Sergio Miravalle, La stampa 1/9/2009, 1 settembre 2009
Carlo Bologna dall’osservatorio del suo ristorante a Rocchetta Tanaro, tra le colline coltivate a viti di barbera, un’idea sulle norme antialcol se l’è fatta
Carlo Bologna dall’osservatorio del suo ristorante a Rocchetta Tanaro, tra le colline coltivate a viti di barbera, un’idea sulle norme antialcol se l’è fatta. «I signori che studiano queste leggi evidentemente hanno tutti l’autista e se ne fregano di dover guidare. La gente normale invece mugugna e subisce. Fosse per me farei una rivoluzione». Calma, calma. Quanto incide la paura dell’etilometro nelle scelte della sua clientela? «Molto e sempre di più. Ho clienti che arrivano da Milano o Genova o anche da più lontano e che hanno rarefatto le uscite proprio perché temono per i punti della patente». diverso l’atteggiamento degli stranieri? «Dipende. Chi ha un camera d’albergo in zona non si limita troppo. Loro hanno anche abitudini culturali diverse. In un gruppo c’è sempre chi è destinato a guidare e quindi non beve, ma che tristezza. Dico io, come si fa a gustare un piatti dei nostri agnolotti col plin senza vino? Ci rendono tutti più tristi». Lei è fratello del grande Giacomo, uno dei leader del rinascimento del vino nel dopo metanolo. Rocchetta Tanaro è un paese ad alto tasso alcolico con numerose patenti ritirate. «Ci sentiamo sotto schiaffo, ma siamo assolutamente convinti che il vino buono non ha mai fatto male se bevuto a tavola con intelligenza. E’ la nostra cultura, la nostra storia e non la rinneghiamo. Nelle discoteche e giovani mica bevono vino. Purtroppo». (intervista a Carlo Bologna)