Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  dicembre 20 Domenica calendario

Là dove il Canaro si fece giustizia nascerà un pub - «Quell ’infame non moriva mai. Continuava a respirare

Là dove il Canaro si fece giustizia nascerà un pub - «Quell ’infame non moriva mai. Continuava a respirare. stata dura. Ma se rinascessi lo rifarei». C’è ancora chi, alla Magliana, se le ricorda bene le parole con le quali Pietro De Negri, detto er Canaro, confessò alla polizia l’omicidio di Giancarlo Ricci. L’ex pugile fu smontato letteralmente pezzo a pezzo dopo essere stato intrappolato nella gabbia nella quale er Canaro, tosatore di cani, teneva gli animali. Oggi, proprio lì dove c’era quella gabbia, c’è un tavolo. Qualcuno, con una birra tra le mani, penserà ad altro, forse neppure ricorderà quella vecchia storia. Perché ai luoghi, a differenza degli uomini, viene offerta sempre o quasi una seconda possibilità, una nuova vita spesso diversa dalla prima. Le cose, infatti, hanno destini molteplici. E l’incarnazione di quella vecchia toeletta per cani è oggi in un pub. Già, un pub. Non c’è mai nulla di prevedibile nel destino dei luoghi. E per quanto possa stupire non c’è nulla di più normale edi più umano, verrebbe da dire. «Spesso - osserva il generale Luciano Garofano, ex comandante del Ris - l’inizio di una nuova vita allontana le ombre di una tragedia». «Mi sconvolge di più - aggiunge Garofano, autore, tra l’altro, del recente Il processo imperfètto pubblicato da Rizzoli -la continuità nell ’uso di un luogo, magari da parte dei famigliari di una vittima che tornano a vivere nella casa in cui c’è stata una tragedia. Ma forse questo è un modo per rielaborare un lutto e comprendere quella tragedia». Forse per questo il papà e la mamma di Chiara Poggi, ammazzata a Garlasco due anni fa, hanno deciso di tornare a vivere in quella villetta che, spiega Anna Mangiarotti, cronista della Provincia Pavese, appare così «tranquilla, serena, che davvero non sembra possibile che proprio in un luogo così sia avvenuto un tale dramma». Eppure è accaduto. E i genitori di Chiara oggi sono di nuovo lì. «All’inizio è stata durissima», raccontò al Corriere della Sera la signora Rita che della camera della figlia non ha più toccato nulla. «Così - disse - è come sentirla più presente, più vicina». «Indietro non si può tornare», aggiunse il papà. Ma si è sempre liberi di fantasticare che «magari rientra da un momento all’altro». Sono case, piazze, strade. Sono le mille forme con le quali l’uomo organizza lo spazio. Sono luoghi che però, una volta segnati dal fattaccio di cronaca, possono anche perdere il rapporto con la realtà, diventando luoghi della memoria collettiva, e quindi fotografie o immagini buone per le pagine dei quotidiani o per l’approfondimento della seconda serata. Elena Stancanelli su Repubblica li ha definiti «iper-luoghi», spiegando che si tratta di «spazi la cui presenza è stata moltiplicata dai media per qualche motivo», diventando per questo «talmente presenti nella nostra immaginazione da sembrarci familiari, come Mike Bongiorno ci è nonno più dei nostri nonni». «Un iper-luogo classico - scrisse ancora - è la villetta dei Franzoni a Cogne», proprio quella che la televisione, servendosi dell’ormai mitologico plastico di Bruno Vespa, ha mostrato fin nei minimi particolari. « ricomparsa in video la villetta di Cogne - scrisse Michele Serra - ed è stato come rivedere Anna Magnani o Alberto Sordi nei vecchi scampoli della Rai, vecchie glorie dei vecchi tempi». «Chissà - aggiunse - se esiste, negli studi di Porta a porta, anche un plastico della pietà umana». Quello di Vespa, per la verità, non è il primo plastico che le cronache ricordino. Ce ne sono stati tanti prima di quello, stampati sulle pagine di vecchi giornali, studiati con avidità, addirittura compulsati dai lettori. Con Vespa, però, si arriva alla sublimazione del genere. Difficile dire se questo essere un iper-luogo abbia fatto sì che quella villetta sia rimasta impigliata nel suo passato, congelata tanto da essere ancora oggi a tutti gli effetti soltanto la scena di un crimine, seppure commesso anni fa. A ricordarlo ci sono quei sigilli che ne chiudono le porte. E impediscono che lì la vita riprenda. Ben diverso il destino di un altro iper-luogo, Erba. Qui, il futuro della scena del crimine è una perfetta catarsi. «Useremo la vita per cancellare la morte», annunciò qualche mese fa don Dubini, coordinatore della Caritas di Erba, spiegando che quella casa nella quale vennero massacrate quattro persone e dove fu stravolta la vita di due famiglie, sarebbe presto diventata una casa-famiglia e, quindi, un rifugio per le famiglie in difficoltà. L’idea fu di Carlo Castagna che nella strage perse la figlia, la moglie e il piccolo nipote. Ma, prima che quella idea possa trasformarsi in realtà, passerà ancora del tempo, almeno quello che servirà perché la giustizia faccia sino in fondo il proprio corso. A marzo inizia il processo di appello. Poi, i siglli potranno saltare. E la vita nuova cancellerà la morte. C’è un luogo dove la vita nuova vita, invece, non riesce del tutto a liberarsi dalla morte o, almeno, dalle conseguenze di un delitto, come quelle macchie di sangne che a distanza di anni furono ritrovate