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 2017  ottobre 09 Lunedì calendario

Referendum: gli slogan e l’odore dei soldi

Schèi. È tutta soltanto una questione di schèi, quattrini. “Se ti chiedi a qualcuno: ‘voi ciapar 30 mila al mese’? Secondo ti, che risponde? Ovvio che sì”. Antonio Razzante, dal tavolino affacciato su piazza dell’Erba a Verona, beve il suo spritz “con Campari” e sintetizza la sua visione del referendum che il prossimo 22 ottobre potrebbe regalare l’autonomia al Veneto. Sì, anche i lombardi lo stesso giorno sono chiamati alle urne per il medesimo obiettivo. Ma il vero motore e cuore pulsante indipendentista prima e autonomista ora è qui, nella Regione dei serenissimi di San Marco. A Verona, in realtà, il battito è lieve. Si intensifica allontanandosi sempre più dal confine lombardo e andando verso il Friuli, modello e aspirazione degli autonomisti. Vicenza, Padova, Venezia e fino Treviso. Più su, a Belluno sono persino oltre: il 22 ottobre voteranno per l’autonomia della provincia, da sempre afflitta (e affetta) dalla gelosia (legittima) nei confronti delle ricche e potenti vicine province di Trento e Bolzano, autonome dal 1972. A queste latitudini i confini (e le ricchezze) si palesano già dal manto stradale: basta percorrere la strada che da Calanzo di Cadore raggiunge Cortina e poi sale verso San Candido. Dove inizia la provincia di Bolzano, poco dopo Misurina, l’asfalto ha un gradino di un centimetro almeno. E tutt’intorno sembra un altro mondo.
Ed è solo una questione di schèi, di quattrini che restano sul territorio invece di finire nel calderone dello Stato centrale. “Noi votiamo per questo: nella speranza di non veder più sperperati i soldi che paghiamo di tasse”, dice Sara Marchetto, 23enne, mentre sfoglia i giornali locali all’edicola bar che accoglie chi arriva a Vicenza provenendo da Verona. “Sono un po’ demoralizzata perché non so quanto poi la nostra autonomia sarà riconosciuta e rispettata, ma dobbiamo farci sentire e provare a farci valere: più siamo a votare e meglio è”, aggiunge ripetendo, forse involontariamente, le parole del governatore Luca Zaia: “Dobbiamo raggiungere almeno l’80%” dei votanti. Vuole un plebiscito. E sa che potrebbe ottenerlo. Zaia è cresciuto sotto la bandiera leghista – che l’ha portato fino a occupare la poltrona di ministro dell’agricoltura – ma è stato capace di rendersi autonomo (per restare in tema) dal movimento, tanto ormai da essere il presidente di Regione più amato e apprezzato d’Italia, secondo il Monitor Index Research pubblicato poche settimane fa, il 27 settembre. E se persino il deputato del Pd, ex magistrato e candidato sindaco di Venezia, Felice Casson, si dice favorevole al Sì al referendum, è in parte merito del profilo tenuto da Zaia in questi sette anni di guida della Regione. A Vicenza, sabato mattina davanti il Santuario di Santa Corona, molti parlano del referendum ma quasi tutti vorrebbero ricorrere all’anonimato. Tranne Elio Crosara. Che esordisce proprio plaudendo l’operato del governatore. “Non solo reputo giusto che ci venga riconosciuta una autonomia, ma è ormai un nostro assoluto diritto: abbiamo trainato per troppo tempo l’intero Paese senza ricevere nulla in cambio”. Appare inutile ribattere che se fossero fossi già autonomi, avrebbero dovuto ripianare loro le banche popolari Venete da poco andate in malora, salvate invece dai miliardi arrivati da Roma. “Io sono un ex dipendente della popolare di Vicenza e le dico che sicuramente non saremo arrivati a quel punto: l’emoraggia si sarebbe fermata prima”. Difficile da credere, considerato che la crisi è stata creata proprio in famiglia, tra veneti. Ma tant’è. Il signor Crosara è vota Sì e spera di svegliarsi il 23 ottobre “in una Regione più simile al Friuli”.
