
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il referendum di domani è di quelli senza il quorum.
• Quorum? Quorum?
Il numero minimo di votanti. Siamo abituati ai referendum in cui se non va a votare il 50%+1 degli aventi diritto la consultazione è nulla. Nei referendum a cui siamo abituati i favorevoli al No - qualunque sia il quesito - fanno in genere campagna per l’astensione o, se stanno al governo, limitano il più possibile la comunicazione in modo da mandar deserte le urne. È andata così quasi sempre negli ultimi decenni. Ma il referendum di domani non è di questo tipo. Cioè non è un referendum «abrogativo», quel tipo di referendum con cui cancelliamo, in tutto o in parte, una legge. Stavolta si tratta di un referendum «costituzionale», bestia assai più rara. Si tratta di questo: il Parlamento, votando quattro volte, ha cambiato 47 articoli della Costituzione. Però non con una maggioranza di almeno due terzi. Quindi il popolo ha diritto di dire la sua, cioè di approvare o respingere quello che il Parlamento ha fatto. Niente quorum: anche se andassimo a votare io e lei soltanto, il referendum sarebbe valido. Se vincerà il Sì i 47 articoli modificati entreranno in vigore. Se vincerà il No ci terremo la situazione attuale. Quanto ai referendum abrogativi, tra gli articoli modificati con questa proposta di riforma costituzionale ci sono anche il 71 e il 75, relativi proprio ai referendum. Adesso, per indirne uno, bisogna raccogliere 500 mila firme e raggiungere il quorum. Se vincesse il Sì, la regola resterà uguale ma con questa piccola differenza: se le firme raccolte saranno almeno 800 mila, nei referendum abrogativi non ci sarà più bisogno del quorum.
• Tornando al Senato: se vince il No ci troveremo con una legge elettorale per eleggere i deputati e con un’altra legge elettorale per eleggere i senatori. Tutti dicono che in questo caso si formeranno due maggioranze diverse e sarà impossibile governare, a meno di grandi ammucchiate.
È la ragione per cui molti pensano che il referendum riguardi la legge elettorale e il governo Renzi. E invece no. Non votiamo sulla legge elettorale o sul governo Renzi, ma dobbiamo solo dire se i 47 nuovi articoli ci piacciono o no. Il voto, cioè, è tecnico. Poi avrà di sicuro anche delle conseguenze politiche. Per esempio, se vince il No, bisognerà metter mano a una nuova legge elettorale. Altro esempio: se vince il No probabilmente Renzi darà la dimissioni. Ma non voglio affrontare adesso queste questioni di cui avremo modo di parlare nei prossimi giorni. Oggi stiamo stretti alla cosa, e cioè: che situazione avremmo se vincesse il Sì e i 47 nuovi articoli passassero, e che situazione avremmo se invece vincesse il No e ci tenessimo la vecchia Costituzione.
• Beh, conviene cominciare proprio dal Senato.
Oggi abbiamo un Parlamento formato da due Camere che esercitano le stesse funzioni. Dànno una fiducia preventiva al governo e approvano le leggi. Per chiarire: una legge fa avanti e indietro tra le due assemblee fino a che non viene approvato lo stesso identico testo. Nel nuovo sistema - se vince il Sì - la maggior parte del lavoro legislativo sarà compiuto dalla sola Camera, mentre il Senato sarà chiamato a dir la sua su pochi altri argomenti, per esempio l’approvazione delle leggi costituzionali oppure la «verifica dell’attuazione delle leggi dello Stato». Sarà la sola Camera a dare la fiducia al governo e quindi a configurarsi come assemblea più squisitamente politica. Questo cambiamento ha permesso di tagliare drasticamente il numero dei senatori, da 315 (+ 5 a vita) a 100. Questi 100 verranno scelti tra i membri dei consigli regionali (74) e tra i sindaci (21). Gli ultimi 5 saranno indicati dal presidente della Repubblica «per altissimi meriti» e resteranno in carica 7 anni (non rinnovabili). Nessuno di loro percepirà uno stipendio. Con quale sistema elettorale saranno eletti è ancora da stabilire.
• Che succederà quando si tratterà di eleggere il presidente della Repubblica?
È un’altra delle funzioni rimaste ai senatori. Si riuniranno in seduta comune con i deputati ed eleggeranno il capo dello Stato. Per essere eletto in uno dei primi tre scrutini, il nuovo presidente avrà bisogno dei 2/3 dei voti degli aventi diritto (come adesso). Dal quarto al sesto ci vorranno i 3/5 degli aventi diritto. E dal settimo basteranno i 3/5 dei votanti. Adesso, dal quarto scrutinio in poi, è necessaria la maggioranza assoluta degli aventi diritto.
