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 2017  ottobre 09 Lunedì calendario

Quattro scenari per una crisi

Si proclama la secessione immediataIl contatore sta girando: domani alle 18 il presidente del governo catalano, Carles Puigdemont, parlerà al Parlamento della Comunità autonoma e il mondo ascolterà con il fiato sospeso. La prima ipotesi è che varchi (per la seconda volta in dieci giorni) la linea rossa posta dal governo centrale e proclami la «Dui», dichiarazione unilaterale d’indipendenza. La secessione dalla Spagna. Puigdemont applicherebbe strettamente la legge con la quale è stato convocato il referendum del primo ottobre, illegale per Madrid. Ma la proclamazione, secondo fonti interne al movimento indipendentista, avrebbe il vantaggio di mantenere alta l’attenzione internazionale e frenare la repressione minacciata dal premier spagnolo Mariano Rajoy. La linea dura e pura è caldeggiata dai vertici del movimento guidato da Jordi Sánchez (Anc) e da Jordi Cuixart (l’associazione Omnium Cultural), per cui la Repubblica catalana nasce automaticamente dal risultato del referendum.
Prendere ancora tempo: 48 ore o due settimane
Carles Puigdemont potrebbe domani limitarsi a comunicare al Parlamento l’esito del referendum e la vittoria dei nazionalisti. Decorrono da quel momento le 48 ore previste dalla legge (catalana) per proclamare l’indipendenza, ma i vertici della Generalitat potrebbero anche cercare di prendere più tempo, un paio di settimane, per dare spazio a una mediazione internazionale. Anche se è difficilissimo un compromesso. Nel frattempo continuerebbe a salire la tensione e peggiorerebbero le prospettive economiche con la fuga dalla Catalogna di altre imprese. Favorita, se non orchestrata, dal governo centrale. La possibilità di una «Dui» (dichiarazione unilaterale d’indipendenza) «assennata» o, momentaneamente, simbolica, non è esclusa dai partiti nazionalisti moderati. Anche se «i catalani hanno capito che l’indipendenza low cost non esiste», ha osservato Enric Juliana, vicedirettore di La Vanguardia.
L’articolo 155 e la comunità commissariata
La reazione di Madrid sarà commisurata al discorso dell’aspirante presidente della Repubblica di Catalogna: per applicare l’articolo 155 della Costituzione, che prevede il commissariamento della comunità autonoma «ribelle», Mariano Rajoy, presidente di un governo di minoranza, non ha bisogno dell’appoggio dei rivali socialisti. «Basta infatti una decisione del Senato – ricorda Miguel-Anxo Murado, scrittore e analista politico —, dove il Partido popular ha la maggioranza. Rajoy è sotto pressione, e le manifestazioni degli unionisti lo dimostrano, ma preferirebbe non avere l’intera responsabilità di questo passo, che porterebbe di nuovo una moltitudine di catalani in piazza a protestare o, peggio, nuove violenze». Ma se Rajoy abbandona la sua strategia – intervenire il meno possibile – e con la legge d’emergenza (prevista dall’art. 156) avoca a sé il controllo della polizia locale, potrebbe dover fronteggiare un parziale ammutinamento dei Mossos d’Esquadra.
L’intervento dell’esercito e la repressione
P er quanto dure possano essere le contromisure del governo centrale, l’intervento dell’esercito e l’arresto di Puigdemont sono (per ora) eventualità remote. Non soltanto perché umiliare la società catalana sarebbe politicamente un enorme errore e indignerebbe la comunità internazionale, ma anche perché le forze armate, trasformate da Zapatero per renderle più idonee alle missioni di pace all’estero, non sono adatte a operazioni di questo tipo. L’uso della forza potrebbe essere delegato solo alla Guardia Civil e alla Policia Nacional. L’arresto di Puidgemont o di altri membri del governo catalano è molto complicato perché richiederebbe prima, in virtù dello statuto speciale, un ordine del Tribunale supremo o la loro destituzione da parte di quello costituzionale. In entrambi i casi sarebbe chiaro ciò che sta per accadere e la cattura sarebbe ostacolata da migliaia di catalani pronti a fare da scudi umani, attorno al palazzo della Generalitat in pieno centro di Barcellona.