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 2017  ottobre 14 Sabato calendario

APPUNTI PER LA GAZZETTA DELLO SPORT SUI 10 DEL PD –

IL POST.IT - A CHE PUNTO È IL PD - 
Il Partito Democratico ha dieci anni: «avrei detto di più», viene da dire, ma pensandoci un momento l’Italia di dieci anni fa era proprio un’altra cosa, lontana trent’anni almeno. Per dire, la data del 14 ottobre a cui è attribuito il compleanno – quella dell’elezione dell’assemblea costituente alle primarie – dava anche il nome a un apposito comitato promotore “14 ottobre”, di cui facevano parte Lamberto Dini, Rosa Russo Iervolino, Marco Follini, Ottaviano Del Turco, Agazio Loiero, fra gli altri. Sono cambiate un sacco di cose: fuori e dentro il PD.Un giudizio su cosa sia il PD a dieci anni incontra un primo problema: il rischio di sovrapposizione di quello che è il PD con quello che è il PD di Matteo Renzi, ovvero il PD di questo momento esatto. È una sovrapposizione in parte legittima: Renzi è stato segretario del PD per quasi quattro anni su dieci, più di chiunque altro. Ne è oggi il leader più rappresentativo di sempre, per durata e per attualità. Però il PD non è solo il PD di Renzi. Proviamo a distinguere, fino a un certo punto.I tre partiti politici italiani più importanti e popolari sono nati tutti negli ultimi 25 anni. Il PD è quello che appare più solido, forte di fondamenta che venivano da più lontano: le sue quotidiane fragilità sono soprattutto “percepite”, perché proprio il suo ruolo preminente nella storia e nella politica lo mettono al centro di polemiche quotidiane, e anche perché ha per sua natura militanti ed elettori con maggiore e più complessa attitudine critica. Il suo progetto di aggregazione – in tempi maggioritari – di due elettorati con molte cose in comune si è dimostrato vincente, malgrado l’inevitabile effetto collaterale sia un partito mai monolitico e compatto. Prendiamo due sistemi di misurazione piuttosto immediati: è il partito dato in testa o quasi in testa nei sondaggi pur essendo il partito leader di governo, ed è al governo ormai da sei anni, e da quattro e mezzo come partito di maggioranza con un suo rappresentante come presidente del Consiglio. Malgrado gli sfilacciamenti a sinistra – che durano e si attorcigliano poco proficuamente da decenni – il PD occupa il posto di partito maggiore e di riferimento del centrosinistra: ed è un ruolo non a rischio né in discussione.
Contemporaneamente, l’applicazione di questo progetto ha mancato di espandere questo rinnovamento nelle varie articolazioni e meccanismi del partito, e soprattutto nelle sue organizzazioni locali. Non era facile – l’Italia è un paese proverbialmente resistente all’innovazione e alla modernità – ma l’impressione è che i leader del PD abbiano ipotizzato con troppa stanchezza che una volta inventato il PD il resto sarebbe venuto da sé.Il risultato sono strutture di partito che localmente e soprattutto al centrosud – ovvero nei luoghi più importanti – sono affidate ancora troppo a logiche disdicevoli e persone inadeguate, complice anche una disillusione ormai longeva che spinge i più brillanti, ambiziosi e benintenzionati a cercare soddisfazioni e risultati in campi diversi dalla politica. Ci sono tantissime eccezioni, naturalmente, e il PD funziona sul lavoro di molte brave e benintenzionate persone, ma le sue leadership non hanno trasmesso in giro molto del suo progetto di innovazione, al massimo un temporaneo entusiasmo. Lo dimostra la facilità con cui tanta parte del partito è diventata “renziana” in un batter d’occhio, con una crocetta su una casella: ma d’altro canto le leadership del PD non hanno di certo formato e introdotto un ricambio così soddisfacente.E qui torniamo a Renzi, colpevole di due fallimenti, uno ormai palesemente congenito e uno acquisito in corsa, che oggi segnano i limiti di un PD moderno. Quello congenito è una palese incapacità alla condivisione con altre personalità alla sua altezza, e alla formazione di una classe dirigente di eccellenza: quella per cui sono state imbattibili le generazioni nei partiti predecessori del PD. Senza nulla togliere alle persone capaci che oggi ci sono nel PD e nel governo per conto del PD, non esiste nel PD renziano nessun altro leader che non sia Renzi. Il quale ha costruito un sistema di affidabili esecutori della volontà di Renzi (che è una volontà, non è nemmeno un progetto di cui ci si possa appropriare e che si possa declinare in autonomia), limitando sistematicamente l’inserimento e la crescita di chiunque non corrispondesse a questo ruolo e non incentivando in nessun modo la costruzione – è un lavoro, complesso, impegnativo – di un gruppo di personalità di spicco individuale. Sia nella politica che fuori, come si è visto dal ritorno ai più soddisfacenti fatti propri di quasi tutti i personaggi di successo che i primi entusiasmi renziani avevano coinvolto verso le cose pubbliche.Se domani Renzi si mettesse in vacanza, il PD di questi anni e il suo progetto scomparirebbero (in questo sì, è come Berlusconi): tutt’altro prenderebbe il loro posto, e si fatica a figurarsi attraverso chi. Non per dire che sarebbe necessariamente un male, ma di certo non depone a favore della forza del PD renziano. Oggi, per dire, Renzi celebra i dieci anni del PD in un evento assieme a due altri leader del partito, e quei due vengono entrambi della generazione e della storia precedente (pur essendo parte integrante e meritoria del PD di oggi, a differenza di altri che venivano dalla stessa storia): Gentiloni e Veltroni.Il secondo fallimento di Renzi è l’abbandono del vero progetto rivoluzionario per l’Italia e per questi tempi, che era stato il superamento della politica e della società basate sulle divisioni e sulla riga per terra, e la ricostruzione di un’idea dell’Italia come una comunità con un interesse condiviso, o in gran parte condiviso. È stato un elemento essenziale e prezioso dell’ascesa renziana, con i coraggiosi attacchi alla povertà controproducente della logica berlusconismo/antiberlusconismo, con le intenzioni esibite di coinvolgimento di parti più estese di elettori, con la saggia scelta di ottenere il necessario consenso senza snaturare i progetti, con la capacità di ottenere persino un’unità vincente a sinistra, come nell’elezione di Mattarella. Ma è un elemento che si è perduto: probabilmente anche a causa delle frustrazioni e degli ostacoli, ma a tutti era chiaro che frustrazioni e ostacoli sarebbero stati enormi. Il PD di Renzi è di nuovo un partito da riga per terra, che chiama “gufi” gli avversari, che cerca una legge elettorale con la fiducia, che dice a sinistra “si arrangino, se la sono cercata”. E l’obiezione “hanno cominciato loro” o “se la sono cercata” – divenuta frequentissima nella comunicazione dell’entourage renziano – non è degna delle ambizioni di quel primitivo progetto: il consenso mancante si cerca, non si snobba. Altrimenti perdi i referendum decisivi, e te lo meriti.Con la riga per terra, al massimo puoi vincere e sconfiggere: ma non duri, come si è visto, e come si sta vedendo in tutto il mondo, dove il tasso di mortalità politica dei leader è divenuto altissimo, e il caso di maggior longevità politica che viene immediatamente in mente è quello di Angela Merkel, non a caso. Il vero progetto coraggioso, oggi, è superare la riga per terra.E appunto, per concludere, il PD odierno si giudica dai risultati: sopra quelli già citati, c’è il più grosso di tutti, ed è una sconfitta spettacolare, che nessuna leadership seria può attribuire a colpe altrui, se vuole essere leadership. Ovvero la sconfitta che ha annullato il progetto delle riforme, riportato l’Italia venti caselle indietro verso un sistema proporzionale e di probabile ingovernabilità, diminuito spettacolarmente il potenziale futuro del leader più promettente che il centrosinistra abbia avuto negli ultimi decenni. È passato un treno. Era un treno, bisogna riconoscerlo, ed è passato, bisogna riconoscerlo.Adesso, mentre scriviamo e leggiamo, è rassicurante sperare che ce ne sia uno da qualche parte lontana, che è partito e ancora non lo sappiamo, e ripasserà: che come dieci anni fa una serie di movimenti dentro e fuori il PD si congiungano fortunatamente e diano forza a nuovi capaci rappresentanti di cambiamento e ricostruzione dell’Italia malmessa. I più ottimisti investono in una maggiore maturità di Renzi, che tolga alle sue qualità i limiti che ad altri sembrano ormai insuperabili: sul piano concreto però non c’è stata traccia di nessun ripensamento di niente, dopo il fallimento.Intanto c’è un PD che è al governo, e un suo presidente del Consiglio che sta avendo un moderato effetto calmante sul proprio paese, effetto che gli è riconosciuto da tutte le persone di buona volontà: è un risultato che sarebbe più apprezzabile se l’Italia non avesse bisogno di molto altro (e se non conoscesse sbandate come quella della fiducia su una legge elettorale poco eccitante), ma è qualcosa. Ed è del PD.

