Boris Sollazzo, Liberazione 20/12/09, 20 dicembre 2009
«Il segreto del successo? Puntare tutto sulle idee e non sui soldi. E divertirsi» - «Lasseter è un grande artista
«Il segreto del successo? Puntare tutto sulle idee e non sui soldi. E divertirsi» - «Lasseter è un grande artista. Se Disney e la Disney hanno pescato in Europa e nelle fiabe della nostra cultura per costruire il loro universo, lui ha saputo imporre la forza della sua visione, delle sue idee». A dire queste parole è un incontentabile come Luc Besson, regista, produttore e ora anima della nouvelle vague europea del cinema d’animazione con l’epopea, letteraria e cinematografica, del suo Arthur. Per raccontare John Lasseter non si può prescindere dalla sua genialità, dal suo carisma, dalla forza della sua mente tanto concreta quanto visionaria. Talenti talmente evidenti da essere riconosciuti persino da un fiero concorrente, noto peraltro per il suo caratteraccio. Un uomo che ha stregato Steve Jobs, che ha ”scalato” la Disney sotto il profilo creativo - La principessa e il ranocchio, uscito venerdì scorso, è la dimostrazione che John e soci ormai sanno anche essere più disneyani di Walt e i suoi nipoti - e che ha creato un paradiso per artisti, tecnici, lavoratori e ovviamente spettatori chiamato Pixar. Quest’anno, dopo dieci film amati e famosi, ha avuto la consacrazione di festival e premi. Ecco i segreti del papà di Nemo, de Gli incredibili, di Wall-E, del vecchio e il bambino di Up. Un Oscar a febbraio. A Cannes avete aperto il festival. A Venezia Leone d’oro alla carriera. Un 2009 da far tremare le gambe, il suo. «Un sogno, continuo a darmi pizzicotti temendo di svegliarmi. E non è un modo di dire, mi sembra incredibile trovarmi in un mondo in cui io possa aver fatto della mia passione un lavoro, che abbia avuto successo e che quello che più amo, l’animazione, anche grazie a me non sia più considerata un passatempo infantile, né cinema di serie B, ma una risorsa preziosa, un genere che può dare, ha dato e darà film importanti alla storia della Settima Arte». Steve Jobs della Apple ha puntato su di voi. La Disney vi ha strapagato per pendere dalle vostre labbra. Voi della Pixar siete indipendenti da incassi e senza capi. Il delitto perfetto? «Ci penso spesso, siamo davvero riusciti a creare una situazione ideale. E voglio parlare senza false modestie, credo che il motivo per cui grandi uomini e grandi aziende hanno puntato su di noi - guadagnandoci, peraltro, entrambi - è molto semplice. A mio parere le idee sono il miglior piano aziendale possibile, e sono loro la nostra guida. Le seguiamo, approfondiamo, le coccoliamo. E poi professionalmente le attuiamo. Crediamo in quello che facciamo. E soprattutto, facciamo quello in cui crediamo». Una squadra di artisti e una factory di 300 persone. In un ”villaggio Pixar” da sogno, dove i lavoratori hanno diritti, benefit e stipendi importanti. Un’utopia realizzata? «Forse è solo che noi siamo più furbi degli altri». Beh, questa me la deve spiegare. «Ok. Sei un lavoratore, quindi puoi capirmi. Se un datore ti paga quanto meriti, se rende il tuo posto di lavoro piacevole e motivante, se ti spinge a cercare la qualità più e prima ancora della quantità, cosa faresti? Probabilmente ti getteresti nel fuoco per lui. Ora, semplicemente noi abbiamo creato un luogo in cui questo è possibile per tutti noi: artisti, organizzatori, tecnici. Senza pensare a fare i soldi - anche se siamo ben felici quando arrivano - ma a regalare a noi stessi e agli altri qualcosa di bello, possibilmente unico. Che porti gioia e che diventi importante per qualcuno. A mio parere quello che tu chiami utopia è solo il metodo più giusto di gestire quest’avventura. E forse anche il più redditizio. Di sicuro, almeno per noi, il più divertente». Passiamo alla mitologia sul vostro gruppo di geni. E’ vero che metà dei vostri 10 capolavori sono nati da un lungo pranzo alla Pixar? «Hai detto bene, mitologia. Su quel pranzo si è favoleggiato parecchio, ammetto che ci abbiamo giocato parecchio anche noi, io e Pete (Docter, ndr) soprattutto. Anche se è vero che passammo un giorno intero a tavola a mangiare e tirar fuori idee. Magari solo spunti, che poi divennero quattro-cinque dei nostri film più famosi. In generale poi capita spesso che ci confrontiamo anche - direi forse soprattutto - nei momenti di relax. Toy story, ora che ci penso, è nato davanti a un hamburger. Professionale in un contesto di perfezionismo tecnico e creativo. Ma allo stesso tempo anche abbastanza anarchico da permettere alla fantasia e alle influenze esterne di entrare. E’ questa la ricetta? «C’è anche un altro ingrediente, il rispetto. Per chi ci guarda e per chi lavora con noi. Indipendentemente dal nome che vedete ogni volta alla regia, alla sceneggiatura, dietro c’è davvero il lavoro di tutti. E poi, sì, non ci fermiamo di fronte alle difficoltà, non limitiamo la nostra fantasia. E la realtà ci dà ispirazione: dietro Carsper esempio, c’era stato un viaggio in roulotte con mia moglie. Lo decidemmo allora perchè lavoravo troppo e mi sono reso conto che volevamo una pausa per noi. Ci appassiona quello che facciamo (hanno 5 figli, un cane e la passione in comune per arte e innovazione: si conobbero a una convention sulla grafica computerizzata, ndr), do tutto sul lavoro, sono uno stakanovista: ma non gli dò il primo posto nelle priorità della mia vita». La Pixar racconta fiabe uniche e allo stesso tempo, spesso, molto politiche. E’ d’accordo? «Sì e no, perchè tutto viene naturale. Wall-E è un manifesto ambientalista e anticonsumista? Non è certo nato con queste intenzioni, ma è sorto dalla voglia di raccontare una storia d’amore e dal dolore di un mondo che sta morendo per colpa nostra. E nell’ultimo, La principessa e il ranocchio, remake che unisce il nostro stile a quello dei classici Disney, c’è l’inserimento di una protagonista di colore. Non volevamo essere politically correct, l’idea precede Obama di parecchio, era solo e semplicemente inevitabile che fosse così. Noi ascoltiamo poco la ragione e molto il cuore. E sì, forse questo è l’atteggiamento più politico che si possa avere, in effetti». Non so disegnare. Mi assumete lo stesso alla Pixar, anche solo per guardarvi lavorare? «Mandami il curriculum. Potrebbe essere interessante come nuova figura professionale! (ride)».