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 2017  ottobre 09 Lunedì calendario

La figlia del senatore Bob Kennedy: «Donne e intelligenza artificiale ecco la nuova alleanza per i diritti»

Kathleen Kennedy Townsend, figlia di Bob Kennedy, ex Vice Governatrice del Maryland, Vice Presidente della Conferenza mondiale Science and Peace, ha partecipato sabato ad una importante iniziativa del Progetto Donne e Futuro a Savona.
Presenti anche la Ministra dello Sviluppo economico dello Zambia Emerine Kabanshi e Lyn Cristensen. La Kennedy farà da madrina ad una giovane italiana selezionata dalla associazione guidata dalla avv. Cristina Rossello che da 10 anni indirizza ragazze a lavorare e formarsi con madrine di eccezione. Incontriamo Kathleen, positiva, ottimista verso il futuro.
Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e la rivoluzione tecnologica pongono nuovi problemi in termini di diritti. Il rischio è che le nuove possibili disuguaglianze si sovrappongano alle vecchie anche in termini di genere. Che cosa ne pensa?
«Intelligenza artificiale e potere sono fortemente legati. Perciò gli uomini hanno occupato questo campo in tutto il mondo. Le donne sono in gran parte escluse. Se le donne vogliono esercitare il potere devono occuparsi anche di questo. La conoscenza è potere, è il presupposto per esercitarlo e lo sarà sempre di più in futuro nel campo dell’intelligenza artificiale. Lo squilibrio di genere è molto elevato e va combattuto culturalmente e politicamente. Se non lo si farà, la disuguaglianza di genere non diminuirà in settori come questi, fondamentali per il potere. E molto dipenderà dalle donne».
Perché le donne possono essere fondamentali in questo processo?
«Le donne sono outsider in questo momento. Meno esposte quindi agli aspetti negativi relativi al potere. Interpretano il potere come servizio. Possono rappresentare una voce morale autorevole su questioni delicatissime, che riguardano la vita delle persone. L’ intelligenza artificiale ci potrà far migliorare molto la qualità della vita, basta pensare agli anziani, alla salute, alla medicina, e anche alle molestie sessuali contro le donne. Le donne possono portare con sé una videocamera minuscola che filma chi le aggredisce, che potrà diventare un deterrente potentissimo alle violenze. Ma l’intelligenza artificiale ci aprirà anche molte incognite, basta pensare alla genetica, ai designed children, cioè ai bambini fatti a tavolino. Può succedere di tutto».
Come possiamo tutelarci da tutto ciò?
«Dobbiamo parlarne approfonditamente. Mettere al centro del dibattito pubblico queste questioni. Zuckerberg ha costruito qualcosa di cui non controlla il funzionamento fino in fondo. E lui stesso lo ammette. I Russi stavano cercando di influenzare le elezioni in America. Nessuno se ne è realmente curato. E anche all’indomani della strage di Las Vegas è successa una cosa analoga con una miriade di fake news. Il problema è che Zuckerberg ha assunto 3000 persone per verificare le fake news, ma ancora non ci riesce. Lui si è anche scusato dopo il Capodanno ebraico. Ma questo ci sottolinea ancora di più la portata del problema».
Ma è sufficiente? Non dovremmo considerare nuove norme e controllo sociale?
«Abbiamo bisogno di considerare la intelligenza artificiale come una pianta che cresce, che ha bisogno di cure, di controllo, di conoscenza profonda del suo funzionamento, soprattutto sulle questioni più delicate che hanno a che fare con l’etica. Non può rimanere dentro le stanze solo degli scienziati».
La cultura sessista e maschilista rappresenta un grande ostacolo alla presenza delle donne nel settore dell’ intelligenza artificiale. Lo è anche nella Silicon Valley?
«Assolutamente sì. Gli uomini hanno paura, hanno grandi difficoltà ad accettare le donne. Hanno parlato di complotto femminista. Si sentono invasi nei loro spazi, che appunto sentivano come per loro e basta. E non parliamo della non accettazione di dirigenti donne. E questo proprio nella zona più avanzata di ricerca legata tra l’altro all’Università di Stanford dove si riconoscono i brevetti degli studenti agli studenti stessi e non all’università».
Una misura quest’ultima che sarebbe bene inserire anche in Italia. Ma veniamo a Hillary. La sua sconfitta ha rappresentato uno shock per molte donne americane che avevano visto una possibilità di riscatto nella sua vittoria. Come stanno reagendo ora?
«È stata dura, perché anche inaspettata. Ma c’è una grande reazione. Le donne si stanno organizzando più di prima. Si candidano di più in posti pubblici, si mobilitano, oggi la cosa più importante è riuscire a far votare più donne. E essere unite. Solo così si vince. E non solo in America, in tutto il mondo. Le donne devono far sentire la loro voce».