Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  dicembre 20 Domenica calendario

Quanti pazzi hanno cambiato la Storia- Il souvenir di Massimo Tartaglia avrebbe potuto uccidere Silvio Berlusconi, ha dichiarato nei giorni scorsi il ministro dell’Interno, e prevedibilmente i militanti della "guerra civile fredda", che da anni sconvolge questo paese, non l’hanno presa bene, sospettando che si trattasse di una furbesca drammatizzazione dell’accaduto

Quanti pazzi hanno cambiato la Storia- Il souvenir di Massimo Tartaglia avrebbe potuto uccidere Silvio Berlusconi, ha dichiarato nei giorni scorsi il ministro dell’Interno, e prevedibilmente i militanti della "guerra civile fredda", che da anni sconvolge questo paese, non l’hanno presa bene, sospettando che si trattasse di una furbesca drammatizzazione dell’accaduto. Il solito trucco del solito Cavaliere. Roberto Maroni, tuttavia, diceva poco meno che un’ovvietà. Se nel mirino finisce il corpo stesso del sovrano, basta un nulla perché la storia cambi improvvisamente direzione e precipiti in un vortice fuori controllo. Lo mostrano con evidenza gli innumerevoli episodi di aggressioni e di attentati politici che costellano l’Europa contemporanea: quando la politica diventa violenza fisica, la sua fisiologica razionalità rischia di evaporare all’istante e a farla da padrone intervengono fattori in genere sotto controllo, come il caso, le coincidenze, le circostanze più marginali. Allora gli avvenimenti si accavallano con rapidità inconsueta, le scelte diventano particolarmente difficili e gli errori di chi governa la polis possono trasformarsi in catastrofi. A Saraj evo, il 28 giugno del 1914, l’erede al trono asburgico Francesco Ferdinando viene fatto segno al lancio di una granata da parte di alcuni bosniaci di origine serba. C’è da aspettarselo, visto il clima esistente nei Balcani. Ma il colpo non va a segno e la bomba si limita a ferire il medico personale dell’arciduca. Poco più tardi, però, conclusa la prevista cerimonia ufficiale in Municipio, la vettura di Francesco Ferdinando finisce per uno sbaglio dell’autista nel bel mezzo della folla e, procedendo a passo d’uomo, si trova a transitare proprio davanti a Gavrilo Princip, uno degli attentatori. Il giovane terrorista vede improvvisamente il suo obiettivo a pochi passi, estrae la Browning che ha in tasca ed esplode due colpi, centrando l’arciduca e la moglie. La fortuna ha graziato una prima volta l’erede al trono di Vienna, la stessa fortuna lo trascina subito dopo davanti al suo assassino. Per parte sua, Gavrilo Princip, che sta tornando a casa incupito per il fallimento della missione, non deve far altro che credere ai propri occhi. «Quando tirò il grilletto, egli diede alla storia una svolta decisiva», ha scritto Robert A. Kann. In questo esatto momento nasce, concretamente, la Grande Guerra. Ciò che non era maturato lungo decenni di competizione geopolitica tra le grandi potenze, precipita in un solo attimo a seguito di un grappolo di coincidenze e di errori. Quel 28 di giugno, Francesco Ferdinando morirà dissanguato a causa della ferita alla gola, mentre i suoi soccorritori non sono in grado di aprire il suo pesante abito da cerimonia e così fermare l’emorragia. Nessuno sembra sapere che, angustiato dall’incipiente pinguedine, l’arciduca ha chiesto che l’abito gli venisse cucito addosso. Un’altra fatalità. Sono le circostanze bizzarre di una giornata piovosa a tracciare il futuro tragico dell’Europa novecentesca. Altre volte, la fortuna bendata protegge il principe e il colpo non va a segno. Se nel 1963, appostato davanti al corteo del presidente Kennedy, Lee Harvey Oswald dimostrerà di avere una buona mira, diverso è il caso di Fanni Kaplan, la giovane ebrea che il30 agosto del 1918 ha sparato a bruciapelo a Lenin e, pur ferendolo gravemente, non è riuscita a ucciderlo. Quel giorno, tuttavia, i futuri settant’anni