Il Messaggero, 14 ottobre 2017
Oliver Stone difende Weinstein. Poi ci ripensa
Dieci, cento, mille casi Weinstein. La diga è saltata e, dopo la valanga di rivelazioni che inchiodano il produttore-satiro, le donne dello show business americano prendono sempre più coraggio. Denunciano i boss, gli executive, i colletti bianchi del settore che per decenni hanno imposto all’universo professionale femminile la tacita regola dell’abuso e del ricatto sessuale sotto la minaccia di distruggere ambizioni e carriere. Hollywood trema. Harvey Weinstein, che si è autoconsegnato ai terapisti di un rehab in Arizona per liberarsi dall’ossessione per il sesso, il 17 ottobre farà opposizione, attraverso l’avvocato, al suo licenziamento: nel suo contratto, a quanto pare, le molestie non erano contemplate come giusta causa. Intanto rotola un’altra testa eccellente: quella di Roy Price, 51 anni, capo della divisione video di Amazon, sospeso dai capi del colosso dell’e-commerce in seguito alle dichiarazioni rese a Hollywood Reporter da una produttrice, Isa Dick Hacket (figlia del famoso scrittore di Blade Runner). Isa accusa l’uomo di averla molestata nel 2015: le avrebbe fatto delle «proposte» usando un linguaggio «crudo e «suggestivo» durante l’evento Comic-Con, a San Diego, per la promozione della serie Man in the High Castle tratta dal romanzo distopico di suo padre La svastica sul sole. Ma pare che la donna non voglia sporgere denuncia né chiedere i danni all’executive né ad Amazon, dove ancora lavora.
IN TRIBUNALE
In tribunale andranno, come vittime e testimoni, le attrici che con anni di ritardo hanno scoperchiato il pentolone delle perversioni di Weinstein: alla lunga lista di celebrità (Angelina Jolie, Asia Argento, Gwyneth Paltrow, Ashley Judd, Mira Sorvino, Rosanna Arquette...) che hanno parlato nei giorni scorsi si sono aggiunte Kate Beckinsale, Felicity Huffman, Sophie Dix («mi costrinse a guardarlo masturbarsi»), la presentarice tv Myleen Klass.
IL POST
Beckinsale, oggi 44, ha raccontato un episodio risalente ai suoi 17 anni. «Weinstein mi convocò nella sua stanza d’albergo», ha postato l’attrice di Underworld su Instagram, «mi aprì in accappatoio e mi offrì un superalcolco. Capita l’aria, girai i tacchi». Negli anni successivi Beckinsale ha rifiutato più volte di lavorare per il produttore che, per tutta risposta, l’avrebbe insultata e minacciata. «Harvey è l’emblema di un sistema malato», afferma l’attrice. Felicita Huffman riferisce di aver subito da Weinstein un altro tipo di ricatto in cui, incredibilmente, il sesso non c’entra: «Minacciò di tagliare i fondi alla promozione di Transamerica, il film per cui ero candidata all’Oscar, se non avessi indossato gli abiti disegnati da sua moglie». Lapidaria Tippi Hedren che ebbe la carriera distrutta dopo aver respinto le avances di Hitchcock: «Finalmente le donne si ribellano».
Al di là delle denunce delle vittime, l’ignominiosa caduta del produttore continua a far parlare. Quentin Tarantino, che a Harvey deve il successo di Le iene e Pulp Fiction, si è dichiarato «sbalordito e affranto». E ha aggiunto: «Ho bisogno di qualche giorno per elaborare dolore, emozioni, rabbia e ricordi. Ne parlerò pubblicamente». Parole di sdegno e condanna sono invece arrivate da Colin Firth, Emma Thompson, Sienna Miller che si è però affrettata a chiarire di non essere stata molestata. Oliver Stone ha fatto una dichiarazione controcorrente, poi l’ha ritrattata. «Un uomo non dovrebbe essere condannato da un sistema di vigilanti, non è facile ciò che Harvey sta attraversando», ha detto il regista dalla Cina. Subito dopo ha corretto il tiro: «Dopo aver letto tutto ciò che è stato pubblicato, sono inorridito ed elogio le donne che si sono fatte avanti. Mi ritiro dalla serie Guantanamo finché La Weinstein Co. sarà coinvolta». Anche sulla sua testa pende un’accusa di molestie: la ex Playmate Carrie Stevens sostiene che Stone le avrebbe afferrato il seno a una festa. Il fatto avvenne 20 anni fa. Ma le conseguenze, tutt’altro che leggere, potrebbero delinearsi adesso.