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LA GAZZETTA DELLO SPORT 14/10/2007  - Oggi nasce il Partito democratico... 
• Avevo idea che fosse già nato.Perché se ne parla da anni e ancora più intensamente dallo scorso aprile, quando i congressi della Margherita e dei Democratici di sinistra votarono il proprio scioglimento e la confluenza in una nuova formazione politica. Il Partito democratico, appunto. Da allora non si fa che aspettare la data di oggi e far calcoli, non tanto sul vincitore delle primarie, quanto su quello che accadrà a partire da domani, quando il Partito democratico esisterà sul serio.
• Primarie?Primarie. Il Partito democratico nasce oggi perché oggi si vota per l’elezione del segretario. Oddìo, adoperare la parola “primarie” è effettivamente improprio: è l’elezione diretta del capo da parte di quelli che saranno i futuri elettori del Pidì. Però, in un altro senso, il termine “primarie” è giusto. Il segretario del Pidì sarà anche l’avversario di Berlusconi alle prossime elezioni politiche. Cioè correrà per la poltrona di primo ministro. In questo senso – nel senso che selezionano un candidato – le elezioni di oggi sono effettivamente delle “primarie”.
• Chi è in gara per questo posto di segretario?Cinque nomi: il sindaco di Roma Walter Veltroni; Rosy Bindi, ministro della Famiglia; Enrico Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e nipote di Gianni Letta (il braccio destro di Berlusconi); Mario Adinolfi, cattolico e blogger; Pier Giorgio Gawronski, economista e nipote di Jas Gawronski (europarlamentare di Forza Italia). L’ordine in cui glieli ho elencati è anche quello in cui dovrebbero classificarsi nella corsa alla leadership. Cioè stasera Veltroni dovrebbe essere il segretario del Pidì e Dario Franceschini, che ha fatto ticket con lui, dovrebbe essere il suo vice. La Bindi dovrebbe essere seconda e avrà carte da giocare in base ai voti ricevuti. Le previsioni dicono che «un milione di partecipanti al voto sarebbe un successo straordinario» (Veltroni) e che il sindaco di Roma dovrebbe raccogliere tra il 70 e l’80 per cento dei consensi. Il confronto è inevitabilmente con le primarie che candidarono Prodi: quattro milioni di votanti e quasi il 75 per cento dei suffragi. Veltroni ha già rinunciato a vincere sul piano della partecipazione. Che accadrà se invece di prendere il 70-80 per cento dei voti, dovesse fermarsi al 50 o magari al 45 per cento? Come vedersela, eventualmente, con una Bindi più forte del 15-20 per cento?
• Come?Per esempio, creando due vicesegretari, tutti e due di provenienza Margherita: tenersi Franceschini e cooptare la Bindi. Che però sarebbe il vero vice, avendo ricevuto una così forte legittimazione elettorale. La Bindi oltre tutto sarebbe, nel vertice del Pidì, la voce di Prodi, che nella Margherita aveva scarso seguito e che qui potrebbe ritrovarsi invece con una rappresentanza più consistente. Sono rimasto colpito dal fatto che Arturo Parisi, l’intelligente braccio destro del presidente del Consiglio, abbia fatto sapere di aver predisposto degli exit-poll per stasera, in modo da dar subito un’idea sul vincitore e sulla sua forza. I dati che contano, che dànno il tono alla titolazione dei quotidiani del giorno dopo, sono quelli delle prime ore. Se risultassero molto favorevoli a Rosy, Veltroni sarebbe già nei guai, anche se lo spoglio finale gli migliorasse poi il risultato. Però da questo punto di vista – organizzazione del consenso, controllo sull’informazione – Veltroni è un maestro. Sarà interessante vedere come sarà giocata questa partita nella partita, cioè il match della “percezione da trasmettere”.
• Certi amici dicono che, con Veltroni in sella, Prodi se ne andrà a casa. Altri sostengono che il Partito democratico farà più forte il governo.Gli ex ministri e sottosegretari di Margherita e Ds sono da oggi ministri del Partito democratico. Non prendono più ordini da Fassino e Rutelli, ma devono confrontarsi con Veltroni (probabilmente). Che farà il sindaco? Ha già detto che vuole un governo più snello, e s’è sentito rispondere abbastanza seccamente da Prodi che decisioni di questo genere spettano solo alla presidenza del Consiglio. Veltroni ha però bisogno di recuperare consensi, e un esecutivo più magro, un esecutivo meno «casta» parrebbe la premessa indispensabile per la risalita. Significa che a gennaio le carte dovranno essere redistribuite fra tutti i partiti della coalizione a un tavolo a cui siederà l’uomo nuovo del centro-sinistra. Le condizioni fisiche del paziente (cioè il governo) potranno reggere l’operazione? E se l’intervento avesse un esito infausto, il segretario del Pidì sarà pronto a sostituire Prodi a Palazzo Chigi? [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 13/10/2007] (leggi)
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MASSIMO FRANCO, CORRIERE DELLA SERA 14/10 – 
IL PARADOSSO DI UN PARTITO IN CONFLITTO CON I PADRI NOBILI 

