
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
L’accordo di Copenaghen non vale proprio nulla? Il testo finale prevede impegni non vincolanti sul clima, ma c’è la volontà di riparlarne a gennaio. Guardato a mente fredda, l’accordo di Copenhagen non è neanche un accordicchio, ma addirittura un «pre-accordicchio non vincolante», cioè un affare che coincide più o meno con il nulla travestito però in modo da sembrar qualcosa. Questo qualcosa è sostanzialmente la volontà di rivedersi a gennaio per ricominciare la discussione su come evitare un aumento superiore a 2 gradi della temperatura terrestre. Fa tenerezza anche l’opposizione dei piccoli Paesi che hanno – per dir così – lottato fino a tarda notte per trovare un modo di prendere le distanze dall’oggetto misterioso: il quasi-nulla non offre neanche molti appigli per far polemica. Alla fine, votata da 185 Paesi, è uscita questa dichiarazione: «La Conferenza Onu sul clima decide di prendere atto (o, secondo altre versioni, «di prendere nota») dell’Accordo di Copenhagen del 18 dicembre 2009». Punto e basta.
• Possibile che sia solo un appuntamento, e neanche sicuro?
I cinesi hanno mandato a parlare con Obama il loro numero due, tanto per far capire che del mito del presidente Usa non gliene importa niente. Poi finalmente si sono decisi ad accettare un incontro di livello: il presidente Wen Jiabao e Barack, uno di fronte all’altro per 55 minuti. Un faccia a faccia che non ha prodotto niente, a parte qualche dichiarazione altisonante. Intanto si deve prendere atto che convocare i rappresentanti di 192 Paesi e mettere insieme 16.500 delegati (per fargli produrre oltre tutto un tasso di inquinamento identico a quello del Paraguay) serve a poco, dato che qualunque intesa ha senso solo se sottoscritta da Stati Uniti e Cina, i due massimi inquinatori. Bisognerebbe allora evitare questi mega raduni, molto utili per far fare vacanze di 15 giorni a un mucchio di gente, e spingere i due interlocutori principali a costruire l’intelaiatura di un possibile accordo da proporre poi agli altri promettendo, evidentemente, qualche vantaggio. La suddivisione proposta all’inizio da Obama, Paesi ricchi di qua e Paesi poveri di là, con i Paesi ricchi che chiedono ai poveri di non inquinare o inquinare meno e offrono in cambio denaro, alla fine non funziona. Sarebbe meglio ammettere: di qua c’è il G2 e praticamente la metà di tutte le emissioni terrestri; dall’altra tutti gli altri. La prima metà arriva a una qualche intesa e la sottopone agli altri. Se gli altri ci stanno, ne traggono qualche vantaggio da stabilire.
• Gli europei?
Inesistenti, nonostante si fossero detti pronti a tagliare le emissioni del 25-30% entro il 2020. Non c’è nessuna linea comune. Mi faccio questa domanda: se un qualche accordo fosse stato concretamente raggiungibile, gli europei si sarebbero presentati con una piattaforma tanto ambientalista? O proprio la sicurezza che tanto non si sarebbe preso nessun impegno li ha spinti sulla facile strada della richiesta impossibile? chiaro che va ripensato tutto.
• E come andrebbe ripensato?
Ha senso intanto tenere in piedi questa finzione della certezza assoluta relativa al global warming ? Non ci credono neanche loro, perché se l’umanità fosse davvero prossima all’estinzione un accordo lo troverebbero. Si sa poi che gli scienziati hanno truccato le carte per dimostrare che il riscaldamento globale c’è e che è colpa dell’uomo, perché solo l’annuncio di catastrofi provocate da noi assicura cospicui finanziamenti. Un primo atto sarebbe quello di finirla con le bugie e di dichiarare che, comunque stiano le cose, inquinare meno, risparmiare energia, controllare l’emissione di gas serra è un bene per l’umanità tutta. Da perseguire quindi con tenacia e pazienza.
• Che differenza fa, rispetto ad ora?
Gli annunci drammatici impediscono di ragionare e fanno sembrare ogni compromesso una vergogna. Il rappresentante sudanese, che parlava anche a nome del G77 (sarebbero i Paesi in via di sviluppo, che però sono ormai 130), ha detto che il tentativo di imporre l’accordo è un «olocausto che condannerà il popolo dell’Africa all’incenerimento ». Il simpatico uomo di Tuvalu ha tuonato intorno alle tre di notte: «Avete messo trenta denari sul tavolo per farci tradire il nostro popolo, ma il nostro popolo non è in vendita ». Ma con questi discorsi non si va da nessuna parte.
• Il punto chiave resta il fatto che i cinesi non vogliono farsi ispezionare?
Sì, e che Obama non può promettere nulla che il Congresso gli boccerà. Si parla di cento miliardi all’anno a partire dal 2020, di tagli dell’80% entro il 2050 eccetera. Il ministro indiano Jairem Ramesh ha riassunto così la natura del dibattito: «Credo che nemmeno Obama possa tagliare il nodo gordiano sul clima. Per noi si tratta di una questione di vita. Per gli altri di una questione di stili di vita». [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 20/12/2009]