Da Vicenza a Padova ci sono una manciata di chilometri ma se possibile, nella città di Sant’Antonio, i miracoli sono ritenuti ancora più scontati. Nella basilica persino alcuni frati ammettono di aspettare con curiosità il voto del 22 ottobre. Difficile riuscire a farsi spiegare il perché. Prova Diego Bonavina, avvocato cultore di diritto costituzionale e allievo del professor Livio Paladin, confida “l’assoluta intenzione di votare per il Sì”. Io, prosegue, “sostengo da tempo risalente come la Regione Veneto presenti tutte le condizioni predisponenti a un’ampia autonomia di tipo regionale che vada oltre la forma ordinaria”. In città ci sono anche alcuni centri ricreativi che organizzano delle serate di preparazione al referendum. Purtroppo non durante i fine settimana. Pure la turistica e nobile Venezia ha perso la testa per il voto del 22 ottobre. Ma non stupisce. Qui giusto venti anni fa esatti un gruppo di secessionisti occupò il campanile di piazza San Marco con un improbabile carro armato. E basta un colpo d’occhio all’isola di San Giorgio, dove ha sede il circolo velico tra i più belli d’Italia dai tempi del Moro di Venezia di Raul Gardini, quasi tutte le barche mostrano orgogliose la bandiera della Serenissima, rossa con leone di San Marco, più di quella tricolore.
Avvicinandosi ai confini di questa Regione che aspira a tornare Repubblica i simboli aumentano a ogni calle o strada o tornante. Treviso è la provincia che più di tutte, con ogni probabilità, sosterrà il Sì nelle urne. Qui si vedono i primi manifesti per l’autonomia. C’è persino una sorta di “covo degli autonomisti”, ride Fabio Dal Pos. Lui è il proprietario del “covo”: il bar, osteria, affitta camere Da John. È anche club milanista. “Certo che dobbiamo votare, qui siam tutti per il Sì, ci mancherebbe”. Indica una tavolata tonda con dodici persone attovagliate. È venerdì sera. “Ti pensi di cosa parlan qui sempre? Il 22 è tipo il giorno della liberazione da queste parti”. Ancora una volta il motivo, l’Eldorado, il miraggio, il miracolo è sempre quello: l’aspettativa di avere un ritorno economico. “I nostri soldi devono rimanere qui, magari non tutti ma di sicuro non devono più andare altrove tutti com’è stato finora”.
Quella che era la locomotiva dell’Italia si sente un Frecciarossa. “Le aziende qui sono famiglie, chi lavora viene premiato: non è come il resto d’Italia”. Pierluigi Girardini dell’ononimo gruppo ne è l’esempio: ha appena distribuito ai dipendenti un premio da mille euro in base a risultati raggiunti. Gli utili qui non se li intascano i padroni perché “senza uomini non sarebbero niente”. Quindi più soldi rimangono sul territorio e più soldi vengono distribuiti a tutti. Schèi. I soliti schèi.
A Santa Maria del Rovere spunta pure lo Sceriffo, Giancarlo Gentilini, l’ex leghista che si presentò in parlamento con gli anfibi. Venerdì sera ha radunato 160 fedelissimi per una spaghettata in una bocciofila. Interrogarli sulla loro posizione in merito al referendum del 22 è superfluo. Snocciolano dati: nel piano del Governo per le infrastrutture dal 2016 al 2020 l’Anas in Veneto spenderà appena 647 milioni su 23,4 miliardi, appena il 3%, rispetto al 56% destinato al Sud (13 miliardi). Ed è vero.
Saliamo verso il confine, San Vendemiano, Bibano di Godega. “Qui abbiamo il nostro futuro a cinque chilometri”, Renato Giamel indica una strada che si perde nella nebbia. Lì c’è il Friuli. Dal barbiere al parroco da queste parti lo sguardo è fissato verso quel confine. Con la speranza di potersi “sentire come loro presto”, dice Giamel. Il perché? “Possono spendere i loro soldi”. Verona, Vicenza, Padova, Venezia, Treviso, i veneti vogliono l’autonomia. Per quella cosa lì: gli schèi.