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 2016  dicembre 03 Sabato calendario

Quando nacque, Repubblica aveva un pubblico giovane e radicalizzato: erano per lo più studenti che tifavano per Ho Chi Min e Fídel Castro

All’inizio degli anni settanta, quando c’è un salto improvviso all’interno dei movimenti di piazza studenteschi e operai, la storia della repubblica torna alle origini: la guerra civile. C’è stato l’autunno caldo, poi la strage di Piazza Fontana e l’«affaire» Pinelli. Luigi Calabresi, commissario a Milano, viene assassinato da un commando del gruppuscolo d’ultrasinistra Lotta continua. È iniziata anche la danza macabra delle Brigate rosse. Siamo nel 1974, intrappolati nel loop infinito d’un Sessantotto da incubo fantascientifico, che ricomincia ogni mattina e non finisce mai.
È allora che nasce Repubblica. Fondato e diretto da Eugenio Scalfari, gazzettiere più robesperriano che azionista, nonché fondatore e direttore, diciotto anni prima, anche dell’Espresso, Repubblica è il giornale che interpreta e «impagina» la guerra civile. Fino a quel momento i giornali sono «filo» oppure «anti» governativi: una spruzzata d’opinione politica sopra una marea di pagine sportive e di cronaca nera. Repubblica è pura opinione politica: sono politiche anche la pagina degli spettacoli, lo sport e la moda, per non parlare degl’inserti culturali. Repubblica ha un pubblico giovane e radicalizzato: per lo più studenti che tifano per Ho Chi Min e Fídel Castro (oggi sono gruppi sparuti e folkloristici, all’epoca sono legione). Niente separazione dei fatti dalle opinioni. Quello di Scalfari è un punto di vista interno allo scontro, come lo sarà un paio d’anni più tardi quello del Giornale nuovo d’Indro Montanelli. Non si tornerà più indietro: il giornalismo è ormai diventato un’arena, dove si combattono battaglie fantasy campali, l’ordine contro il caos, elfi e nani, figli della luce contro figli delle tenebre.
A sua volta giornalista di rango, anche lui direttore di giornali, prima i quotidiani locali del gruppo, poi l’Espresso fino all’estromissione da parte di Carlo De Benedetti, Giovanni Valentini è a Repubblica fin dalla fondazione e, quarant’anni più tardi, ne racconta la storia sub specie memoir. È la sua storia personale: la storia d’un giornalista di «sinistra radical chic» (è così che la definisce lui stesso) non più così sicuro d’aver combattuto sempre dalla parte giusta (niente di strano, capita a tutti ogni giorno).
Ma è anche la storia del paese, dell’Italia ai tempi della guerra fredda, del compromesso storico e del terrorismo, dello choc petrolifero, di Andreotti-Belzebù e della P2, di Craxi e Berlinguer, di Tangentopoli e di Mani pulite, dell’«Ulivo mondiale» e del partito di plastica, del bunga bunga e infine dello spappolamento presente (Brunetta e D’Alema, il Bomba e le mezze pippe). Valentini, nel suo La Repubblica tradita, racconta un’Italia che si specchia nelle vicende editoriali di Repubblica (e degli altri giornali, che la prenderanno a esempio, più per i suoi molti difetti che per le sue rare virtù) come nel più fedele dei ritratti storici. È un’Italia distorta che s’aggiusta la cravatta ammirandosi in uno specchio distorto.
Repubblica è l’Italia di sinistra (ma non solo) in carta e inchiostro. Come l’Italia, buggerata dalla sua classe politica, anche Repubblica è stata «tradita», almeno secondo Valentini, che si riconosce ancora nel progetto identitario iniziale, quello d’una democrazia radicale e d’un liberalismo gobettiano spinto, vicino alle ragioni (e ai torti) della sinistra chic, erede della sinistra pesante togliattiana.
Sempre secondo Valentini, i due ex direttori della Stampa passati a dirigere Stampubblica (prima Ezio Mauro e adesso Mario Calabresi, figlio del commissario assassinato da Lotta continua e giornalisticamente «mascariato» da tutte le grandi firme che poi affluiranno a Repubblica) agiscono da commissari politici di poteri estranei. Può darsi che sia così (anzi, è certamente così).
Come può darsi che per il giornalismo impegnato e militante sia venuta l’ora di smobilitare. Di sicuro Repubblica non riesce più a «impaginare» l’Italia come faceva alle origini. Anche per l’Italia – oggi messa in pagina e «strillata» dai raid televisivi del Boyscout e dalle intemerate delle mezze pippe – è tempo di sbaraccamento.

Giovanni Valentini, La Repubblica tradita, PaperFirst 2016, pp. 144, 12,00 euro.