• E per l’elezione dei 15 giudici costituzionali?
Tutto uguale, tranne per i cinque giudici scelti dal Parlamento. Oggi, Camera e Senato li eleggono in seduta comune. Domani, ne sceglieranno tre i deputati e due i senatori.
• Ci sono dei casi in cui il Senato può chiedere di intervenire sulle leggi approvate dalla Camera.
Sì. Intanto, il Senato esamina sempre la legge di Bilancio e può proporre modifiche entro 15 giorni dalla data in cui l’ha ricevuta. Poi, a maggioranza assoluta (51 voti), può chiedere di esaminare qualunque disegno di legge approvato dalla Camera e proporre modifiche entro 30 giorni dal momento in cui la legge gli è stata notificata. La Camera può approvare queste modifiche a maggioranza assoluta, oppure respingerle. Il Senato interviene in un’altra quantità di casi, quando si tratta per esempio di deliberare su «ordinamento, legislazione, organi di governo e città metropolitane», oppure sull’attribuzione di forme di autonomia alle Regioni oppure sulla ratifica dei trattati di appartenenza alla Ue. Infine, il Senato interviene sui decreti legge: ha dieci giorni di tempo per proporre modifiche, che poi la Camera deve approvare. Ricordiamo che il Senato si configura come Camera delle Regioni, ha il compito cioè di raccordare le attività del potere centrale con quello periferico.
• Eh già. Uno dei punti dolenti della normativa attuale è che Stato e Regioni sono in perenne conflitto.
La riforma punta a risolvere il problema e ad attribuire con sicurezza le varie questioni o allo Stato o alle Regioni. Intanto abolisce in via definitiva la Province e consegna una struttura amministrativa basata su: Stato, Regioni, Città metropolitane, Comuni. Con la riforma lo Stato ha avocato a sé le seguenti materie oggi concorrenti tra le due strutture: leggi sul commercio con l’estero, sulla tutela e sicurezza del lavoro, sulle professioni, sulla ricerca scientifica e tecnologica, sulla sicurezza alimentare, sull’ordinamento sportivo, sulla protezione civile, su porti e aeroporti civili, sulle infrastrutture strategiche e le grandi reti di trasporto, sulla comunicazione, sull’energia, sulla previdenza complementare e integrativa, sull’istruzione, sulla tutela della salute, sul governo del territorio, sul coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, sulla valorizzazione dei beni culturali e ambientali, sulle attività culturali. Alle Regioni restano il sostegno all’innovazione per i settori produttivi, il diritto allo studio e la formazione professionale, la programmazione e organizzazione dei servizi sanitari, la mobilità all’interno della regione, le relazioni finanziarie tra gli enti territoriali della regione, la valorizzazione dei beni culturali e le attività di esclusivo interesse regionale. Però la riforma introduce anche una «clausola di supremazia»: «Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non di sua competenza esclusiva per tutelare l’unità o l’interesse nazionale». Si direbbe che il prossimo passo di Renzi, se non sarà bocciato dagli elettori, sarà quello di abolirle del tutto, le Regioni.
• Che altro?
Ci sono ancora l’abolizione del Cnel e il giudizio preventivo di legittimità sulle leggi elettorali.
• Il Cnel non ho mai capito che cosa sia.
Citiamo l’articolo 99 della Costituzione, quello che lo istituisce e lo regola: il Cnel «è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa. È organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge. Ha l’iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge». In realtà è un organo di fatto spento. I 121 consiglieri iniziali sono stati ridotti con una legge a 64 e di questi ne restano in carica adesso 24, perché i 40 che se ne sono andati non sono mai stati sostituiti. L’abolizione di questo organismo divenuto di fatto inutile trova d’accordo anche i sostenitori del No e il contrasto è caso mai sulla cifra che si risparmia chiudendolo. Secondo il governo 20 milioni l’anno, secondo quelli del No tre milioni. Forse hanno ragione quelli del No, dato che i 57 dipendenti verrebbero trasferiti alla Corte dei Conti e il risparmio relativo ai loro stipendi va casomai spalmato nel tempo. Man mano che andranno in pensione, suppongo, non saranno sostituiti.
• Resta questa cosa strana del giudizio di legittimità eccetera.
Il giudizio di legittimità preventivo sulle nuove leggi elettorali. Quando il Parlamento approvasse una nuova legge elettorale, la Corte costituzionale potrebbe essere chiamata a pronunciare un giudizio preventivo di legittimità su ricorso di un quarto dei componenti della Camera oppure di un terzo dei componenti del Senato. La Corte dovrà pronunciarsi entro 30 giorni. Il suo parere sarà vincolante: se la giudica illegittima, la legge non potrà essere promulgata. Sempre, naturalmente, in caso di vittoria del Sì.
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