
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Perché 50 anni dopo la morte resta il simbolo dell’idealismo?

Oggi ricorrono i cinquant’anni dalla morte di Ernesto Che Guevara.
• Ah, sì, quello delle magliette e delle spille.
Appunto, il direttore mi ha chiesto di scrivere un articolo per ricordare a lei, a tutti gli smemorati e alle generazioni più giovani chi era Guevara, al di là della famosa immagine stampata su magliette, bandiere e ogni tipo di gadget che anche noi riproduciamo in trasparenza nella pagina. Partiamo dal soprannome, “el Che”: Guevara era argentino e intercalava sempre i discorsi con questa parola, «che», un termine che significa «uomo». Un po’ come quando da noi si dice «Ehi»
• La fermo subito, ma questo Che Guevara non è cubano? Per quanto io sia un ignorante, sono sicuro che c’entri con Fidel Castro e la rivoluzione a Cuba.
Certo. Era nato a Rosario, in Argentina, ma è passato alla storia per aver guidato la guerriglia a Cuba. Ma andiamo con ordine. Guevara, classe 1928, di famiglia altolocata decaduta, laureato in Medicina, aveva la passione per i viaggi. Nel 1951 andò a fare volontariato in un lebbrosario del Perù, ci arrivò in sella a una vecchia moto, una Norton del 1939. Dopo la laurea, eccolo in Bolivia, Perù, Ecuador, Panama, Costa Rica, Nicaragua, Honduras, Salvador e soprattutto Guatemala, dove c’era un governo di sinistra. Qui comincia a incontrare rivoluzionari: Hilda Gadea, che poi sposerà e parecchi castristi. Fidel Castro, incontrato in Messico, lo portò con sé a fare la rivoluzione a Cuba. Una volta preso il potere, lo nominò «cittadino cubano per diritto di nascita», lo fece direttore dell’Istituto Nazionale per la Riforma Agraria, presidente della Banca Nazionale (firmava le banconote col nomignolo “Che” invece che col cognome), ministro dell’Industria. Il 14 marzo 1965, invece, Guevara mollò tutto.
• Perché?
Mah. Non si sentiva un politico da ministero, e probabilmente non ne aveva neanche le qualità. I suoi talenti erano altri. Aveva pronunciato discorsi in giro per il mondo contro le intese tra paesi a socialismo reale e paesi capitalisti. Era un estremista noto ormai, anche se non ancora una star internazionale. La consacrazione sarebbe avvenuta con la morte. In molti sono convinti che Castro manovrò per toglierselo dai piedi ma, onestamente, questo non lo sa nessuno.
• Come fu ucciso?
Spinto dall’idea di esportare la rivoluzione nel mondo nel 1966 il Che era entrato in Bolivia, sotto falso nome e senza barba. Nel ’65 era andato a combattere in Congo e da lì s’era poi trasferito in Bolivia a fare la guerriglia, con successo, contro il dittatore René Barrientos. Nel settembre del 1967 - il giorno 26 - gli tesero un’imboscata a Vallegrande. Guevara con i suoi provò una ritirata e alla fine fu accerchiato a Quebrada del Yuro. La sera dell’8, dopo una giornata di combattimenti, lo presero e lo rinchiusero con altri nella scuola di La Higuera. Ci passò la notte e intanto Barrientos diede ordine che gli sparassero. La mattina dopo venne mandato a eseguire la sentenza il sergente Mario Teran. Vicino a lui, un uomo della Cia, di nome Felix Rodriguez. Costui disse a Teran di sparare alle gambe, in modo da farlo morire dissanguato e che non si desse poi la colpa al governo. Ma Teran era ubriaco e terrorizzato, sparò a occhi chiusi e prese Guevara alle gambe e al cuore. Era l’una del pomeriggio. Il Che aveva 39 anni. Oggi i suoi resti si trovano in un mausoleo a Santa Clara, a 300 chilometri da L’Avana, dove ieri il presidente Raúl Castro ha dato il via a cinque giorni di commemorazioni. Ci saranno tra le altre cose concerti rock e un torneo di scacchi (gioco di cui Guevara era appassionato). È stata lanciata anche un’app chiamata “Siempre Che”.
• Ma come si spiega che, a 50 anni dalla morte, il Che rimanga un mito?
Intanto la morte ebbe un’eco enorme. Non fu processato e in Bolivia non c’era la pena capitale. Poi la foto che gli scattò Alberto Korda, divenuta rapidamente un’icona simil-cristiana, sguardo intenso e fiero, irresistibile. Infine l’uomo era notevole in sé e aveva tutte le caratteristiche per far innamorare il popolo dei giovani, ieri e oggi: disinteresse per il denaro, stile frugale, propensione a giocarsi sempre tutto in nome di un ideale altissimo e cioè la lotta alla povertà, il riscatto dei diseredati, la guerra ai prepotenti, disponibilità a pagare di persona fino alla morte. D’altra parte gli anticastristi e gli anticomunisti hanno sottolineato spesso come il Che fosse stato un guerrigliero spietato, responsabile di aver ordinato la fucilazione di centinaia di presunte spie e oppositori. Comunque la si pensi, a raccontare oggi la sua storia sembra quasi che sia andato incontro a un destino segnato. Pensava di muovere alla rivoluzione i contadini e furono proprio i contadini boliviani a tradirlo, non dandogli retta.
(leggi)