Forse dipende soprattutto dalla riforma elettorale e dalla scissione: sebbene si abbia l’impressione di una rottura più di fondo. È un fatto che la festa del decennale del Pd oggi avviene nell’assenza o nel silenzio ostile dei suoi «padri nobili». Si tratta della certificazione di una forza che ha deciso di emanciparsi dai suoi personaggi-simbolo; e che è coprotagonista di quella scomposizione a sinistra vissuta in gran parte dei Paesi europei. Colpisce che sia il fondatore dell’Ulivo, Romano Prodi, sia l’ideologo di quella operazione, Arturo Parisi, oggi non ci saranno.
Né ci sarà l’ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che si prepara a parlare in Senato contro la legge voluta dal Pd, e appoggiata dal Quirinale. Se si aggiungono le autoesclusioni traumatiche di Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani, registi della scissione dai dem, risalta l’immagine di un partito di «parricidi»: una realtà che la presenza di Walter Veltroni non basta a bilanciare. E, probabilmente uno degli effetti secondari dello scontro sul nuovo sistema di voto finirà per sovresporre presto la seconda carica dello Stato, Pietro Grasso.
La richiesta di fiducia sulla riforma a Palazzo Madama farà apparire in bilico anche la terzietà del presidente del Senato: come la fiducia alla Camera ha schiacciato sul Pd il premier Paolo Gentiloni. Il mancato invito a Prodi e allo stesso Parisi è probabilmente frutto solo di «sciatteria», sottolinea piccato l’ex ministro: al punto da definire l’appuntamento odierno «invece di un giorno di festa, un giorno di lutto»; e con un giudizio durissimo sul cosiddetto Rosatellum, «grave nel merito e nel metodo», secondo Parisi.
Sono le parole deluse di un ostinato difensore del maggioritario. Di fronte a una legge che apre la strada a un ritorno al proporzionale e a governi assimilabili all’unità nazionale, si percepisce la fine di un’epoca. Ma c’è, altrettanto trasparente, il timore di una reale ingovernabilità. La convinzione di alcuni dei «padri nobili» è che la forzatura delle ultime ore in Parlamento sia stata probabilmente una scelta inevitabile; e tuttavia foriera di altri strappi, e riflesso di una crisi dei partiti tradizionali in tutta Europa.
Il ridimensionamento secco dei socialdemocratici alle ultime elezioni in Germania, e l’affanno perfino della cancelliera Angela Merkel e della sua Cdu, sono segnali d’allarme: come lo era stato la vittoria del movimento trasversale di Emmanuel Macron in Francia, nonostante l’argine decisivo contro l’ultradestra. La sinistra ne è uscita umiliata. Prodi, d’altronde, ha notato di recente che approvare una riforma in extremis, percepita come un’alleanza di «tutti contro i Cinque Stelle», sarebbe stato un regalo al M5S. Dalle reazioni feroci e grevi di Beppe Grillo, si intuisce una gran voglia di «venderla» così. Le elezioni diranno chi ha sbagliato i calcoli.

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ILSOLE24ORE.COM 14/10 – Dall’Ulivo all’era Renzi, 10 anni di Pd1/10  
Nasce il nuovo partitoIl 14 ottobre del 2007 è la data dell’elezione della costituente per il Pd. Qualche mese prima si erano svolti gli ultimi congressi di Ds e Margherita. Era stato Romano Prodi, nel corso del 2006, a lanciare la proposta di un Manifesto per il Partito democratico redatto da personalità del mondo della cultura e della politica.

2/10  Veltroni segretarioIl primo segretario del Pd è Walter Veltroni, che vince le primarie dopo aver lanciato la sua candidatura in un discorso al Lingotto di Torino nel marzo del 2007. “Fare un’Italia nuova. È questa la ragione, la missione, il senso del Partito democratico”, dice nel suo intervento.

3/10  Franceschini “traghettatore” verso la segreteria BersaniSconfitto dal Pdl alle elezioni 2008 (alle quali si era presentato solo in alleanza con l’Idv) e dopo la perdita della regione Sardegna, nel febbraio 2009 Veltroni si dimette da segretario. Dario Franceschini sarà segretario ’traghettatore’ fino alle successive primarie, che segnano il trionfo di Pier Luigi Bersani.

4/10  Rutelli lasciaFrancesco Rutelli è il primo a lasciare il Pd nel 2009, due anni dopo la fondazione. Già presidente della Margherita e candidato premier dell’Ulivo nel 2001, Rutelli disse addio al partito dopo l’arrivo alla segreteria Pd di Pier Luigi Bersani alla fine del 2009.

5/10  Nel 2013 primo partito, ma con 4 milioni di voti in menoDopo la caduta del governo Berlusconi e il governo Monti, nel febbraio 2013 si tengono le elezioni politiche. Il Pd è il primo partito ma perde quasi 4 milioni di voti rispetto alle politiche del 2008 e non è in grado di governare

6/10  Bersani si dimette, arriva EpifaniNell’aprile del 2013, dopo il blitz dei 101 franchi tiratori nell’elezione del presidente della Repubblica contro Romano Prodi, candidato del partito, Pier Luigi Bersani si dimette da segretario. Giorgio Napolitano viene rieletto presidente e dà a Enrico Letta l’incarico di formare un nuovo governo. Il segretario ’traghettatore’ questa volta è Guglielmo Epifani

7/10  Si apre l’era RenziNel 2013 Matteo Renzi si candida alle primarie per la segreteria e viene eletto battendo Gianni Cuperlo e Pippo Civati. E’ il via all’era Renzi.

8/10  Primi malumori, Civati lasciaDopo la conquista della segreteria da parte di Renzi nel 2013, nella sinistra interna si accendono i primi malumori che porteranno alla scissione. Il primo a lasciare è Pippo Civati, che fonda il movimento “Possibile”

9/10  La scissione: nasce Sinistra italianaDopo Civati, nel 2015 abbandonano il Pd anche Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre, deputati dell’ala bersaniana. che danno vita al nuovo gruppo parlamentare “Sinistra italiana” al quale aderiscono 31 deputati

10/10  Rottura definitiva: nasce MdpE’ la sconfitta di Renzi al referendum del 4 dicembre 2015 a segnare la definitiva rottura con la minoranza bersaniana: nel febbraio 2017 nasce nasce Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista, con leader Roberto Speranza, Arturo Scotto, Enrico Rossi e Pier Luigi Bersani. Nel gruppo entrano anche Massimo D’Alema e Guglielmo Epifani.

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ILSOLE24ORE.COM 14/10 – Roma. Era infatti il 14 ottobre del 2007 quando dal matrimonio di Ds e Margherita, figli della tradizione comunista il primo e di quella democristiana la seconda, veniva fondato questo partito. Il primo segretario è stato Walter Veltroni. Dieci anni in cui in Italia si sono alternati al governo Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni. Dieci anni in cui è cambiato il paese, ma anche l’Europa e il mondo.
Il grande assente: Romano Prodi Sulla festa che si è svolta questa mattina hanno pesato tuttavia le spaccature sulla legge elettorale e l’assenza annunciata di Romano Prodi, uno dei padri nobili de L’Ulivo che, sotto la sua guida, ha unito forze politiche con storie diverse: Pds (l’allora Partito democratico della sinistra), Popolari, Verdi, Italia dei valori e Socialisti. Arturo Parisi, braccio destro del professore, non ha esitato a dire che «il decennale, invece di un giorno di festa, s’è trasformato in un giorno di lutto»: parole amare all’indomani del via libera della Camera al Rosatellum-bis, la nuova legge elettorale. Un via libera che ha registrato la decisione del governo Gentiloni di mettere la fiducia sui primi tre articoli. Interpellato ieri a Bologna sulle nuove regole per votare, Prodi ha risposto: «Non ne parlo neanche sotto tortura...».
Presenti invece all’Eliseo Veltroni, il premier Paolo Gentiloni e Matteo Renzi. «Vorrei che la legislatura si concludesse con l’approvazione dello ius soli. Paolo e Matteo fate ciò che è necessario», ha detto Veltroni, aprendo la celebrazione. Immediata la risposta del capo del Governo: «Spero che saremo orgogliosi di poter dire che il diritto dei bambini che frequentano le nostre scuole ma sono nati da genitori stranieri possono avere il diritto alla cittadinanza. Stiamo lavorando per approvare la legge entro questa legislatura». Quanto poi all’esperienza politica del Pd, il presidente del Consiglio ha ricordato che il partito, che incarna i principi della «sinistra di governo», ha «vinto» la sfida di governo in questa legislatura e ora ci vuole «una conclusione ordinata contando nel ruolo di alta garanzia del presidente Mattarella dimostrando che anche nelle condizioni più impervie si può governare tenendo fede ai nostri principi e valori».
L’attacco di Renzi a Mdp: «Chi se ne va sta tradendo se stesso»«Il Pd non appartiene a chi è sul palco oggi», ha attaccato Renzi durante il suo intervento dal palco. Nel mirino dell’ex premier i fuoriusciti di Mdp (Articolo 1 - Movimento democratico e progressista). Secondo Renzi, dunque, «il Pd appartiene al popolo che lo ha creato e chi se ne va sta tradendo se stesso. Abbiamo un nemico: è l’autoreferenzialità, il parlarsi addosso, le nostre divisioni». E senza l’intuizione del Pd, ha aggiunto, oggi la sinistra in Italia sarebbe irrilevante come in altri paesi europei.
Secondo il segretario del Pd «l’avversario è il centro-destra. Se passa come spero il Rosatellum abbiamo di fronte a noi un corpo a corpo in tutti i collegi con un centrodestra populista, che ci ha lasciato con lo spread e la più grande crisi economica del dopoguerra. O noi saremo nelle condizioni di capire che questa è la sfida o rischieremo di perdere non noi come Pd ma l’Italia». Gentiloni ha ricordato che «l’alternativa è tra chi pensa sia possibile rifugiarsi nelle pantofole della propria biografia e chi accetta la sfida del governo, obiettivo che è nato con la nascita del Pd».
D’Alema: il Rosatellum allunga la distanza tra noi e il PdAlla vigilia della kermesse il segretario dei dem ha rivendicato il ruolo del suo partito: «Il Pd è oggi l’argine più forte all’estremismo delle destre e al populismo a 5 stelle», ha sottolineato. Unico partito «senza padrone», ha aggiunto, «una comunità in cui tutti possono sentirsi a casa e nessuno è padrone». Ma per Massimo D’Alema di Articolo 1 - Mdp il Rosatellum «allunga la distanza tra noi e il Pd» già segnata da iniziative come Jobs act e Buona scuola. E oggi in un’intervista a La Repubblica Renzi chiarisce che «con questa legge elettorale, il leader del Pd è per statuto candidato premier del Pd . Questo punto non lo mettiamo in discussione. Se perde il Pd, salta il sistema coalizione ma senza primarie il candidato premier sono io». Un messaggio al leader di Campo progressista Giuliano Pisapia, che ha rotto con la sinistra di D’Alema e Bersani. Ma che ha anche chiesto le primarie e criticato la decisione dei Dem di mettere la fiducia sulla legge elettorale.

