L’Economia, 9 ottobre 2017
Authority, perché sono deboli
Le autorità amministrative indipendenti, dopo gli anni ruggenti della loro giovinezza, sembrano entrate in un cono d’ombra: è la politica che si riprende quel che aveva delegato, o sono i giudici, che si riservano l’ultima parola, o sono le autorità stesse che si sono andate indebolendo anziché rafforzarsi, o sono tutte e tre i fattori che minano l’indipendenza delle autorità, o ne limano le unghie?
Nate un quarto di secolo fa, sviluppatesi intorno a una legge del 1995, le autorità indipendenti erano una novità nel panorama pubblico italiano. Il nome l’abbiamo preso a prestito dalla Francia, l’istituto l’abbiamo copiato dal modello delle «Independent Regulatory Agencies» americane e inglesi. Al loro apparire, furono salutate come un esempio di attuazione di quella norma della Costituzione che vuole le amministrazioni imparziali: quale migliore imparzialità, dunque, di organismi non sottoposti a direttive governative, i cui vertici provengono direttamente da scelte parlamentari? Camera e Senato Nella vita concreta delle istituzioni, però, i legami spezzati si sono riannodati lentamente. Dopo la istituzione delle autorità indipendenti, il Parlamento ha continuato a legiferare, a chiedere alle autorità di applicare altre norme, a imporre loro di dare pareri a ministeri, a disporre che il governo le ascolti. L’indipendenza è stata erosa dal legislatore in due modi. Da un lato, occupando direttamente con leggi gli spazi che erano stati lasciati alla regolazione o all’aggiudicazione delle autorità indipendenti. Dall’altro, creando procedure in cui attività delle autorità indipendenti e attività delle amministrazioni tradizionali dello Stato sono legate, così condizionando le scelte indipendenti. Giudici Un secondo contributo alla erosione dei poteri delle autorità indipendenti è stato dato dai giudici. Che le decisioni delle autorità indipendenti debbano essere sottoposte al giudizio dei Tar e del Consiglio di Stato, non c’è dubbio. Ma ci si poteva aspettare che questi applicassero, nei confronti di decisioni di autorità non governative, metri di giudizio meno stretti, anche per rispettare il giudizio tecnico affidato a organismi competenti di settore. Invece, i giudici amministrativi, sia pur con molte oscillazioni, hanno applicato gli stessi criteri stringenti adottati per gli organi ed enti amministrativi, spesso ripetendo, pur senza avere tutta la competenza tecnica necessaria, valutazioni che erano state compiute dalle Autorità. Ne sono conseguiti doppioni, contraddizioni, e, principalmente, una sconcertante conclusione: il decisore di ultima istanza in materia di concorrenza, elettricità, trasporti, comunicazione, e così via, è il Tar. Incarichi Un terzo fattore di crisi è interno. Deriva dalla debolezza di alcune nomine compiacenti di componenti di autorità indipendenti, dove sono state scelte persone non dotate dei requisiti tecnici necessari, o personalità deboli, o persone che aspiravano ad altri posti. Si sono viste «carriere orizzontali», con passaggi dall’una all’altra autorità, talora per meriti acquisiti e ben riconosciuti, talora solo per meriti politici. Deriva, in secondo luogo, dai meccanismi di carriera interni del personale dipendente, non sufficientemente motivato, dopo i primi inquadramenti. Deriva, in terzo luogo, dalle difficoltà finanziarie, per supplire alle quali si sono trovati rimedi diversi, riuscendo a non farle gravare sul bilancio statale, ma non sempre con successo. Da una parte o dall’altra Non sarà facile uscire dalla situazione nella quale le autorità indipendenti si sono venute a trovare dopo un quarto di secolo. Ma bisogna tentare. E per riuscire occorre in primo luogo una pausa dell’attività legislativa. L’esondazione che incrementalmente ricostruisce il tessuto tra governo e autorità indipendenti, dando semmai loro maggiori poteri, ma limitandone l’autonomia e indipendenza di azione, va fermata. Per far questo, sarebbe bene che gli uffici parlamentari preparassero un regesto delle norme che si sono andate accumulando, stratigraficamente, valutando quelle necessarie, e identificando quelle superflue. In secondo luogo, bisognerebbe passare in rassegna i compiti dei ministeri e del governo interferenti con quelli delle autorità indipendenti, per fare una «actio finium regundorum», stabilire una volta per tutte quale sta da una parte, quale dall’altra, evitando passaggi dall’una all’altra parte.