Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Sì, il momento che stiamo vivendo assomiglia sempre di più al 1992-93, l’epoca di Mani Pulite: i magistrati all’attacco del parlamento, la Borsa che precipita, la classe politica sentita come nemica dagli stessi che l’hanno eletta, una voglia sempre più avvertibile di far piazza pulita di chi ci governa. Adesso, anche i suicidi eccellenti: Mario Cal, 71 anni, braccio destro di don Verzè, l’uomo del San Raffaele, era salito ieri mattina nel suo ufficio per dare una sistemata alle ultime cose, prima dell’addio all’azienda a cui aveva dedicato la vita. E invece ha preso la pistola, se l’è puntata alla tempia ed ha sparato. Era nel più importante e attrezzato ospedale italiano, medici e infermieri hanno subito tentato l’impossibile, ma non c’è stato niente da fare. In pochi minuti il poveretto è morto.
Mario Cal… Mai sentito nominare.
Ha presente don Verzé? Il sacerdote che dal niente
ha tirato su il San Raffaele? Mario Cal era il suo braccio destro da trent’anni.
Come capita ai numeri due delle grandi personalità (don Verzè è una grande
personalità) era rimasto sempre nell’ombra. Ma faceva capo a lui tutta la
gestione finanziaria dell’ospedale, era lui l’uomo delle mediazioni difficili
quando c’era un contrasto tra i soci, quando bisognava mettere d’accordo
posizioni a prima vista inconciliabili. Di Pietro, all’epoca in cui faceva il
magistrato (1994), l’aveva messo dentro per una tangente da 30 milioni pagata
alla Guardia di Finanza. Di Pietro sentiva che il San Raffaele, con i 400
milioni che prendeva dalla Regione Lombardia, era un gran terreno di caccia. Ma
tre settimane dopo aver arrestato Mario Cal, si dimise dalla magistratura e si
buttò in politica.
Movente ipotizzabile di questo suicidio?
La depressione, direi. Il San Raffaele ha debiti per
quasi un miliardo ed è sull’orlo della bancarotta. È intervenuto il Vaticano,
che si è dichiarato pronto a salvare la situazione. Però ha cambiato tutto il
gruppo dirigente. Fuori don Verzè e fuori Mario Cal. Che ieri mattina sarebbe
entrato in ogni caso per l’ultima volta nel suo ufficio. L’uomo lo sapeva.
Senza troppe dietrologie, non ha retto alla fine di una vita e, probabilmente,
di un sogno. Perché don Verzè è un grande sognatore, le cui fantasie stanno andando
in pezzi in questi giorni.
Non è che ci sia qualcosa di inconfessabile
dietro questo colpo di pistola? Uno s’ammazza per non parlare…
Non lo so. Ieri le agenzie hanno dato importanza ad
alcuni particolari del suicidio. Non si trova l’ogiva, vale a dire la sezione
anteriore del proiettile che normalmente viene espulsa al momento dello sparo.
Inoltre, come riferiscono “fonti della Procura di Milano” (cioè la Procura
stessa, ma in modo non ufficiale), «l’arma adoperata da Cal per suicidarsi è
stata spostata indebitamente da un non meglio precisato addetto dell’ospedale…
L’ipotesi più probabile è che si tratti di un’ingenuità da parte di una persona
non esperta di rilievi e di procedure della polizia scientifica». Naturalmente
la procura indaga: sul suicidio lavora il pm Maurizio Ascione, che interrogherà
l’uomo che ha spostato l’arma. È andato a studiare la situazione anche il pm
Luigi Orsi, che indaga sui conti del San Raffaele. Con lui il procuratore
Edmondo Bruti Liberati. Cal ha scritto due lettere, una alla moglie e una alla
segretaria. Non se ne sa niente, il contenuto è secretato. Il suo avvocato, e
amico, Rosario Minniti racconta che era disperato perché erano finiti i soldi e
non si riuscivano a pagare i fornitori. In effeti il San Raffaele risulta
sommerso di decreti ingiuntivi.
Di chi è la pistola?
È sua. Aveva un regolare porto d’armi.
Come può un ospedale indebitarsi per duemila
miliardi di lire quando riceve anche fior di contributi dalla mano pubblica?
Ma il San Raffaele non è semplicemente un ospedale.
È un impero. Don Verzè, in 42 anni, non si è fermato mai e alla sua Fondazione
San Raffaele Monte Tabor fanno capo, oltre al San Raffaele propriamente detto,
ospedali in Lombardia, Veneto, Puglia, Sicilia, Sardegna, India, Brasile (a San
Salvador de Bahia), l’università Vita-Salute, società di servizi, di edilizia,
di biotecnologie, laboratori di ricerca, aziende agricole, alberghi di lusso,
una casa editrice. Per risanare il debito bisognerà vendere tutto e, per chi
conosce don Verzé, la cosa è pressoché inimmaginabile. Egli mette Gesù Cristo
direttamente tra i suoi azionisti e ha sempre dichiarato che vivrà certamente
fino a 120 anni (ne ha 91). Voleva dire: ho ancora tanto da fare e lo farò. Lo
sfacelo, invece, è arrivato fino al punto di portarsi via il suo collaboratore
principale
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 19 luglio 2011]
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