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 2009  dicembre 20 Domenica calendario

L’accordo di Copenaghen non vale proprio nulla? Il testo finale prevede impegni non vincolanti sul clima, ma c’è la volontà di riparlarne a gennaio

L’accordo di Copenaghen non vale proprio nulla? Il testo finale prevede impegni non vincolanti sul clima, ma c’è la volontà di riparlarne a gennaio. Guardato a mente fredda, l’ac­cordo di Copenhagen non è ne­anche un accordicchio, ma addi­rittura un «pre-accordicchio non vincolante», cioè un affare che coincide più o meno con il nulla travestito però in modo da sembrar qualcosa. Questo qual­cosa è sostanzialmente la volon­tà di rivedersi a gennaio per rico­minciare la discussione su come evitare un aumento superiore a 2 gradi della temperatura terre­stre. Fa tenerezza anche l’opposi­zione dei piccoli Paesi che hanno – per dir così – lottato fino a tarda notte per trovare un modo di prendere le distanze dall’og­getto misterioso: il quasi-nulla non offre neanche molti appigli per far polemica. Alla fine, vota­ta da 185 Paesi, è uscita questa dichiarazione: «La Conferenza Onu sul clima decide di prende­re atto (o, secondo altre versio­ni, «di prendere nota») dell’Ac­cordo di Copenhagen del 18 di­cembre 2009». Punto e basta.

Possibile che sia solo un appun­tamento, e neanche sicuro?
I cinesi hanno mandato a parla­re con Obama il loro numero due, tanto per far capire che del mito del presidente Usa non gliene importa niente. Poi finalmente si sono decisi ad ac­cettare un incontro di livello: il presidente Wen Jiabao e Ba­rack, uno di fronte all’altro per 55 minuti. Un faccia a faccia che non ha prodotto niente, a parte qualche dichiarazione al­tisonante. Intanto si deve pren­dere atto che convocare i rap­presentanti di 192 Paesi e met­tere insieme 16.500 delegati (per fargli produrre oltre tutto un tasso di inquinamento iden­tico a quello del Paraguay) ser­ve a poco, dato che qualunque intesa ha senso solo se sotto­scritta da Stati Uniti e Cina, i due massimi inquinatori. Biso­gnerebbe allora evitare questi mega raduni, molto utili per far fare vacanze di 15 giorni a un mucchio di gente, e spinge­re i due interlocutori principali a costruire l’intelaiatura di un possibile accordo da proporre poi agli altri promettendo, evi­dentemente, qualche vantag­gio. La suddivisione proposta all’inizio da Obama, Paesi ric­chi di qua e Paesi poveri di là, con i Paesi ricchi che chiedono ai poveri di non inquinare o in­quinare meno e offrono in cam­bio denaro, alla fine non funzio­na. Sarebbe meglio ammette­re: di qua c’è il G2 e praticamen­te la metà di tutte le emissioni terrestri; dall’altra tutti gli al­tri. La prima metà arriva a una qualche intesa e la sottopone agli altri. Se gli altri ci stanno, ne traggono qualche vantaggio da stabilire.

Gli europei?
Inesistenti, nonostante si fosse­ro detti pronti a tagliare le emis­sioni del 25-30% entro il 2020. Non c’è nessuna linea comune. Mi faccio questa domanda: se un qualche accordo fosse stato concretamente raggiungibile, gli europei si sarebbero presen­tati con una piattaforma tanto ambientalista? O proprio la si­curezza che tanto non si sareb­be preso nessun impegno li ha spinti sulla facile strada della ri­chiesta impossibile? chiaro che va ripensato tutto.

E come andrebbe ripensato?
Ha senso intanto tenere in pie­di questa finzione della certez­za assoluta relativa al global warming ? Non ci credono nean­che loro, perché se l’umanità fosse davvero prossima al­l’estinzione un accordo lo tro­verebbero. Si sa poi che gli scienziati hanno truccato le car­te per dimostrare che il riscal­damento globale c’è e che è col­pa dell’uomo, perché solo l’an­nuncio di catastrofi provocate da noi assicura cospicui finan­ziamenti. Un primo atto sareb­be quello di finirla con le bugie e di dichiarare che, comunque stiano le cose, inquinare meno, risparmiare energia, controlla­re l’emissione di gas serra è un bene per l’umanità tutta. Da perseguire quindi con tenacia e pazienza.

Che differenza fa, rispetto ad ora?
Gli annunci drammatici impe­discono di ragionare e fanno sembrare ogni compromesso una vergogna. Il rappresentan­te sudanese, che parlava anche a nome del G77 (sarebbero i Pa­esi in via di sviluppo, che però sono ormai 130), ha detto che il tentativo di imporre l’accordo è un «olocausto che condanne­rà il popolo dell’Africa all’ince­nerimento ». Il simpatico uomo di Tuvalu ha tuonato intorno al­le tre di notte: «Avete messo trenta denari sul tavolo per far­ci tradire il nostro popolo, ma il nostro popolo non è in vendi­ta ». Ma con questi discorsi non si va da nessuna parte.

Il punto chiave resta il fatto che i cinesi non vogliono farsi ispezionare?
Sì, e che Obama non può pro­mettere nulla che il Congresso gli boccerà. Si parla di cento mi­liardi all’anno a partire dal 2020, di tagli dell’80% entro il 2050 eccetera. Il ministro india­no Jairem Ramesh ha riassun­to così la natura del dibattito: «Credo che nemmeno Obama possa tagliare il nodo gordiano sul clima. Per noi si tratta di una questione di vita. Per gli al­tri di una questione di stili di vita». [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 20/12/2009]