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• REPUBBLICA.IT 14/10 –  Il Partito democratico si dà appuntamento al Teatro Eliseo per spegnere le sue prime dieci candeline: per guardarsi dentro, fare un bilancio e lanciare idee per il futuro. E se Walter Veltroni ha aperto i lavori scatenando l’ovazione dei partecipanti, è però Matteo Renzi a lanciare la sfida politica: "Nei collegi sarà un corpo a corpo con il centrodestra".L’ex segretario Pd riporta alla memoria della platea il governo Prodi, definendolo il migliore della storia Repubblica. "Il Pd nacque con 10 anni di ritardo - ha detto di fronte alla platea, che ha visto in prima fila tra gli altri, i ministri Giuliano Poletti, Graziano Delrio, Valeria Fedeli, Dario Franceschini, Roberta Pinotti, Marco Minniti e la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi - doveva essere la naturale prosecuzione della storia dell’Ulivo. Con l’Ulivo tutta la sinistra governava l’Italia. Quel governo è stato il migliore della storia repubblicana, prima di tutto per l’autorevolezza di chi lo guidava, Romano Prodi. Quella esperienza però dopo due anni finì, abbattuta dai due mali storici della sinistra, il massimalismo e le divisioni", ha aggiunto.E ha lanciato un appello a superare, appunto, quelle divisioni interne, che impediscono di rivolgere lo sguardo al futuro: "Il passato è passato. Non ci resta che il futuro. Vorrei che il nostro sguardo si alzasse sulla polvere delle baruffe quotidiane". Per Veltroni "l’elettore di sinistra aspetta questa notizia: un giorno, anche solo 24 ore, senza una scissione o una divisione, che rendono più deboli noia e più forti gli altri"."Il riformismo può essere maggioranza in questo Paese - ha proseguito - il Pd nacque per raccontare una nuova storia al Paese: finalmente ci si unisce e non ci si tirano i piatti alla prima occasione". Non si deve avere paura, ha proseguito Veltroni, "della parola Sinistra, è un’idea del mondo e della giustizia, cambiata nel tempo come è dovere farlo, la sinistra ci ha messo troppo a capire che libertà e giustizia non sono separate. Sinistra è libertà, per me sinistra era quel ragazzo cinese con le buste della spesa e non il carro armato". "Non dobbiamo aver paura di essere sinistra riformista, democratica, di governo", ha aggiunto.Poi, rivolto al presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e al segretario del Pd, Matteo Renzi, li ha esortati a fare tutto il possibile per approvare la legge sullo ius soli: "Vorrei che la legislatura si concludesse con l’approvazione dello ius soli. Paolo e Matteo fate ciò che è necessario". Appello a cui Gentiloni ha risposto nel suo intervento, poco dopo: "Abbiamo introdotto le unioni civili in questo Paese e ne siamo orgogliosi. E spero che saremo orgogliosi di poter dire che un altro diritto, quello dei bambini che frequentano le nostre scuole, che sono nei nostri quartieri e giocano nelle squadre di calcio, ma che sono nati da genitori stranieri, possano avere il diritto alla cittadinanza". Veltroni si augura, poi, che il Partito democratico stringa alleanze: "Le alleanze si fanno prima e ci si presenta ai cittadini, alleanze che spero il Pd faccia. Il Pd nasce con l’idea dello spirito maggioritario e dell’alternanza" e l’Italia "non può più conoscere maggioranze spurie", ha aggiunto. "Il puro anti-berlusconismo - ha detto ancora - è stato il più gigantesco mallevadore del berlusconismo. Oggi serve un’alternativa programmatica e di valori che sia chiara".Scissione Pd, Veltroni: ’’Si può smettere di avere ruolo senza volere male a qualcuno"Per quanto riguarda la sua scelta di vita, dice che "è e resterà diversa dal passato. Si può fare questa scelta senza fare male alle persone con cui condividi un ideale...Sono intervenuto durante l’assemblea nazionale per evitare una scissione", ha ricordato: "La mia vita è e sarà diversa, ma non sarà altrove".Un valore, quello del Pd, da tenere stretto: il premier Paolo Gentiloni dubita che, se non fosse esistito, la sinistra di governo avrebbe avuto futuro: "Questi non sono stati dieci anni facili. A tratti qualcuno si è sentito in una casa troppo simile a quella di una tradizione diversa, a tratti a qualcun altro è parsa occupata da un manipolo di estranei. Ma è acqua passata. Il Pd è il Pd. Frase storica...", scherza Gentiloni, ma sottolinea: "Il progetto bene o male è riuscito, è vivo, lotta insieme a noi". Un progetto avviato, dal quale non si torna indietro: "Alla fine l’alternativa che attraversa la sinistra è tra chi pensa possibile rifugiarsi nella pantofole delle proprie biografie e chi accetta la sfida tempestosa è difficile del Governo. Il Pd ha scelto dieci anni fa la via di una sinistra di governo e da lì non possiamo tornare indietro".L’importante, per il premier, è mantenesi saldi nei propri valori: "Anche nelle condizioni più impervie è possibile governare tenendo fermi i nostri principi e i nostri valori. La sinistra di governo non spaccia paure o illusioni sul tema dei grandi flussi migratori. Si impegna a gestirli, a cercare di governarli se possibile. E ridurre del 30 per cento il numero dei morti nel Mediterraneo è una straordinaria politica di sinistra del governo, caro Marco", ha aggiunto rivolgendosi al ministro dell’Interno Minniti.Tra i temi più cari al Pd, poi, c’è sempre il lavoro: per questo, assicura Gentiloni, è a centro della manovra: "Sinistra di governo è sostegno alla famiglia. Non è una bandierina, ma difendere la nostra coesione sociale e contrastare la malattia della solitudine. Sinistra di governo è sostegno ai redditi più bassi - ha detto, difendendo la misura degli 80 euro voluta da Renzi -. La sfida del lavoro sarà centrale nella legge di bilancio che approveremo lunedì", afferma il presidente del Consiglio riferendosi soprattutto alla sfida verso i giovani.Ha fatto eco a Veltroni, invitando a superare rancori e divisioni il segretario Pd, Matteo Renzi: "A chi ha anteposto il destino personale al destino del Pd minacciando di andarsene e poi andandosene voglio dire che il Pd appartiene al suo popolo e chi se ne va tradisce se stesso. Basta con i rancori, sentiamoci tutti a casa nostra", ha detto, sottolineando ancora una volta il ruolo del Partito democratico: "Se non ci fosse stato il Pd, la sinistra italiana sarebbe irrilevante. Bisogna avere il coraggio di riconoscerlo".E ancora: "Il Pd non appartiene a chi è sul palco questo momento. Noi abbiamo un debito straordinario e una grande gratitudine nei confronti di Veltroni, ma il Pd non appartiene a lui. Noi sosteniamo Gentiloni, ma il Pd non appartiene nemmeno a lui e men che meno a me. Il M5S appartiene al figlio del fondatore, al nipote del fondatore e al commercialista del fondatore. La nostra è tutta un’altra storia", ha detto, non risparmiando critiche al movimento di Beppe Grillo: "Avete visto cosa è accaduto, qualcuno ha sbagliato piazza a fare le proteste. Ma a me preoccupano più quelli che hanno sbagliato secolo nelle proteste".Ma il Partito democratico, ammette l’ex premier, ha un nemico:  "Abbiamo un nemico è l’autoreferenzialità, il parlarsi addosso, le nostre divisioni...Nessun altro fa i Congressi, noi quando li facciamo viviamo questi appuntamenti come uno scontro all’arma bianca", ha sottolineato. Gli avversari, però, sono fuori dal Pd: "Il nostro avversario è il centro-destra. Se passa come spero il Rosatellum abbiamo di fronte a noi un corpo a corpo in tutti i collegi con un centrodestra populista, che ci ha lasciato con lo spread e la più grande crisi economica del dopoguerra. O noi saremo nelle condizioni di capire che questa è la sfida o rischieremo di perdere non noi come Pd ma l’Italia".A chi chiede chi sarà il futuro premier, Renzi risponde deciso: "Non mi interessa chi - ha chiarito -: mi interessa come, come fa la battaglia in Europa".Anche il segretari Pd ha affrontato il problema del lavoro che, sostiene, "non si difende mettendosi sulle barricate a difendere un totem ideologico, ma creando posti di lavoro e evitare le dimissioni in bianco". E non è mancata una frecciata a un’austerità eccessiva: "L’austerità ha fallito, ha creato disoccupati - ha detto riferendosi alla necessità che l’Unione europea svolti pagina -. Mettere in discussione il fiscal compact è la cosa più di sinistra possibile".Infine lancia uno sguardo al futuro: "Dobbiamo superare questa fase di discussione con la voglia di costruire il futuro. Non è vero che va tutto male, i prossimi dieci anni saranno fantastici".

