pavese, sin dalle origini, non volle privilegiare gli italiani (che di recente sembrano però meglio assortiti: con Brunetto Latini, Gio­vio, gli Uomini illustri di Petrarca e, ultimissimi, i Canti popolari di Costantino Nigra). La collana di classici indubbiamente più im­portante di cui dispone l’editoria italiana (e con tirature a volte miracolose) è quella, per quanto diseguale, dei Meridiani Mondadori, che que­st’anno, sotto la direzione di Renata Colorni, fe­steggia il suo quarantennale, sempre più rivolta però verso la contemporaneità (ultimi nati: Un­garetti, Bobbio, Ottieri, Arbasino), con la felice eccezione recente dei Poeti siciliani. Da aggiun­gere che i Meridiani, imboccata con decisione la strada del Novecento, hanno scelto anche di rac­cogliere in volume autori bestseller come An­drea Camilleri. Sul Novecento, altre imprese me­ritano di essere segnalate, come la collana Bom­piani, attestata perlopiù sui nomi della casa (Mo­ravia, Sciascia, Alvaro, Bufalino, Testori). Detto ciò, nel complesso è come se l’editoria italiana non credesse più nei suoi classici, ab­bandonando ogni disegno organico coerente e intenso di proposte e riproposte e riletture, pro­babilmente schiacciata dall’esigenza di esibire sul mercato numeri congrui. Certo, è pur vero che la fase risorgimentale e neorisorgimentale si è esaurita da tempo, e con essa è andata in archivio l’esigenza di promuovere la classicità letteraria antica e moderna come bandiera iden­titaria. pur vero che dal dopoguerra ha preval­so giustamente un’apertura internazionale (non solo europea) proiettata sulla contemporaneità, ma in anni come questi, in cui l’unità è ritornata sul tavolo delle discussioni politico-culturali, nessun editore ha sentito il bisogno di riprende­re con coerenza quel filone dall’evidente signifi­cato civile (e lasciamo da parte, per carità di pa­tria, il tasto eternamente dolente delle vere e proprie Edizioni Nazionali, spesso impantanate nelle lentezze burocratico-amministrative mini­steriali). Insomma, se è provato che la tradizio­ne editoriale dei classici italiani emerge nei momenti di crisi, risulta ancor più curiosa la presso­ché totale latitanza attuale, specie se si aggiunge che siamo in prossimità di un centocinquantesi­mo particolarmente agitato. Molto più ricco, ma insieme più volatile sul piano della qualità, è il versante dei tascabili. E qui va inserita una parentesi spesso dolorosa: la circolazione dei classici è affidata per lo più in Italia a indispensabili edizioni critiche ad uso de­gli studiosi (la tradizione filologica italiana resta per fortuna tra le migliori) oppure alle edizioni cosiddette d’uso, relegate soprattutto nei tascabi­li, con prezzi accessibili ma non sempre con cri­teri sufficientemente affidabili. Non sono rari i casi in cui ci si limita ad affidare l’attualizzazione dei capolavori del passato all’ingegno creativo di un più o meno giovane scrittore, senza ulteriori scrupoli testuali, critici, bio-bibliografici o stori­ci. Sicché al rischio di barbose introduzioni pro­venienti dal mondo accademico si cerca di ovvia­re con elucubrazioni soggettive e divagatorie, a commenti storico-linguistici troppo diffusi e pre­varicanti si rimedia con smilze notizie di scarsa utilità. Esistono le eccezioni. Poche e non con­frontabili con le formule Penguin, Everyman’s Li­brary o Folio. Semmai, per i classici italiani an­drebbe presa a modello di ottima calibratura la collezione di testi greci e latini della Fondazione Valla, le cui edizioni si prestano a diverse letture, per specialisti come per lettori comuni. Per fortuna, non sono mai cessate le collane tradizionali: lavorano a pieno regime di uscite Grandi Libri Garzanti, Bur e Oscar Mondadori, in­tese però, ab origine , come contenitori universa­li. Dove per altro non mancano esempi di tutto rispetto. Il che vale anche per i più giovani Tasca­bili Einaudi, mentre la Feltrinelli, i cui classici ita­liani hanno avuto un rilancio negli anni Novanta con riletture d’autore, oggi salvo eccezioni viag­gia con più parsimonia. Neanche le riproposte in edizione economica, del resto, sfuggono ai detta­mi del mercato: e per rilanciare un titolo è neces­sario che venga garantito un assorbimento di al­meno mille copie l’anno, il che per un classico non è affatto scontato. Sicché si rischia di prose­guire sull’ovvio piuttosto che affrontare una débâcle anche lontanamente annunciata. Per troppe ragioni, l’attuale tendenza non sem­bra insomma venire incontro alla richiesta di Al­berto Vàrvaro, un filologo attento non solo alla causa accademica ma anche alle esigenze del let­tore, il quale ritiene che il canone della letteratu­ra italiana andrebbe coraggiosamente rivisto. Se il classico è per definizione un testo che si presta a rinnovate letture, e che come tale (sono parole dello stesso Vàrvaro) è sottoposto alla «borsa-va­lori » e persino alle «bolle speculative» del tem­po, allora la sfida più affascinante dell’editoria dovrebbe essere quella di saper riproporre i clas­sici, in prospettive e chiavi sempre nuove, entro le mappe mobili della propria epoca.