
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Non so se sia giusto parlare di «rivolta », ma certo nelle scuole c’è molta agitazione e non per iniziativa degli studenti. Sono gli insegnanti precari a essere esasperati, per via dei tagli decisi a suo tempo dal ministero. Tagli che si annunciano forti quest’anno e ancora più forti negli anni a venire, dato che si procede, in linea generale, per accorpamento delle classi (se ne segnalano ormai di composte anche da 35-36 alunni). Inoltre, la contrazione demografica della nostra popolazione ha effettivamente ridotto il numero di studenti. E la nuova linea di severità rischia di tagliare ulteriormente il numero di alunni, in futuro. il numero di chi vuole o deve imparare, in definitiva, quello che garantisce il posto di lavoro a chi vuole o deve insegnare.
• Che significa?
Niente studenti, niente professori. Si ricorda quella notizia uscita poco prima di Ferragosto? Che ai test predisposti dall’Invalsi (l’Istituto che deve valutare la preparazione degli studenti e la qualità del lavoro dei professori) i ragazzi del Sud erano andati meglio dei ragazzi del Nord, fatto che contrastava con tutte le classifiche internazionali relative alla nostra scuola? Si scoprì il giorno dopo che questo dipendeva dal fatto che i professori avevano sfacciatamente aiutato gli alunni perché facessero bella figura. Sa come si difesero gli insegnanti? Con questo argomento: stiamo difendendo i nostri posti di lavoro.
• Ha a che vedere con la faccenda dei precari?
Nella scuola tutto si tiene. I precari sono 131 mila. Perché esistono? Sostanzialmente perché l’assenteismo a scuola è alto e una delle cause di questo assenteismo è che i professori di ruolo, bloccati nella loro carriera e nei loro stipendi, vogliono almeno lavorare vicino a casa. Ci mettono una trentina d’anni a raggiungere la città agognata e intanto vanno e non vanno, si dànno malati, fanno i furbi o i disperati. Così c’è bisogno di un esercito di rincalzo, che sostituisca il professore di ruolo mancante. Il precario viene assunto all’inizio di ogni anno e licenziato alla fine. C’è gente che s’è fatta vecchia con questi contratti a termine ripetuti. Notiamo che nessuna azienda privata potrebbe permettersi una politica del lavoro di questo tipo. Qualunque tribunale del lavoro, dopo 24 o 36 mesi di permanenza in azienda, imporrebbe l’assunzione a tempo indeterminato.
• Saranno licenziati tutti e 131 mila?
Ottomila sono stati messi in ruolo nei giorni scorsi. Per 20.400 ci sono buone possibilità di una riconferma. Forse altri 39.500 – cioè i cosiddetti docenti di sostegno – otterranno qualcosa. Per tutti gli altri, una cattedra o un pezzo di cattedra sono piuttosto problematici. Il ministero sta concordando con le Regioni un sussidio di disoccupazione che dia loro almeno il 60% dell’ultimo stipendio. Non voglio neanche sapere con quale criterio procederanno alle graduatorie e come distingueranno tra chi è precario da trent’anni e chi da uno.
• In che consistono queste proteste di cui ha parlato all’inizio?
A Napoli stanno occupando l’ufficio scolastico regionale. A Cosenza c’è stata una manifestazione di 450 persone davanti al provveditorato. A Benevento ( nella foto Ansa ) sette precarie stanno da sabato scorso in cima al tetto del Provveditorato e non intendono scendere finché «non avremo risposte» . Una di loro, Daniela Basile, intervistata da Sky, ha incitato ad «arrampicarsi ». Si segnalano infatti scalate di professori a Catania e in altre città. Fioroni e Fassino intanto hanno sparato a zero sul governo, che per il momento non fa sapere niente. Ci sono incontri continui con i sindacati, ma la situazione è molto difficile. Oltre tutto, accorpando le classi si determinano degli esuberi, cioè avanzano dei professori di ruolo a cui si devono per forza dare delle cattedre da cui insegnare. E a perderle sono naturalmente i precari.
• Che cosa si può fare?
Non lo so. Il bilancio italiano è oberato dai debiti e dagli sprechi. Luca Ricolfi, che è più tenero di Brunetta e Tremonti, ha calcolato che il 25% dei soldi spesi per la scuola sono buttati via. L’Ocse ha fatto sapere che lo Stato italiano spende per l’istruzione (università esclusa) 4,6 punti di Pil, cioè una settantina di miliardi. La media Ocse è di 6,1 punti di Pil. La stretta è generale: anche gli esami di ammissione all’università, previsti per giovedì, annunciano che i tempi dei titoli di studio facili, e magari con il valore legale, sono finiti. Questo aumenterà le inquietudini, avrà risvolti sociali. Guardi che non è questione di Berlusconi. È la nostra epoca che non ammette più il posto fisso, che non regala più niente a nessuno, che colpisce gli incolpevoli finiti in un qualche meccanismo micidiale come questo. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 1/9/2009]
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