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LASTAMPA.IT 14/10  
Il Pd ha celebrato i dieci anni di vita con una convention al Teatro Eliseo di Roma in un clima di forte contrapposizione all’interno del centrosinistra. Presenti diversi ministri, parlamentari e dirigenti dem. A salire sul palco il segretario Pd Matteo Renzi, Walter Veltroni e il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.  Il primo a prendere la parola è stato Veltroni, primo segretario del Partito Democratico: «Il Pd nacque con 10 anni di ritardo doveva essere il consolidamento dell’Ulivo, il governo Prodi del ’96 fu il migliore della storia della repubblicana in primo luogo per l’autorevolezza di chi lo presiedeva: Romano Prodi - ha sottolineato -. Ma l’esperienza finì uccisa da due mali storici della sinistra, il massimalismo e le divisioni».  
Poi l’appello a superare le divisioni interne: «Spero che il Pd faccia le alleanze ma non più alleanze spurie come in passato legate solo dall’antiberlusconismo ma alleanze coese su un programma. La vera rivoluzione politica della nascita del Pd era la vocazione maggioritaria. Nacque portando la buona novella unendo e non dividendo a sinistra». «L’elettore di sinistra aspetta questa notizia: un giorno, anche solo 24 ore, senza una scissione o una divisione, che rendono più deboli noia e più forti gli altri» ha aggiunto.   «Non abbiamo paura della parola sinistra, è un’idea del mondo e della giustizia, cambiata nel tempo come è dovere farlo, la sinistra ci ha messo troppo a capire che libertà e giustizia non sono separate. Sinistra è libertà, per me sinistra era quel ragazzo cinese con le buste della spesa e non il carro armato». «Non dobbiamo aver paura di essere sinistra riformista, democratica, di governo», ha chiarito. Per quanto riguarda la sua scelta di vita, dice che «è e resterà diversa dal passato. Si può fare questa scelta senza fare male alle persone con cui condividi un ideale...Sono intervenuto durante l’assemblea nazionale per evitare una scissione», ha ricordato: «La mia vita è e sarà diversa, ma non sarà altrove». Infine Veltroni ha lanciato un appello a Renzi e a Gentiloni perché la legislatura si chiuda con l’approvazione dello Ius soli. E con la risposta del premier che si sta lavorando perché ciò accada.   Gentiloni: “Stiamo lavorando per approvare Ius Soli entro questa legislatura”  E il premier, a proposito dello Ius Soli ha subito risposto che: «Stiamo lavorando per approvare la legge entro questa legislatura». Gentiloni ha poi ripercorso i dieci anni di storia del Pd: «Non sono stati facili. A tratti qualcuno si è sentito in una casa troppo simile a quella di una tradizione diversa, a tratti a qualcun altro è parsa occupata da un manipolo di estranei. Ma è acqua passata. Il Pd è il Pd. Frase storica...”, dice Gentiloni, che sottolinea: «Il progetto bene o male è riuscito, è vivo, lotta insieme a noi». Un progetto avviato, dal quale non si torna indietro: «Alla fine l’alternativa che attraversa la sinistra è tra chi pensa possibile rifugiarsi nella pantofole delle proprie biografie e chi accetta la sfida tempestosa è difficile del Governo. Il Pd ha scelto dieci anni fa la via di una sinistra di governo e da lì non possiamo tornare indietro». 
“Si può governare tenendo fede ai nostri principi e valori”  Il Pd, che incarna i principi della «sinistra di governo», ha «vinto» la sfida di governo in questa legislatura e ora ci vuole «una conclusione ordinata contando nel ruolo di alta garanzia del presidente Mattarella dimostrando che anche nelle condizioni più impervie si può governare tenendo fede ai nostri principi e valori». ha aggiunto Gentiloni. «Il futuro è terra incognita in cui le mappe sono ancora da scrivere. Dobbiamo muoverci nella terra incognita rispondendo alle domande nuove» che arrivano dalla società tenendo presente «i valori del nostro partito: l’apertura, il multilateralismo, l’Europa, la fiducia non sono slogan di una elite senza terra», ha detto il premier.  “Sinistra di governo è sostegno alla famiglia”  Gentiloni poi ha affrontato il tema del lavoro, assicurando che è al centro della manovra: «Sinistra di governo è sostegno alla famiglia. Non è una bandierina, ma difendere la nostra coesione sociale e contrastare la malattia della solitudine. Sinistra di governo è sostegno ai redditi più bassi - ha detto, difendendo la misura degli 80 euro voluta da Renzi -. La sfida del lavoro sarà centrale nella legge di bilancio che approveremo lunedì», afferma il presidente del Consiglio riferendosi soprattutto alla sfida verso i giovani.  Renzi: “Abbiamo un nemico è l’autoreferenzialità, il parlarsi addosso”  E dopo Veltroni e Gentiloni, sul palco dell’Eliseo è salito Matteo Renzi: «Abbiamo un nemico è l’autoreferenzialità, il parlarsi addosso, le nostre divisioni - ha detto -. Il Pd non appartiene a chi è sul palco questo momento. Noi abbiamo un debito straordinario e una grande gratitudine nei confronti di Veltroni, ma il Pd non appartiene a lui. Noi sosteniamo Gentiloni, ma il Pd non appartiene nemmeno a lui e men che meno a me - ha affermato il segretario Pd -. Il M5S appartiene al figlio del fondatore, al nipote del fondatore e al commercialista del fondatore. La nostra è tutta un’altra storia», ha detto, non risparmiando critiche al movimento di Grillo: «Avete visto cosa è accaduto, qualcuno ha sbagliato piazza a fare le proteste. Ma a me preoccupano più quelli che hanno sbagliato secolo nelle proteste».   “Il Pd appartiene al suo popolo e chi se ne va tradisce se stesso”  «Nessun altro fa i Congressi, noi quando li facciamo viviamo questi appuntamenti come uno scontro all’arma bianca», ha sottolineato, ribadendo che il suo interesse non è chi farà il premier: «Non mi interessa chi - ha chiarito -: mi interessa come, come fa la battaglia in Europa». «A chi ha anteposto il destino personale al destino del Pd minacciando di andarsene e poi andandosene voglio dire che il Pd appartiene al suo popolo e chi se ne va tradisce se stesso. Basta con i rancori, sentiamoci tutti a casa nostra. «Ho la presunzione di dire che solo il Pd ha le carte in regola per affrontare gli elettori e vincere con la politica - ha ribadito il segretario Dem -. In futuro non ci servono mastodontici programmi di riforma della scuola, abbiamo dato. Mai più riforme calate dall’altro ma tenere insieme la nostra cultura con l’innovazione. È il patriottismo culturale quello di cui abbiamo bisogno. O il Pd recupera il tricolore o non saremo in condizione di affrontare le sfide».   “Un mese di servizio civile obbligatorio per i giovani”  Sempre dal palco dell’Eliseo Renzi ha lanciato la proposta sul servizio civile obbligatorio: «Penso e credo che noi dovremmo mettere in campo per la prossima legislatura una proposta organica per cui perlomeno per un mese, ciascuna giovane donna e ciascun giovane uomo possa fare almeno un mese di servizio civile obbligatorio, perché accanto alla stagione dei diritti il Pd si caratterizzi per la stagione dei doveri». 