sull stipite di una porta. Siamo a Roma. Il 7 agosto del 1990, in un ufficio di via Poma, nel quartiere Prati, viene uccisa con 29 coltellate Simonetta Cesaroni. Il cadavere fu trovato in terra, in una pozza di sangne. Probabilmente prima di essere uccisa aveva lottato con il suo assassino. Le scarpe erano in un angolo, i vestiti scomparsi. Sul suo corpo, una canottiera tirata su, ai piedi delle calze bianche. Nessuna traccia di violenza sessuale. Oggi in quell’ appartamento c’è uno studio notarile. Intorno, in un palazzo che è grande quasi quanto un paese, un alveare di studi legali, uffici e appartamenti. Ci abitano vip, giornalisti, volti noti dello spettacolo, magistrati. Insomma, è un luogo di gran passaggio, soprattutto di giorno. Di notte si svuota e può fare paura. Di quella storia Garofano ricorda soprattutto lo sgnardo del papà di Simonetta, incrociato durante le indagini quando gli investigatori ritrovarono i mobili originali e li analizzarono. «Non parlava - racconta Garofano di quel papà - ma con lui ci scambiavamo sguardi silenziosi che erano interrogatori molto più profondi di quanto le parole potessero esprimere». Anche nello sguardo di un altro papà Garofano vide la ricerca di risposte a una tragedia che sembrava incredibile. Si riferisce, il generale, al papà di Erika, la ragazzina che, insieme al fidanzato Ornar, uccise la madre e il fratellino. Quel papà attendeva «con pazienza fuori della casa che terminassimo il nostro lavoro. Ne ricordo la riservatezza. Non ci mai chiesto nulla, né noi avremmo mai potuto rispondere. Ma nei suoi occhi vedevo la necessità di chiederci: ma è possibile che sia davvero accaduto tutto questo? E proprio qui, in questa casa?», Già, proprio in quella stessa casa nella quale, poi, ha deciso di tornare a vivere. Ma, in fondo, osserva ancora l’ex comandante del Ris, è normale che in quei luoghi la vita tomi a riempire i vuoti. «Altrimenti - osserva - si trasformerebbero in musei dell’ orrore. Il ritorno della vita, invece. un investimento verso il futuro, vero l’ottimismo». E infatti è ottimista Marco che a 37 anni si dà un gran daffare perché sia tutto pronto per l’apertura del suo locale, installato al posto di quello del Canaro e che si chiamerà Lecò. «Sarà un posto tranquillo dove chiacchierare e prendere un caffè», racconta. E non ci saranno riferimenti a quella vecchia storia che ali ’epoca riemp le cronache. Non è difficile capirne le ragioni. Basta farsi un giro alla Magliana, quartiere a sud della Capitale. Qui, infatti, c’è ancora chi se la ricorda bene la storia dell’ex pugile chiuso in trappola in quella gabbia, aggrappato alla vita fino ali ’ultimo, arresosi quando non ebbe più fiato per respirare, soffocato dai genitali mutilati che er Canaro, come ultimo sfregio, gli infilò in bocca al termine di un supplizio durato ore. Anche a Perugia la vita è andata avanti. La villetta appena fuori dalle mura cittadine che tutto il mondo conosce per averla vista in tv, è stata riaffittata. Lì dove Meredith Kercher fu uccisa ora vivono altri studenti. Stranieri come lei. Sono entrati pochi giorni prima dello scorso Halloween, due anni esatti dopo l’omicidio per il quale sono stati appena condannati Amanda Knox e Raffaele Sollecito e per il quale era già stato condannato Rudy Guede. La casa è stata ristrutturata, come è inevitabile che accada. Le cronache raccontano che i tre ragazzi pagheranno circa 400 euro al mese ciascuno. Nel contratto, sembra, anche una clausola che impedisce la vendita di fotografie dell’interno dell’appartamento. Chissà se di notte, svegliandosi magari per andare in bagno, qualcuno di quei tre ragazzi ripenserà a ciò che in quelle stesse stanze accadde, se rivedranno, nella loro mente, il disordine di quella mattina quando il corpo di Mez fu trovato, e quel letto sfatto. Di certo, non è stato difficile trovare nuovi inquilini anche se nessuno - come scrisse il Corriere della Sera - ha chiesto di affittare quella casa proprio perché era quella dove venne uccisa Meredith. «No - conferma Guido Lodigiani, direttore dell ’ufficio studi della Gabetti - fatti di questo genere non sono motivi di attrazione come invece lo sono la vicinanza all’ abitazione di una star o di un vip». E Lodigiani conferma anche che un delitto non toglie valore di mercato all’immobile. Nella valutazione di un immobile entrano altri fattori. «Si valuta la location - spiega ancora Lodigiani - e il condominio, poi la metratura, l’esposizione, i servizi. Si tratta di parametri oggettivi con i quali si quanti fica il valore. Il resto fa parte della sfera emozionale ed è difficile che possa pesare». E, se anche in qualche raro caso questo può accadere, è comunque un effetto destinato a diminuire col tempo. Anche per il mercato, insomma, come per gli uomini, il tempo consuma il ricordo delle vite passate di altri uomini. Er Canaro, scontata la pena, è tornato a casa. «Ho pagato - disse - ora dimenticatemi». Scelse l’oblio, ed è comprensibile. Le traiettorie che segne il destino delle cose, invece, sono diverse e imprevedibili come quella del locale dove er Canaro tosava i cani e che ora diventerà un pub. The show must go on, dicono gli americani. Più semplicemente - e per fortuna - la vita va avanti. Nonostante tutto.