Francesco Borgonovo, Libero 20/10/2009, 20 ottobre 2009
D’ANNUNZIO INEDITO «EJA EJA ALALA’» NATO DA UNO SCHERZO
«Siamo trenta d’una sorte/ e trentuno con la morte/ EIA, l’ultima!/ Alalà!». Così si apre la Canzone del Quarnaro scritta da Gabriele D’Annunzio, pubblicata dai Treves nel 1918 e poi musicata nel 1930 da Luigi Dallapiccola. Compare in questi versi il celebre grido d’esultanza degli antichi greci, che il fascismo utilizzò come slogan, riprendendolo proprio da D’Annunzio.
Bene, sull’origine di questa espressione c’è una piccola sorpresa: un documento finora inedito che rivela come D’Annunzio la utilizzasse già in gioventù, prima della guerra, dell’impresa fiumana e, probabilmente, anche prima del Novecento. Insomma, il celebre motto del fascismo nasce da un componimento che il poeta realizzò in giovane età e per puro divertimento. Fa sorridere pensare che il saluto dei gerarchi e dei ferventi militanti in camicia nera nacque in un’occasione conviviale, un banchetto svoltosi in Abruzzo.
La vendita
Ma veniamo ai fatti. Martedì prossimo (27 ottobre) sarà messo in vendita da Bloomsbury a Roma uno ”Scherzo poetico”, che la celebre casa d’aste ha scoperto nella raccolta privata di un collezionista. Questo manoscritto autografo - composto da ventotto fogli riempiti con inchiostro bruno e finora mai visto - sarà venduto a partire da 15-20 mila euro.
Si tratta, come spiega Fabio Bertolo, specialista di manoscritti letterari di Bloomsbury, di un componimento d’occasione, realizzato probabilmente durante un soggiorno a Francavilla, vicino a Chieti. Con questo scritto, il futuro Vate intendeva celebrare un banchetto al quale erano presenti molti suoi amici e parenti. Secondo Bertolo, l’ambientazione «dovrebbe essere il palazzo del barone Francesco Bonanni d’Ocre a Fossa, luogo prescelto per gli incontri di un cenacolo di artisti e intellettuali abruzzesi».
Ecco l’incipit: «A Francavilla / siamo venuti / per darvi un saggio / in tre minuti / (ci vuol coraggio) / della favilla / inestinguibile / immarcescibile / che in core ci arde;/ ”per le Panarde?”/ dirà qualcuno / Ohibò, mai no! / di noi nessuno / questo pensò. / Chi ci dipinse / come affamati / mascelle mobili / da mane a sera? / In quella vece / qui ci ha chiamati / qui ci dipinse / - è storia vera - venir ci fece; / sapete chi? / La luna piena! / Proprio così./ E come fu, /come non fu? / presto detto. / Era di notte / e Felicetto / lento moveva - / forse ci aveva / le tasche rotte -/ solo soletto, / quando di botto/ disse così:/ ”Sarebbe bella, / or che la sera / c’è luna piena / e ci fa pena».
L’autenticità di questo documento, il cui studio deve ancora essere approfondito, è stata stabilita da Annamaria Andreoli, tra la maggiori esperte italiane del Vate, già presidente del Vittoriale. Secondo la sua stima, il componimento risale al periodo tra il 1893 e il 1897. «Penso che sia un manoscritto autentico», spiega, «perché nessun intellettuale locale abruzzese avrebbe potuto realizzare una cosa del genere. Nel testo ci sono molti riferimenti a personaggi del luogo, come dei medaglioni, per questo credo che D’Annunzio conoscesse molto bene l’ambiente e probabilmente ha scritto questo scherzo quando viveva lì».
Esordio su carta
Sempre la Andreoli spiega come qui per la prima volta appaia l’espressione «Eja, alalà». Precisamente, è riportata in questo passaggio: «Ecco - o Signori! - la Nobiltà. Muzio il Marchese, che d’acqua pura per mezzo mese la cura fa - e un’avventura cercando va - dopo riprende questo s’intende, sbornia perfetta piena superba con l’anisetta o la centerba. In alto i cuori! Eja, alalà; Passa - o Signori! - la Nobiltà».
Fino ad oggi si pensava che le parole «Eja» e «Alalà» fossero state utilizzate nella tragedia Fedra, che risale al 1909 (lì, però, compaiono separate). D’Annunzio poi ripetè il grido in occasione dei ”grandi voli” di Pola e del Cattaro, nel 1917. Tenne un discorso ai suoi uomini e per non pronunciare le parole ”hip hip hurrà”, concluse proclamando: «Per frate focu che non ci brucerà, per sora acqua che non ci annegherà, eja eja eja alalà». La ”canonizzazione” della formula arrivò poi l’anno successivo, appunto, nella Canzone del Quarnaro. Ma tutto nacque con il documento che andrà all’asta da Bloomsbury (e sarà esposto oggi dalle 11 alle 18 a Milano, presso lo spazio Manzoni). Chissà come l’avrebbero presa i fascisti se avessero saputo che il loro urlo solenne e coraggioso fu concepito per una cena fra amici in vena di spiritosaggini...