
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
L’alternanza scuola-lavoro è un’opportunità o un guaio?
Manuel, 17 anni, studente di un liceo classico romano, si è trovato a pulire i tavoli e i bagni di un fast food McDonald’s. Tania, 18 anni, all’ultimo anno di un liceo linguistico milanese, si è ritrovata impegnata a vendere scarpe sportive in un negozio Footlocker. Francesco, diciassettenne di un istituto professionale di La Spezia, è finito in un’azienda nautica e si è fratturato una tibia quando il muletto su cui lavorava si è ribaltato. E potremmo ancora continuare con altre storie.
• Perché mi racconta queste storie?
Sono solo tre delle migliaia di ragazzi che ieri hanno manifestato in settanta piazze in tutta Italia contro la cosiddetta alternanza scuola-lavoro, ovvero la legge 107 introdotta con la riforma Buona scuola approvata dal governo Renzi nel luglio 2015 e ora entrata quasi a regime. Il senso del progetto, che impone tirocini obbligatori in azienda agli studenti degli ultimi tre anni delle scuole superiori, è quello di dare ai 16-18enni la possibilità di imparare facendo qualcosa di concreto, avvicinarli ai contesti lavorativi più vari. Si tratta di 400 ore per gli alunni degli istituti tecnici e professionali e di 200 ore per quelli dei licei. Per il momento siamo in fase sperimentale, dal prossimo anno, fanno sapere dal ministero dell’Istruzione, l’alternanza andrà a regime con 1,5 milioni di ragazze e ragazzi coinvolti.
• Ma sono state manifestazioni pacifiche?
A Milano e Venezia ci sono stati lanci di uova e pomodori contro le vetrine di McDonald’s, colpevole di aver siglato un accordo con il ministero; per lo stesso motivo a Torino è stata presa di mira una filiale di Zara; scontri tra studenti e polizia davanti al McDonald’s di Palermo, in piazza Castelnuovo, dove era in corso un sit non autorizzato. Cortei, striscioni, e qualche zuffa. Niente di più. Le manifestazioni autunnali sono un classico del movimento studentesco, ma da qualche anno non si vedevano cortei così agguerriti e partecipati. A dire la verità, stando ai proclami, i ragazzi protestavano anche per gli intonaci che si staccano nelle aule, per l’insufficiente manutenzione delle scuole e per la mancanza di fondi per il diritto allo studio. Ma il vero tema, quello da titoli sui giornali, è l’alternanza scuola-lavoro.
• Mi sembra un modo per offrire stagisti non pagati a aziende e multinazionali.
Se la sentisse il ministro, o meglio, la ministra Valeria Fedeli la bacchetterebbe. «Non confondiamo l’alternanza con l’apprendistato», ha precisato. Qui dobbiamo parlare di «innovazione didattica inserita nella scuola, per consentire ai ragazzi di completare il proprio percorso formativo con competenze nuove, che difficilmente maturerebbero nel solo ambito scolastico». Mentre con l’apprendistato si impara «come si fa un lavoro». Tradotto: la scuola superiore non vuole formare lavorativamente i ragazzi con questi tirocini, ma far loro assaggiare la varietà del mondo lavorativo, con i suoi lati più oscuri e i suoi lati stimolanti. «Non siamo merce nelle mani delle aziende», ha detto la delegazione di studenti ricevuta ieri dalla Fedeli, «e le nuove regole che stanno per essere introdotte non definiscono la gratuità dei percorsi di alternanza e non introducono limiti temporali, quindi sarà ancora possibile sfruttare i ragazzi durante le vacanze estive». Un sondaggio condotto dall’Unione degli studenti sembra dimostrare, in effetti, che qualcosa non funziona: il 57% degli intervistati si dice costretto a seguire percorsi di alternanza non attinenti al proprio corso di studi, il 40% ha dichiarato violazioni dei diritti sul luogo di lavoro; il 38% ha denunciato di aver dovuto pagare per seguire il percorso obbligatorio. In più, professori e genitori si fanno prendere dall’ansia dei programmi che restano indietro, e dei ragazzi mandati «a fare fotocopie».
• Infatti, non sarebbe meglio che rimanessero in classe a studiare?
Il tema mi pare più complesso di così. Certamente i nostri ragazzi dovrebbero imparare a impegnarsi seriamente nello studio ed essere giudicati severamente dai professori. È il solito discorso che abbiamo fatto decine di volte: una buona parte degli studenti italiani escono dal ciclo scolastico impreparati, con evidenti lacune, come dimostrano i confronti con i loro coetanei europei e non solo. Allo stesso tempo non è poi così sbagliato far uscire i giovani dalle aule, farli confrontare con situazioni che non conoscono, rimboccandosi le maniche e, perché no, sporcandosi le mani.
• Ma all’estero come funziona?
Per rimanere vicino a noi, in Francia, Germania o Gran Bretagna la scuola è congegnata in modo da accompagnare i giovani verso quelle professioni di cui le imprese hanno maggior bisogno. Come ha ricordato di recente Maurizio Ferrara sul Corriere della Sera, più della metà dei ragazzi tedeschi segue percorsi di istruzione con una forte componente professionale già nella scuola secondaria, poi entrano nelle imprese come apprendisti. Se pensiamo poi agli universitari, in Italia solo il 4% alternano studio e lavoro. La media europea è del 12,9%, mentre in Germania si supera il 20%. I nostri ragazzi si laureano intorno ai 28 anni, festeggiati da mamma e papà, senza essere mai stati in un’azienda. I loro colleghi tedeschi, invece, lavorano già almeno da cinque anni.
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