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 2009  settembre 01 Martedì calendario

PROPAGANDA GLAM BY SIGNORINI IL BARDO DI SILVIO


C’era una volta l’egemonia culturale della sinistra. O forse non c’è mai stata davvero, e suona tutt’al più come un espediente retorico e di polemica politica della destra. Di una cosa si può essere certi, e cioè che oggi essa non c’è più, volatilizzata, un po’ come gli spettri di Marx di cui parlava Derrida. E il segno dei tempi non è certo il gravitare dell’Einaudi nella galassia Mondadori. No, il punto è un altro. E riguarda, come Antonio Gramsci sapeva meglio di chiunque altro, le masse. O, se si preferisce, il popolo, assurto nuovamente a centro (fittizio e strumentalizzato) della postpolitica contemporanea. Vale a dire, il tema, annoso e decisivo, dell’egemonia culturale, che proprio il filosofo sardo introdusse nella riflessione su questo nostro complicato Paese.
Mentre il Pd si barcamena nella ricerca di leader e idee, a destra la questione sembra essere ben presente tantissimo tempo. Hanno cominciato, alla metà degli anni 70, i convertiti ex trozkisti statunitensi che, diventati neocon e reaganiani, si traghettarono tra le fila del Partito repubblicano, facendo dell’integralismo di mercato e dell’ideologia radcon la colonna sonora del nostro mondo.
La "rivoluzione conservatrice", a partire dagli anni 80, ha trovato da noi la sua peculiare declinazione nella controversa "modernizzazione reazionaria" del craxismo, imparentato con il postmoderno all’italiana, propagandato tra i primi proprio da alcuni intellettuali di area Psi, e sbarcato sulle coste della penisola direttamente dall’America dell’edonismo reaganiano. Un fenomeno "ontologicamente" contraddittorio il postmodern nazionale, nel quale convivevano molte cose, dalla giustificazione convinta - col messaggio dell’irrilevanza della politica e della fine del progetto illuministico - di un paradigma politico autoritario quale quello craxiano alla pionieristica attenzione al fenomeno dell’espansione del ruolo dei media e al loro impatto sulla riorganizzazione dell’industria culturale e, soprattutto, sul riorientamento dell’immaginario.
L’Italia passava così dalla seriosa, censoria e pedagogica Rai di Bernabei al pluralismo catodico, tra i cui attori principali si segnalava un imprenditore brianzolo destinato a futuro successo. Una moltiplicazione dell’offerta di canali esaltata attraverso argomentazioni varie, da una sorta di dionisismo maffesoliano al valore positivo della pluralità, dall’avvento del mercato anche nel campo radiotelevisivo e del broadcast (gli anni 80 della Lex Mercatoria) all’attività di "secolarizzazione" e disincantamento rispetto al bacchettone modello bernabeiano. In una parola, la modernità brandita dagli intellettuali socialisti contro le diffidenze tecnofobiche e rétro che accomunano un certo cattolicesimo e un certo marxismo nazionali, mai esattamente a loro agio con il progresso tecnologico.
Da quell’epoca scaturiscono le alterne vicende dell’impero mediatico del Biscione, che tanto pesa sulle cronache di questo Paese. Berlusconi come autobiografia della Nazione, verrebbe da dire; e così è per molti versi.
Ogni Monarca - e il potere berlusconiano, corporale e incorporeo, si legge attraverso le categorie della teologia politica - possiede un Richelieu oppure un Mazarino (e in taluni casi un Rasputin). Quello che consiglia e affianca l’attuale premier è un personaggio la cui professionalità e i cui tratti sono figli della storia appena passata in rassegna. Alfonso Signorini è il ministro della Propaganda di Silvio Berlusconi, il suo proconsole nei territori - da lui ammaestrati e amministrati - della Weltanschauung e dell’immaginario popolare, uno dei talentuosi produttori della nuova ideologia dominante. Ebbene sì, il principe del gossip, l’arbiter elegantiarum del (discutibile) stile tv, è l’intellettuale neo-organico del regime del Biscione, la cui inequivocabile funzione di vestale dell’egemonia culturale berlusconiana viene esercitata, giorno dopo giorno, mediante la direzione di settimanali popolari ad altissima tiratura e intrattenendo e indottrinando la vastissima platea del pubblico televisivo da opinionista di trasmissioni come il Gf, che frequenta da padrone di casa.