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ILMESSAGGERO.IT 14/10 – Con l’inno dell’Ulivo, La Canzone Popolare di Fossati, ha preso il via stamani a Roma al teatro all’Eliseo la festa per i 10 anni del Pd. Pesa in sala l’assenza di Romano Prodi e di big storici come Arturo Parisi e Francesco Rutelli ma nelle prime file siede Franco Marini, omaggiato come un padre nobile.«Il Pd non appartiene a chi è sul palco oggi», ha detto il segretario Matteo Renzi, sostenendo che «il Pd appartiene al popolo che lo ha creato e chi se ne va sta tradendo se stesso». «Se non ci fosse stato il Pd, la sinistra italiana oggi sarebbe irrilevante, come in Spagna, in Germania, in Francia, in Inghilterra», ha aggiunto. «Abbiamo un nemico è l’autoreferenzialità, il parlarsi addosso, le nostre divisioni».«Il nostro avversario è il centro-destra. Se passa come spero il Rosatellum abbiamo di fronte a noi un corpo a corpo in tutti i collegi con un centrodestra populista, che ci ha lasciato con lo spread e la più grande crisi economica del dopoguerra. O noi saremo nelle condizioni di capire che questa è la sfida o rischieremo di perdere non noi come Pd ma l’Italia», ha insistito il segretario.«Il Pd nacque con 10 anni di ritardo doveva essere il consolidamento dell’Ulivo, il governo Prodi del ’96 fu il migliore della storia repubblica in primo luogo per l’autorevolezza di chi lo presiedeva: Romano Prodi. Ma l’esperienza finì uccisa da due mali storici della sinistra, il massimalismo e le divisioni», ha esordito Walter Veltroni, primo segretario del Pd. «Perché non c’è?», grida qualcuno dalla platea tra gli applausi per il fondatore dell’Ulivo.«Il Pd è nato per portare una nuova novella al Paese: finalmente ci si unisce e non ci si tirano i piatti alla prima occasione», ha proseguito. «Non abbiamo paura della parola sinistra, è un’idea del mondo e della giustizia, cambiata nel tempo come è dovere farlo, la sinistra ci ha messo troppo a capire che libertà e giustizia non sono separate. Sinistra è libertà, per me sinistra era quel ragazzo cinese con le buste della spesa e non il carro armato», ha detto ancora l’ex segretario.«Spero che il Pd faccia le alleanze ma non più alleanze spurie come in passato legate solo dall’antiberlusconismo ma alleanze coese su un programma», ha sottolineato ancora Veltroni. «La vera rivoluzione politica della nascita del Pd era la vocazione maggioritaria, che non era lo splendido isolamento ma la convinzione che esistesse la possibilità di superare i demoni della sinistra e la convinzione di essere solo minoranza del paese. Il Pd nacque portando la buona novella unendo e non dividendo a sinistra».«Vorrei che la legislatura si concludesse con l’approvazione dello ius soli. Paolo e Matteo fate ciò che è necessario», è stato poi l’appello che Veltroni ha rivolto al premier Paolo Gentiloni e al segretario del Pd.«Teniamocelo stretto questo Pd perché non so come sarebbe sopravissuta una sinistra di governo e una sinistra in generale se non avesse assunto la forma del Pd. Il Pd c’è, lotta insieme a noi si potrebbe dire», ha detto Gentiloni nel suo intervento all’Eliseo. Dobbiamo essere grati ai diversi segretari, da Veltroni a Franceschini da Bersani a Epifani. Non sono stati anni facili, conosco le lacerazioni» ma bisogna guardare avanti, ha concluso.

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EMILIA PATTA, IL SOLE 24 ORE 14/10 – 
«Il segretario del Pd è il candidato premier. Per statuto. Punto». Nel giorno in cui il Pd a vocazione  maggioritaria “inventato” da Walter Veltroni festeggia i suoi 10 anni di vita, il segretario Matteo Renzi puntualizza che la vocazione maggioritaria è ancora valida. E che dunque sarà lui a tornare a Palazzo Chigi se il Pd dovesse vincere le prossime elezioni. E di rimando lo stesso Veltroni, che ha partecipato alle celebrazioni del decennale al teatro Eliseo di Roma con Renzi e con il premier Paolo Gentiloni, ricorda il suo imprinting: «La vera rivoluzione politica della nascita del Pd era la vocazione maggioritaria, che non era lo splendido isolamento ma la convinzione che esistesse la possibilità di superare i demoni della sinistra e la convinzione di non essere solo minoranza del Paese».

AL TEATRO ELISEO ASSENTI I «PADRI NOBILI»   14 ottobre 2017Il Pd festeggia i dieci anni. Renzi: chi se ne va tradisce se stessoDemoni della sinistra a parte, le concezioni di Veltroni e di Renzi sono naturalmente un po’ diverse tra di loro. Ma quello che colpisce nella celebrazione del decennale – celebrazione alla quale per altro non ha partecipato il padre dell’Ulivo Romano Prodi né hanno partecipato i rappresentanti della minoranza interna del Pd, Andrea Orlando e Gianni Cuperlo – è l’assenza di un demone più recente: quello della sconfitta del Pd al referendum costituzionale del 4 dicembre scorso, sconfitta che portò alle dimissioni di Renzi da Palazzo Chigi e alla sua sostituzione con Gentiloni.

