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 2017  ottobre 14 Sabato calendario

Billie Jean King, ecco chi è la donna che ha cambiato la storia (dell’uomo)

I risultati non sono l’unico parametro di giudizio per misurare la grandezza di un atleta. Fosse solo per quelli, comunque, Billie Jean King meriterebbe già un posto di primo piano nella storia del tennis. Ma i 12 Slam vinti in singolare e i 16 in doppio, il numero 1 del mondo, le 695 partite vinte e le otto Fed Cup conquistate (quattro da giocatrice e quattro da capitana) non basterebbero da soli a spiegare il ruolo che la signora Moffitt (King è il cognome da sposata) ha assunto nella società e nella cultura americane e nell’intero mondo dello sport grazie alle sue battaglie sull’uguaglianza e contro il sessismo, fino a vedersi dedicata la copertina di donna dell’anno di Time nel 1975 e, addirittura, l’intero impianto di Flushing Meadows dove ogni anno si disputano gli Us Open. Non solo: negli Anni 90 Life l’ha inserita tra le cento personalità più influenti di sempre negli Stati Uniti. Non può stupire perciò che la sua storia, sublimata dalla leggendaria Battaglia dei Sessi del 1973 (il match vinto contro un uomo, l’ex prò Bobby Riggs), venga ora immortalata al cinema proprio attorno a quel celebre evento a metà strada tra il tennis e la sociologia.
Billie Jean Moffitt nasce a Long Beach, in California, figlia di un pompiere e di una casalinga. Una famiglia conservatrice, molto legata alla religiosità (i genitori sono metodisti), ma, al tempo stesso, decisamente sportiva: il padre ha giocato a basket, a baseball e ha fatto atletica, la madre è stata un’eccellente nuotatrice. 11 fratello Randy, più giovane, sarà per 12 anni pitchcr nella Major League e anche Billie fino a 11 anni si dedicherà al softball, prima di scegliere il tennis su suggerimento di mamma e papà, che aspirerebbero a vederle praticare uno sport più femminile. Lei usa otto dollari della sua mancetta personale per acquistare la prima racchetta e avvicinarsi alle lezioni gratuite che Clyde Walker, un giocatore prò, tiene sui campi pubblici lungo l’oceano: «Fin dal primo momento in cui ho varcato quel cancello, ho capito che quella sarebbe diventata la mia vita». Comincia a frequentare il circuito nel 1959, ma, allo stesso tempo, si iscriverà all’Università di Cai State dopo aver conseguito il diploma tecnico al liceo.
Lascerà l’ateneo di Los Angeles nel 1964 per dedicarsi esclusivamente alla carriera agonistica, però il periodo sui libri non è passato invano: in biblioteca ha incontrato un altro studente, Larry King, di un anno più giovane. Si sposeranno il 17 settembre 1965. Nel 1961, Billie Jean aveva vinto, in doppio, il primo dei suoi 20 titoli a Wimbledon (complessivamente, un record: sei in singolare, 12 in doppio e due in doppio misto), mettendo già in mostra quelle che saranno le sue caratteristiche tecniche, poi incredibilmente traslate pure nella vita di tutti i giorni: aggressività, talento, ma anche impazienza, unita a una feroce voglia di primeggiare. Tanto che la sua frase più celebre sembra un’esemplificazione di tutto il resto: «La vittoria è momentanea, perdere è per sempre». Il periodo d’oro della King vede l’alba nel 1966, quando si impone per la prima volta a Wimbledon in singolare contro Maria Bueno e tramonta nel 1975, con l’ultimo trionfo ai Championships contro la Goolagong. In quei dieci anni, Billie Jean vince tutti i suoi 12 tornei in singolare nello Slam, conquista 97 dei 139 titoli in carriera ed è numero 1 del mondo alla fine di sei stagioni: performance che la avvicinano di molto alla grande rivale dell’epoca, Margareth Smith Court, da cui la divide solo il Grande Slam, che l’australiana completa nel 1970 e la King probabilmente si lascia sfuggire nel 1972, quando si imporrà in tre Major su quattro ma rinuncerà al viaggio in Australia. «Ma allora era un torneo minore», dirà.
«E io dovevo prepararmi alla stagione invernale dei Virginia Slims». Cioè il circuito professionistico femminile da lei stessa ideato. Perché quelli, per il tennis, sono anni rivoluzionari, ma solo declinati al maschile: una differenza di trattamento che diventerà il cavallo di battaglia delle rivendicazioni della tennista californiana. Nel 1967, un anno prima dell’avvento dell’Era Open, accusa più volte la federazione statunitense di pagare i giocatori maschi sottobanco per garantirsi la loro partecipazione ai tornei e, quando cade la distinzione fra dilettanti e professionisti, l’uguaglianza dei premi in denaro tra uomini e donne diventa il suo obiettivo primario. Crea appunto un nuovo circuito prò’ insieme al marito e, nel 1971, diventa la prima giocatrice a guadagnare 100 mila dollari in una stagione, meritandosi una telefonata dal presidente Richard Nixon. Però il traguardo resta lontano: nel 1972, agli Us Open, come vincitrice del singolare le spettano 15 mila dollari in meno di Ilie Nastase, trionfatore tra gli uomini, e allora minaccia di non partecipare l’anno successivo: nel 1973, lo Slam americano diventerà il primo a parificare il montepremi. Il seme è gettato, ma per innaffiarlo Billie Jean costituisce nello stesso anno e insieme ad altre colleghe, la Women Tennis Association, che ancora oggi gestisce il circuito femminile extra Slam.
Ma l’impegno sportivo si affianca pure a quello personale e sociale: nel 1968 la King prende coscienza della sua omosessualità e, nel 1971, inizia a frequentare Marilyn Barnett, la sua segretaria. Una storia nascosta, nell’America puritana di quegli anni e nell’ambito di una famiglia tradizionalista che non avrebbe compreso, il suo più grande rammarico: «Ho sempre cercato di essere onesta con me stessa e con tutti gli altri, ma con i miei genitori per lungo tempo ho dovuto mentire».
Ecco perché la Battaglia dei Sessi del 1973 acquisterà per lei un significato che andrà oltre lo sport e la semplice contrapposizione uomo-donna: sarà il suo modo per contestare le convenzioni sociali incrostate da secoli di pregiudizi. La relazione con la Barnett diventerà di dominio pubblico nell’81, quando la partner, lasciata, la citerà per avere una parte del suo patrimonio. La King tornerà a giocare un paio d’anni per coprire le spese legali, ma non avrà più bisogni di nascondere la sua vera natura, diventando una paladina dei diritti Lgbt: «Sono nata con il destino di occuparmi della parità di genere e continuerò fino a quando l’ultimo ostacolo non sarà caduto». No, i risultati non sono tutto.