Esagerazioni? Nient’affatto. Fatte le debite proporzioni, il ruolo di orientamento dei ceti colti e di direzione politica delle masse svolto, nella storia della sinistra da riviste quali L’Ordine Nuovo, Il Politecnico o Rinascita, pare trascolorare nell’apostolato attuato da rotocalchi come Chi e Tv Sorrisi e canzoni (con tirature di oltre 500mila e 1 milione 200mila copie). Un potere e una responsabilità inauditi, nelle mani della stessa persona, come confermano gli esperti di mediasettologia (disciplina che si apparenta alla sovietologia nell’attività di ermeneutica degli arcana imperii interni alla galassia berlusconiana), sottolineando come fino ad ora mai nessuno avesse cumulato le direzioni dei due settimanali della Mondadori.
A edificare l’immagine, al tempo stesso glam e pop, di Berlusconi come un sovrano, ha contribuito proprio il lavoro dei settimanali signoriniani, convinti che, anche nelle esangui e disorientate postdemocrazie liberali, le favole dei re continuino a pagare. E, dunque, a società di massa, favola di massa (come Una storia italiana, la patinatissima biografia del leader), che diventa istantaneamente narrazione collettiva. L’allegoria del Re Sole Berlusconi è il perno dello storytelling di Signorini. Un frame alla Lakoff, un format molto semplice e comprensibile, e, come tale, ripetitivo, come lo sono le due riviste con la loro sfilata di Vip e vippini (beneficiati dalla discrezionalità del direttore che ne decide le fortune), ritratti in lussuose location (secondo i canoni del lusso di una estetica kitsch).
Tutti perennemente in posa e al meglio della loro Forma, emendati da quegli scoccianti eventi della vita reale come le borse sotto gli occhi o le smagliature. A tutto c’è rimedio nella subcultura mainstream del rotocalco pop. Ci pensa un apparato, minore della cultura egemonica, l’ideologia della chirurgia estetica, altrimenti ci pensano i ritocchi dei vari Photoshop.
Pura, assoluta fiction. E così viene annullato lo scorrere del tempo, uno dei grandi tabù della cultura del fondamentalismo di mercato e di Berlusconi. Il tempo, il vincolo insuperabile per eccellenza che contrasta con il tutto e subito, la cancellazione della memoria, e l’ossessione dell’arricchimento finanziarizzato che guidano il neoliberalismo. Lo scorrere del tempo da combattere anche nella cultura di massa, come il pettegolezzo e l’inclinazione a spiare la vita dei vincenti attraverso il buco della serratura (largo come una porta appositamente spalancata). Di qui, la virtualità (dei comportamenti dei divi - e dei politici à la Berlusconi) che si fissa, viene ipostatizzata, e diventa realtà.
I Quaderni dal carcere vengono sostituiti dalle dichiarazioni orali al confessionale del Grande Fratello. Come implacabili macchine (iper)desideranti, come simulacri postmoderni, parenti alla lontana dei proletari immortalati dalla penna di Pasolini o dei protagonisti di certi comics di Pazienza, questi prototipici neoitaliani e grandi fratellini danno l’assalto al cielo della notorietà facile garantita dalla televisione, che non richiede, anzi, scoraggia tassativamente, il possesso di talenti speciali. Non c’è bisogno di saper cantare o ballare o recitare per diventare protagonisti di Uomini e donne di Maria De Filippi, altra figura chiave dell’egemonia culturale made in Mediaset; salvo il recupero delle qualità artistiche, sublimato e sospinto da un’ambizione terribilmente individualistica in un’altra trasmissione, Amici, il talent show sempre scaturito dalla creatività della signora Costanzo.

Brano tratto da "Fenomenologia di Alfonso Signorini" contenuto nel numero 4/09 della rivista bimestrale "Il Mulino".