Perché la vocazione maggioritaria, con qualunque sfumatura la si intenda, è morta quel giorno. Il Pd a vocazione maggioritaria nacque infatti 10 anni fa dando per scontato un quadro di sistema politico maggioritario, con due grandi partiti o raggruppamenti (il Pd e il partito unito del centrodestra che mise insieme in pochi mesi Silvio Berlusconi, il Pdl) che si sfidavano per alternarsi alla guida del governo. Dal 25 febbraio del 2013, quando il Pd di Pier Luigi Bersani si svegliò senza maggioranza al Senato, non è più così: sulla scena politica c’era e resta tuttora saldo un terzo polo politico, quello costituito dal Movimento 5 Stelle e dai suoi numerosi elettori.
L’alternanza tra centrodestra e centrosinistra, possibile dieci anni fa, oggi non è più possibile come ha dimostrato questa sfortunata legislatura con ben tre premier espressi dal Pd (Enrico Letta, Renzi e Gentiloni) costretti a guidare governi di larghissima (con Berlusconi) o di larga intesa (con Alfano e Verdini). L’unico strumento per permettere un ritorno all’antico, ossia all’alternanza classica tra centrodestra e centrosinistra al governo tenendo al margine i “populisti” grillini, era quello del referendum costituzionale, non a caso fortemente voluto da Renzi, che aboliva il bicameralismo perfetto e della correlata legge elettorale Italicum che prevedeva il ballottaggio nazionale tra le prime due liste e quindi un vincitore certo.
Sappiamo come è andata, e continuare a sventolare il vessillo della vocazione maggioritaria da parte del primo e ultimo segretario del Pd non serve a mascherare la realtà. Né ripetere, come fanno il fondatore dell’Ulivo Arturo Parisi e lo stesso Veltroni, che la legge Rosato non va bene perché lascia due terzi di proporzionale e che sarebbe stato meglio il Mattarellum sul quale tutti sanno che non c’erano i numeri in Parlamento, aiuta a chiarire il quadro.
È chiaro che Renzi ha la necessità comunicativa, a ormai poche settimane dalle elezioni, di rimarcare la vocazione maggioritaria del Pd per scongiurare l’accusa delle sinistre di mirare all’inciucio postelettorale con Berlusconi («con i collegi sarà un corpo a corpo contro il centrodestra», ribadiva dal palco dell’Eliseo). Ma, fuor dai riflettori della campagna elettorale, una riflessione seria su che cosa è il Pd post sconfitta referendaria in una sorta di ritorno alla prima repubblica senza tuttavia la forza e il radicamento che i partiti avevano nella prima repubblica prima o poi va fatta. Pena condannarsi tra non molto alla stessa irrilevanza odierna dei partiti socialisti europei, dalla Francia alla Spagna alla Germania.
Non è un caso che di questi temi si comincia a parlare in stanze per così dire laterali e fuori dai riflettori, come è la stanza del capo staff di Paolo Gentiloni, Antonio Funiciello. Veltroniano e poi renziano, ammette anche se a malincuore la centralità della sconfitta referendaria. «La sconfitta di quel tentativo di riforma, insieme al naufragio di una legge elettorale maggioritaria, hanno cambiato radicalmente il quadro politico – è la sua analisi –. Il neo proporzionalismo insito già nelle leggi elettorali corrette dalla Consulta indebolisce profondamente l’intuizione formalistica del Pd». E ancora: «Il Pd ha travestito le sue fragilità, in questi dieci anni, col mito delle primarie e con la vocazione maggioritaria. In un quadro politico neo proporzionale questi due strumenti hanno i mesi contati. La stessa idea di leadership forti perché caratterizzanti, capaci cioè di surrogare i limiti culturali e organizzatici del partito, è messa logicamente a repentaglio. Non aver provveduto, insomma, in questi dieci anni a irrobustire il cervello pensante del partito e la sua corporatura fisica espone oggi il Pd agli stessi pericoli dei cugini europei».

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DINO MARTIRANO, CORRIERE DELLA SER 14/10 – 
Il gelo prodiano sui dieci anni del Pd
ROMA Nel giorno del decimo compleanno del Partito democratico, che si festeggia oggi al Teatro Eliseo con Matteo Renzi e Walter Veltroni ma senza il cofondatore Romano Prodi, il segretario dem porta come regalo speciale una legge elettorale approvata dalla Camera con tre voti di fiducia e uno scrutinio finale segreto. Da martedì, poi, il «Rosatellum 2.0» inizierà il suo iter veloce al Senato dove i numeri della maggioranza sarebbero in sicurezza, in vista del via libera definitivo previsto per il 24-25 ottobre, ma il clima nel partito del Nazareno non è sereno. E il professor Prodi, interrogato a Bologna sulla legge elettorale, è stato tranciante: «Non ne parlo neanche sotto tortura...».
La festa del decimo compleanno del Pd, dunque, ha già preso un sapore amaro per i prodiani: «Dopo l’approvazione del Rosatellum, grave nel merito e nel metodo, il decennale del Pd invece di un giorno di festa si è trasformato in un giorno di lutto», argomenta il prodiano Arturo Parisi senza ricorrere a troppi giri di parole. Anche lui, ex ministro della Difesa, non ci sarà all’Eliseo (il cerimoniale del Nazareno non ha chiarito se gli inviti formali erano stati inviati a tutti gli interessati per tempo): «Ricordo che 12 anni fa, quando Berlusconi ci impose il Porcellum, almeno non lo fece con la fiducia. Quanto alla festa del Pd, noto almeno una sciatteria nel coordinamento delle agende. E dire che io e Romano qualche ruolo lo abbiamo avuto». E a proposito delle possibili larghe intese Pd-FI, proprio Silvio Berlusconi ha inviato un segnale ai malpancisti del Pd: «Un accordo con il Pd? Lo escludo».
La tripla fiducia chiesta da Renzi e autorizzata dal governo sta rovinando la festa a mezzo Pd. Ma Renzi non ci sta a subire gli attacchi: «Il Pd non appartiene a nessuno. Non appartiene a un proprietario, a un’azienda, a un blog, non appartiene a un leader. È una comunità in cui tutti possono sentirsi a casa e nessuno è padrone». E il ministro Dario Franceschini replica ai prodiani: «Mi spiace davvero per le parole di Arturo (Parisi). Date le attuali condizioni, mi pare che il Rosatellum con i collegi uninominali spinga più di tutti gli altri modelli, di cui si è discusso negli ultimi mesi, verso le coalizioni e quindi verso la ricomposizione del campo del centrosinistra».
Tra i padri nobili che il Pd non può trascurare, poi, c’è anche il senatore a vita Giorgio Napolitano la cui posizione sulla legge elettorale è critica. Sul metodo della fiducia («Che limita fortemente la funzione parlamentare») e sul merito di alcune norme contenute nel testo che andrebbero corrette. Napolitano ha annunciato un suo intervento in Aula ma potrebbe farsi sentire già nella I commissione presieduta da Salvatore Torrisi che da martedì esaminerà il «Rosatellum 2.0». L’ultima grana interna riguarda i sindaci che non potranno candidarsi. Per correre alle politiche i primi cittadini avrebbero dovuto dimettersi già a metà settembre e per questo l’Anci aveva chiesto di cambiare le regole dell’incompatibilità su input del presidente Antonio De Caro e del vice Matteo Ricci. Entrambi del Pd.

