Piergiorgio Pescali, l’Avvenire 1/9/2009, 1 settembre 2009
L’INCUBO VECCHIAIA PER IL «NUOVO» GIAPPONE
Ora che i giapponesi hanno deciso di cambiare pagina punendo l’immobilismo politico del Partito liberaldemocratico, il Partito democratico dovrà lavorare affinché le promesse fatte (tante e impegnative) si tramutino in fatti. I campi sotto osservazione sono essenzialmente tre: la riforma politico-amministrativa, il sistema sociale e l’economia. Naoto Kan, presidente del Dp, ha già in mente un sistema che ricalca quello bri- tannico per ridare supremazia della politica sulla burocrazia.
Dal punto di vista sociale, invece, si guarda al modello scandinavo per alleviare le due principali piaghe che affliggono il Giappone: l’invecchiamento demografico e la riforma scolastica. Nel campo economico i giovani sono preoccupati per la forte disoccupazione (5,7%), mentre il sistema pensionistico, accanto a quello della sanità, sono temi maggiormente sentiti dalle generazioni più anziane. Il costo del programma democratico è stato valutato tra i 17 e i 25 miliardi di yen all’anno (il Pil giapponese è di 510 miliardi di yen). I fondi necessari per trasformare le intenzioni in azioni concrete dovrebbero essere attinti da un drastico ridimensionamento delle opere pubbliche e dell’apparato statale, ma sono in molti a dubitare che questo potrà essere messo in pratica.
Secondo molti analisti economici, attuare questi punti del programma significa aumentare la disoccupazione e fermare la macchina Giappone. Inoltre i democratici, a differenza dei loro avversari, hanno promesso di non alzare le tassazioni al consumo per almeno 4 anni e, anzi, hanno dichiarato di voler diminuire le accise sui carburanti e eliminare i pedaggi autostradali. Questo fa a pugni con la politica ambientalista di Hatoyama, che vorrebbe limitare le emissioni di gas serra.
In campo economico i limitati legami economici tra democratici e industriali farebbero ben sperare in riforme più severe e rivolte al rilancio della competitività. Hatoyama ha più volte ribadito la sua volontà di puntare sull’energia pulita e di avere intenzione di tagliare i sussidi alle aziende non redditizie.
Tutto questo non impedirà al Giappone di scendere al terzo posto nella classifica delle economie mondiali dopo Stati Uniti e Cina. Ed è proprio in campo della politica estera che il programma democratico rivela confusione. Dovendo far convergere le varie fazioni presenti nel movimento, Hatoyama è stato costretto a veri e propri equilibrismi oratori per non generare malcontento. Prima contrario alle missioni in Afghanistan, ora le appoggia. La sua invocazione ad una maggiore indipendenza del Giappone dagli Stati Uniti, si è trasformata in un generico «maggior rispetto in base ad un principio di egualitarismo».
Neppure la sua posizione verso l’articolo 9 della Costituzione è chiaro, dovendo mediare tra la fazione di ex socialisti e ex socialdemocratici (favorevoli al mantenimento dell’articolo) e quella di ex liberal democratici (propensi ad un suo cambiamento). Il Partito democratico ha meno di un anno per mostrare ai giapponesi i primi risultati del suo programma: nel 2010, infatti, gli elettori saranno richiamati alle urne per scegliere i rappresentanti della Camera Alta, attualmente a maggioranza democratica. Pur non essendo decisivo per la conduzione del Paese, il test sarà una prova di quanta fiducia i giapponesi ripongano verso il governo Hatoyama.