Gaia Piccardi, Corriere della Sera 20/12/2009, 20 dicembre 2009
IL CAMPIONE DI RUGBY E IL TABU’: SONO GAY E NON SONO L’UNICO
Nessun avversario, nelle sue cento presenze nella nazionale di rugby del Galles (14 da capitano, inclusa la Coppa del mondo 2007), gli era mai sembrato irresistibile come quel tabù che ha deciso di abbattere ieri, a 35 anni, chiuso il matrimonio con Jemma («L’ho amata, a modo mio, e rimane un’amica speciale»), correndo con il cuore impazzito e l’animo in tumulto verso l’azione più concitata e difficile di tutta la sua carriera. Un tuffo nel vuoto anziché sull’erba. Le ginocchia sanguinanti ma la coscienza più sgombra. Due parole al Daily Mail . «Sono gay». Storica meta.
Gareth Thomas è la leggenda del rugby gallese. Ha giocato, da straniero, in Francia, vincendo l’Heineken Cup con il Tolosa. Si è ritirato dalla nazionale ma oggi, particolare non indifferente, rimane un giocatore in attività, centro dei Cardiff Blues. Centouno chili di muscoli capaci di nascondere il segreto raddoppiando gli sforzi in palestra («Ero una bomba ad orologeria, cercavo di sfogarmi»), le barzellette sporche al pub («Inventavo presunte conquiste femminili e avventure da playboy»), l’aggressività in mischia («Alimentavo l’immagine da macho con un agonismo esagerato, infilandomi in ogni rissa»), fino a creare un perfetto alter ego che ha alzato molti trofei e l’ha data a bere a tutti, famiglia e colleghi, moglie e tifosi, tranne al suo più caro nemico. Se stesso. «Realizzai di essere gay a 17 anni, ogni sera mi addormentavo pregando che, la mattina dopo, quei sentimenti non si ripresentassero. Nel 2002 mi sono sposato, sperando che fosse l’antidoto. Ho vissuto con un macigno sullo stomaco. Ho pianto. Sono diventato maestro di sotterfugi per non farmi scoprire quando frequentavo altri uomini. Ho desiderato buttarmi giù dalla scogliera e farla finita. Ero solo e disperato: temevo, se mi fossi confidato con qualcuno, che il mondo del rugby mi ripudiasse».
Nel 2006, un angelo custode bussa alla porta dello spogliatoio. Scott Johnson, coach del Galles. «Mi ha visto giù, mi ha abbracciato, mi ha chiesto: che ti succede? E io gli ho raccontato tutto». stato più facile di quanto pensasse. Parole e lacrime sono uscite insieme, alleggerendo il peso. Stephen Jones e Martyn Williams, i due compagni di cui più temeva il giudizio, non lo scaricano: «Perché non ce l’hai detto prima?». L’outing con il Mail è l’ultima pedina di un domino di emozioni e chiarimenti, onestà e vergogna. Gareth è un pioniere, nel rugby. E una rarità nello sport internazionale di alto livello. Come Martina Navratilova nel tennis (milioni di dollari persi in contratti pubblicitari), Greg Louganis nei tuffi (quattordici anni dopo la sua dichiarazione di omosessualità, ai Giochi di Pechino Matthew Mitcham diventerà il primo oro olimpico gay), Justin Fashanu nel calcio (ammissione drammatica, ostracizzata da allenatore e tifosi al punto che le reazioni omofobiche lo condurranno al suicidio), Nigel Owens tra gli arbitri (la sua carriera, nel rugby, non ne ha risentito).
«Non so se la mia vita da domani sarà diversa, ma se sarò stato d’aiuto o di ispirazione per qualcuno, allora la mia esperienza sarà servita a qualcosa. Di certo, so di non essere l’unico rugbista omosessuale in circolazione » ha detto Thomas.
Rifiuta l’idea della crociata. Questa, in fondo, è solo una partita di rugby vinta ai supplementari. «Sono un uomo. Sono uno sportivo. Sono, incidentalmente, gay. Mi auguro che tra dieci anni l’omosessualità non sarà più un argomento tabù nella nostra società». Anche in quel caso, basterà inseguirlo, prenderlo per le caviglie e placcarlo. Botte e fairplay. La specialità della casa.