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MAURO FAVALE, LA REPUBBLICA 14/10 –«Più che un giorno di festa sarà un giorno di lutto». Difficile che l’epitaffio di Arturo Parisi non risuoni questa mattina tra le poltroncine dell’Eliseo, il teatro nel centro di Roma che ospiterà il decimo compleanno del Pd. Il teorico dell’Ulivo non ci sarà. E con lui mancherà anche l’altro padre nobile del Partito democratico, Romano Prodi. Il professore sarà a Venezia, a un’iniziativa a porte chiuse organizzata dall’Aspen Institute. Lui l’invito per l’Eliseo (dove nel 2006 presentò il famoso programma-monstre di 281 pagine della coalizione di centrosinistra) non l’ha proprio ricevuto. «Ma non perché volevamo escludere qualcuno - si schermisce il vicesegretario dem Maurizio Martina che si è occupato dell’organizzazione - ma perché lui stesso aveva dichiarato di voler sospendere la partecipazione a iniziative di parte ».E infatti, ricordano dal Pd, Prodi aveva già declinato l’invito alla festa nazionale dell’Unità di Imola. Diverso il caso di Parisi che, da membro del comitato promotore del partito, si è visto recapitare l’invito per il decennale soltanto due giorni fa, via mail, «senza firma e con un allegato - ha spiegato agli amici che nemmeno si apriva». E infatti, ieri, il suo commento è stato tranchant: «Noto almeno una sciatteria dell’organizzazione nel coordinamento delle agende», ha spiegato all’Ansa, esprimendo il suo disappunto. «E dire che io e Romano qualche ruolo l’abbiamo avuto nella nascita del nuovo partito».Non saranno gli unici assenti: mancherà anche l’altro braccio destro di Prodi, Giulio Santagata, e poi ancora Rosy Bindi, Enrico Letta, Francesco Rutelli e tutti gli ex fuoriusciti nella scissione di febbraio. Anche per questo, forse, l’anniversario delle nozze tra Ds e Margherita, celebrate nei gazebo delle primarie per l’Assemblea costituente, cade - scrive Democratica, il sito di informazione del Pd - «in un momento in cui non si ha gran voglia di guardare nello specchietto retrovisore». A spegnere le candeline, allora, stamattina saranno il primo segretario, Walter Veltroni, l’ultimo, Matteo Renzi, e il premier Paolo Gentiloni. Per Parisi, però, non sarà una festa bensì «un giorno di lutto». Colpa soprattutto della legge elettorale: «Ricordo che 12 anni fa - aggiunge - quando Berlusconi ci impose il Porcellum, almeno non lo fece con la fiducia». Al contrario di stavolta. «Se penso al Referendum del 18 aprile del 1993 dal quale tutto è iniziato - conclude amaro Parisi - sento che la primavera della democrazia governante che allora sognammo ha incontrato il suo autunno». E se l’approvazione con fiducia non è piaciuta nemmeno a Prodi, sull’impianto della legge il professore non si sbilancia: «Mi rifiuto di parlare di legge elettorale anche sotto tortura», dice. Il suo giudizio, in realtà, è più sfumato di quello dell’amico Parisi: «Sono sempre stato per sistemi non proporzionali ma che raggruppino le energie politiche di un Paese». Del Rosatellum il Professore apprezza giusto lo stimolo a formare le coalizioni anche se avrebbe preferito una spinta maggiore verso il maggioritario. «Non è la legge migliore ammette Martina - ma l’unica possibile e segna un passo avanti». Di segno opposto l’opinione di Massimo D’Alema, un altro dei fondatori del Pd, che oggi non sarà all’Eliseo. Per lui quell’esperienza è conclusa. Anzi: «Il Rosatellum allunga la distanza tra noi e il Pd», con il quale «non ci sono le basi per un’alleanza. I nostri elettori non ci seguirebbero. Piuttosto ci saluterebbero».

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GIUSEPPE SALVAGGIULO, LA STAMPA 14/10 – Pd e Grillo, 10 anni di destini incrociati. Così sono cambiati i due partiti mancati
Oggi il Pd festeggia dieci anni di vita. Un mese fa si è celebrato il decennale del primo V-Day, epifania di piazza del grillismo politico, due anni prima della costituzione formale del Movimento 5 Stelle. Il 18 novembre saranno dieci anni dal «discorso del predellino», con cui Berlusconi fondò il Pdl, partito unico del centrodestra. Ma se quest’ultimo ha avuto vita breve, e dunque si possono celebrare solo i rimpianti, Pd e M5S si apprestano a essere i partiti più votati alle prossime elezioni, come già nel 2013. Entrambi sono molto cambiati in pochi anni. Entrambi, sotto diversi profili, sono due «partiti mancati». Il Pd si è deistituzionalizzato, liquefatto. Il M5S si è vertiginosamente iperistituzionalizzato, perdendo l’originaria connotazione movimentista e orizzontale. Il Pd è anarchico e centrifugo, il M5S è verticistico e irregimentato. Due libri ne ricostruiscono le traiettorie, tracciandone i destini incrociati.«L’ultimo partito» periodizza i dieci anni di Pd in tre fasi: il veltroniano partito amalgama, il partito old-style della «restaurazione» bersaniana, il partito pragmatico della svolta renziana. Dal partito liquido alla riscoperta dell’apparato e ritorno; dalla vocazione maggioritaria al revival delle alleanze e ritorno; dalle suggestioni liberal al riflusso socialdemocratico e ritorno: le hanno provate tutte, ma quel che non è cambiato è l’insediamento sociale del Pd. L’elettore-tipo (alle primarie come alle elezioni) resta anziano (due su tre over 45), istruito (netta maggioranza con un titolo almeno di diploma superiore), lavoratore dipendente o pensionato. Anche dal punto di vista della fisionomia del partito «il bilancio non è positivo. Il Pd è un partito mancato, incompiuto», forse «impossibile da realizzare». Dopo cinque segretari, cinque primarie, sei scissioni, gli iscritti si sono dimezzati e le correnti proliferano. Gli autori parlano di «sindrome di Cronos» per la «straordinaria capacità di distruggere i propri figli migliori» e di «criticità che rinviano a una sorta di mélange, ricomposto secondo forme inedite». Ma c’è una ragione di fondo per cui il Pd è una «promessa non mantenuta», ovvero lo scarso livello di istituzionalizzazione. Con questo concetto i politologi definiscono il processo tipico con cui i partiti giovani si solidificano, formalizzando strutture gerarchiche e rapporti di forza, fino a vivere di vita propria, sopravvivendo ai fondatori. Gli indici di compimento di questo processo sono due: l’autonomia dalle influenze esterne e l’interdipendenza tra vertice e articolazioni territoriali. Su entrambi il Pd è indietro, in balia di un percorso «irregolare e accidentato», sospeso come «promessa non mantenuta».A differenza del Pd, il M5S si è imposto (e continua a essere) «partito pigliatuttto», omogeneo per profilo sociale, geografico e anagrafico degli elettori (è sottorappresentato solo negli over 55). Ma anche per il M5S l’istituzionalizzazione diventa criterio di giudizio, nel volume «M5S. Come cambia il partito di Grillo». La militanza originaria si è rarefatta, persa la forza delle tante comunità locali di meetup, che si erano aggregate su battaglie specifiche. «L’impegno sul territorio ha lasciato il posto a un attivismo da tastiera», mentre «il M5S si fa istituzione, ma senza averne acquisito appieno la necessità organizzativa». La direzione di marcia è squisitamente verticistica e centralistica. Il Direttorio (cinque capi cooptati da Grillo per fare da cinghia di trasmissione con il movimento) è durato meno di due anni. L’eccesso di regolamentazione disciplinare (sanzioni, espulsioni) non ha ridotto l’arbitrio del «capo politico» né impedito la formazione di correnti e cordate. La piattaforma Rousseau è stata largamente snobbata dai militanti.Il M5S non è un partito contendibile. Nell’ottica della sopravvivenza dell’organizzazione, «si tratta di un’esperienza di successo»: i dilettanti hanno imparato presto il mestiere e tengono la base a distanza. Rispetto all’obiettivo di creare «un diverso legame tra cittadini, politica e istituzioni rappresentative», il M5S è indietro.In un certo senso come il Pd.