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 2009  settembre 01 Martedì calendario

Non so se sia giusto parlare di «ri­volta », ma certo nelle scuole c’è molta agitazione e non per ini­ziativa degli studenti

Non so se sia giusto parlare di «ri­volta », ma certo nelle scuole c’è molta agitazione e non per ini­ziativa degli studenti. Sono gli in­segnanti precari a essere esaspe­rati, per via dei tagli decisi a suo tempo dal ministero. Tagli che si annunciano forti quest’anno e ancora più forti negli anni a veni­re, dato che si procede, in linea generale, per accorpamento del­le classi (se ne segnalano ormai di composte anche da 35-36 alun­ni). Inoltre, la contrazione demo­grafica della nostra popolazione ha effettivamente ridotto il nu­mero di studenti. E la nuova li­nea di severità rischia di tagliare ulteriormente il numero di alun­ni, in futuro. il numero di chi vuole o deve imparare, in defini­tiva, quello che garantisce il po­sto di lavoro a chi vuole o deve insegnare.

Che significa?
Niente studenti, niente profes­sori. Si ricorda quella notizia uscita poco prima di Ferrago­sto? Che ai test predisposti dal­l’Invalsi (l’Istituto che deve va­lutare la preparazione degli stu­denti e la qualità del lavoro dei professori) i ragazzi del Sud erano andati meglio dei ragaz­zi del Nord, fatto che contrasta­va con tutte le classifiche inter­nazionali relative alla nostra scuola? Si scoprì il giorno dopo che questo dipendeva dal fatto che i professori avevano sfaccia­tamente aiutato gli alunni per­ché facessero bella figura. Sa co­me si difesero gli insegnanti? Con questo argomento: stiamo difendendo i nostri posti di la­voro.

Ha a che vedere con la faccen­da dei precari?
Nella scuola tutto si tiene. I pre­cari sono 131 mila. Perché esi­stono? Sostanzialmente perché l’assenteismo a scuola è alto e una delle cause di questo assen­teismo è che i professori di ruo­lo, bloccati nella loro carriera e nei loro stipendi, vogliono al­meno lavorare vicino a casa. Ci mettono una trentina d’anni a raggiungere la città agognata e intanto vanno e non vanno, si dànno malati, fanno i furbi o i disperati. Così c’è bisogno di un esercito di rincalzo, che sostitui­sca il professore di ruolo man­cante. Il precario viene assunto all’inizio di ogni anno e licenzia­to alla fine. C’è gente che s’è fat­ta vecchia con questi contratti a termine ripetuti. Notiamo che nessuna azienda privata potreb­be permettersi una politica del lavoro di questo tipo. Qualun­que tribunale del lavoro, dopo 24 o 36 mesi di permanenza in azienda, imporrebbe l’assunzio­ne a tempo indeterminato.

Saranno licenziati tutti e 131 mi­la?
Ottomila sono stati messi in ruolo nei giorni scorsi. Per 20.400 ci sono buone possibili­tà di una riconferma. Forse al­tri 39.500 – cioè i cosiddetti do­centi di sostegno – otterranno qualcosa. Per tutti gli altri, una cattedra o un pezzo di cattedra sono piuttosto problematici. Il ministero sta concordando con le Regioni un sussidio di disoc­cupazione che dia loro almeno il 60% dell’ultimo stipendio. Non voglio neanche sapere con quale criterio procederanno al­le graduatorie e come distin­gueranno tra chi è precario da trent’anni e chi da uno.

In che consistono queste prote­ste di cui ha parlato all’inizio?
A Napoli stanno occupando l’uf­ficio scolastico regionale. A Co­senza c’è stata una manifesta­zione di 450 persone davanti al provveditorato. A Benevento ( nella foto Ansa ) sette precarie stanno da sabato scorso in cima al tetto del Provveditorato e non intendono scendere finché «non avremo risposte» . Una di loro, Daniela Basile, intervista­ta da Sky, ha incitato ad «arram­picarsi ». Si segnalano infatti scalate di professori a Catania e in altre città. Fioroni e Fassino intanto hanno sparato a zero sul governo, che per il momen­to non fa sapere niente. Ci sono incontri continui con i sindaca­ti, ma la situazione è molto diffi­cile. Oltre tutto, accorpando le classi si determinano degli esu­beri, cioè avanzano dei profes­sori di ruolo a cui si devono per forza dare delle cattedre da cui insegnare. E a perderle sono na­turalmente i precari.

Che cosa si può fare?
Non lo so. Il bilancio italiano è oberato dai debiti e dagli spre­chi. Luca Ricolfi, che è più tene­ro di Brunetta e Tremonti, ha calcolato che il 25% dei soldi spesi per la scuola sono buttati via. L’Ocse ha fatto sapere che lo Stato italiano spende per l’istruzione (università esclu­sa) 4,6 punti di Pil, cioè una set­tantina di miliardi. La media Ocse è di 6,1 punti di Pil. La stretta è generale: anche gli esa­mi di ammissione all’universi­tà, previsti per giovedì, annun­ciano che i tempi dei titoli di stu­dio facili, e magari con il valore legale, sono finiti. Questo au­menterà le inquietudini, avrà ri­svolti sociali. Guardi che non è questione di Berlusconi. È la no­stra epoca che non ammette più il posto fisso, che non rega­la più niente a nessuno, che col­pisce gli incolpevoli finiti in un qualche meccanismo micidiale come questo. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 1/9/2009]