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 2009  dicembre 20 Domenica calendario

COPENAGHEN

Non ha valore legale vincolante. Contiene pochis­simi numeri. Dice che per limitare l’aumento delle temperature a 2 gradi sono necessari profondi tagli alle emissioni di CO2, ma non sta­bilisce impegni di riduzione per raggiungere lo scopo. Assegna fi­nanziamenti ai Paesi in via di svi­luppo, ma per quelli di medio-lun­go periodo usa la formula del­l’ «obiettivo». E ancora: non parla dell’impatto di voli aerei e traspor­ti marittimi, e non c’è nemmeno un progetto chiaro per la tutela del­le foreste (il cui taglio contribuisce al 20% delle emissioni globali), che sembrava essere uno dei risultati alla portata dei negoziatori.

Da Rio a Copenaghen

Le due pagine e mezza che passe­ranno alla storia come l’accordo di Copenaghen sembrano poca cosa, considerate le attese per questa XV Conferenza delle Parti. Doveva es­sere il punto d’arrivo di un proces­so cominciato a Rio de Janeiro nel 1992, quando per la prima volta si parlò della necessità di controllare (su base volontaria) le emissioni di gas serra. Cinque anni dopo venne il Protocollo di Kyoto, con il quale 37 Paesi industrializzati si impe­gnavano a tagliare del 5,2% rispet­to al 1990 le emissioni di gas noci­vi. Era il ”97. Oggi in tutto il mondo le centrali energetiche, i roghi di fo­reste per creare terreni agricoli o pascoli, le auto e molte altre fonti «minori» sono responsabili di una produzione di CO2 che è del 29% più alta rispetto al 2000. La mag­gior parte degli scienziati crede che questo contribuisca al riscalda­mento del Pianeta. tutto questo che ha portato 193 Paesi del mon­do a Copenaghen.

Pro e contro

« vero, la conclusione è deluden­te. Ma c’è qualcosa su cui costruire – dice Mariagrazia Midulla, del Wwf ”. Il fatto che oltre cento dei più importanti politici del mondo abbiano preso parte attivamente al­le trattative, o che Ban Ki-moon sia stato in assemblea plenaria fino alle tre di ieri pomeriggio, sono se­gni importanti». Non solo: il Proto­collo di Kyoto, oltre a non aver coinvolto gli Usa, impegnava in progetti di riduzione Paesi respon­sabili di circa il 30% delle emissio­ni mondiali. Il testo danese per ora non vincola nessuno, però è frutto di un accordo tra nazioni che emet­tono oltre l’80% dei gas serra, co­me tra gli altri Cina (primo inquina­tore al mondo), Usa, Brasile e Indo­nesia. Lo scenario che si apre in prospettiva, fissati contenuti e im­pegni, è interessante.

La formula

La prima indicazione che viene dal­l’accordo di Copenaghen è che la discussione sui cambiamenti cli­matici, a Bonn la prossima estate e poi in Messico tra un anno, conti­nuerà sui due binari: da una parte il Protocollo di Kyoto, dall’altra le azioni di cooperazione a lungo ter­mine. stata una delle richieste dei Paesi in via di sviluppo, che ve­dono riconosciuto in Kyoto il ruo­lo di «inquinatori storici» dei più ricchi. Ma è anche il modo per tene­re nel negoziato gli Usa, che un Pro­tocollo come quello giapponese non l’avrebbero mai accettato. I due binari, prima o poi, si congiun­geranno. L’accordo danese preve­de che in Messico sia presentato un testo giuridicamente vincolan­te. presto per dire se tra dodici mesi ci saranno le condizioni per approvarlo e che natura avrà, ma qualche indicazione potrebbe veni­re già a fine gennaio. Entro quella data tutti i Paesi, avanzati e in via di sviluppo, dovranno fissare obiet­tivi di riduzione nazionali autovin­colanti. L’Ue ha deciso tagli del 20% al 2020 e potrebbe spingersi fi­no al 30%. Gli Stati Uniti avevano parlato del 17% rispetto ai valori del 2005. La Cina si era detta pron­ta a ridurre del 45% la sua intensità di carbonio al 2020: significa usare meno energia (e quindi produrre meno CO2) per unità di prodotto, ma questo vuol dire che se l’econo­mia cinese crescesse molto il taglio potrebbe non coincidere con una riduzione di emissioni. L’India pro­metteva una misura simile, ma del 20-25%; ieri però sembrava che l’impegno fosse già stato messo in discussione.

I finanziamenti

I Paesi ricchi destineranno 10 mi­liardi di dollari all’anno tra il 2010 e il 2012 ai Pvs, per progetti di miti­gazione e sviluppo sostenibile. Do­vrebbero diventare 100 miliardi di dollari all’anno dal 2020, ma per ora questo è «un obiettivo». Non è chiaro da dove verranno i quattri­ni; le Ong temono che siano storna­ti dai fondi della cooperazione in­ternazionale destinati a quelle stes­se aree del mondo. Il testo non lo esclude e dice solo che saranno rac­colti «da fonti pubbliche e private, bilaterali e multilaterali». Per il pe­riodo 2012-2020 si era parlato di una progressione nei finanziamen­ti: una cifra di 50 miliardi di dollari l’anno. Ma nell’accordo di questo non c’è traccia. Ed è oscuro anche il capitolo sulla tutela delle foreste. «Riconosciamo il ruolo cruciale del ridurre le emissioni della defo­restazione » dice il testo, accennan­do genericamente a «mobilitare ri­sorse finanziarie». Soldi che i Paesi tropicali potrebbero girare alle co­munità locali per farne i custodi de­gli alberi.

Temperature e CO2

In extremis, nell’ultimo capitolo, è ricomparsa come possibilità di raf­forzamento degli obiettivi di lun­go periodo quella di fissare il limi­te dell’aumento delle temperature a 1,5 gradi. L’impegno attuale, pe­rò, rimane non superare i 2. Solo che nell’accordo non ci sono stru­menti per farlo. Dal testo è sparita la frase che in bozza, poco prima della chiusura dei negoziati, stabili­va riduzioni del 50% delle emissio­ni globali al 2050. Sembra che fos­se sgradita alla Cina.

Controlli e trasparenza

 un’altra delle questioni sollevate da Pechino, che in questo caso ha fatto una concessione alle richieste americane. La Cina non voleva con­trolli da parte di autorità terze sul proprio operato, e quindi ostacola­va la creazione di un sistema di ve­rifica degli impegni. Gli Usa invoca­vano trasparenza. Il testo prevede che i Pvs diano il via ad azioni di mitigazione e che le «loro misura­zioni domestiche» siano comunica­te ogni due anni, con la possibilità di consultazioni internazionali ri­spettose della sovranità di tutti. Forse non è molto, in ogni caso si riparte da qui.

Mario Porqueddu