di vita del comunismo sovietico sono rimasti come appesi a un filo. Per non dire di Benito Mussolini, che nel 1926 viene fatto segno di ben tre attentati, a testimonianza di una congiuntura estremamente tesa com’ è il passaggio dalla costituzione liberale alla dittatura. Uno dopo l’altro, l’irlandese Violet Gibso n, l’anarchico Gino Lucetti e il giovanissimo Anteo Zamboni, un altro anarchico, cercano di forzare il ciclo politico italiano attraverso la distruzione del corpo del Duce. Ma, per una questione di centimetri, il fascismo sopravvive tutte e tre le volte. La prima pallottola fallirà il suo compito perché, in quell’attimo, Mussolini ha spostato il capo all’indietro per salutare un gruppo di studenti. Il Duce viene ferito di striscio. Un miracolo. Naturalmente, di ragioni individuali o storiche per capire quel che accade (o non accade), se ne trovano sempre in abbondanza. La Kaplan è debole di vista. La Gibson è debole di mente. Zamboni -hanno ipotizzato alcuni- è lo strumento di un complotto interno al partito fascista. E tutti, in un modo o nell’altro, esprimono specifiche congiunture politiche e culturali. Sono il segno di un clima, come s’è detto a proposito dell’aggressione a Berlusconi, e ne sono in qualche misura il prevedibile effetto. I cadaveri eccellenti che costellano la storia della Russia nel secondo Ottocento, il più illustre dei quali sarà nel 1881 lo stesso zar Alessandro II, si spiegano con una precisa strategia portata avanti dall’ala radicale del movimento populista, la quale ha abbracciato la pratica del terrorismo regicida. Un paio di decenni più tardi, l’intera Europa verrà investita da quella che Eric Hobsbawm ha chiamato «un’epidemia di attentati anarchici». A farne le spese saranno l’imperatrice Elisabetta d’Austria, il presidente francese Sadi Carnot, il presidente degli Stati Uniti William McKinley, il primo ministro spagnolo Antonio Cànovas e - il 29 luglio del 1900 - il re Umberto I di Savoia. Troppi perché si possa pensare a gesti isolati. Piuttosto, di fronte all’espandersi del costituzionalismo e della rappresentanza liberale, i fautori della rivoluzione sociale cercano una scorciatoia violenta, sebbene debbano constatare che l’odiato sistema borghese è ormai solido. A prova di bomba. Quella catena di sangue esprime la resistenza irriducibile della vecchia Europa di fronte all’onda della modernizzazione. Dai gruppi anarchici alle società segrete di estrema destra, sono numerosi coloro che guardano con odio alle trasformazioni in corso. Ma il punto è che le forti tensioni sociali e culturali tendono a produrre reazioni estreme, com’è la scelta di aggredire fisicamente la persona del potere, e queste, a loro volta, mettono la Il linciaggio del giovane Zamboni, dopo l’attentato. Sotto, Lenin convalescente. politica - e infine la storia - in balia di circostanze eccezionali e incontrollabili. Costituiscono un salto nel buio che anche i regimi e gli stati più solidi stentano a razionalizzare e a normalizzare. Sempre, la rottura dell’usuale inviolabilità del corpo simbolico del potere segnala una sorta di impazzimento della politica. Nell’ottobre del 1918, sconvolta dalla prospettiva imminente di una sconfitta militare, la classe politica dell’orgogliosa Germania guglielmina discuterà seriamente -e anzi drammaticamentel’ipotesi che l’imperatore del Reich vada al fronte per quello che viene definito come il Kònigstodesritt, la cavalcata del Re verso la morte. In buona sostanza, i vertici militari (ma anche una parte del ceto politico) stanno organizzando il sacrificio rituale del sovrano: Guglielmo II verrà portato in prima linea a cercare volontariamente il fuoco del nemico, così restituendo alla sua nazione l’onore perduto sui campi di battaglia. Né si tratta di fantapolitica o delle paranoie di qualche circolo militarista. Ai primi di novembre, il progetto sta per concretizzarsi e, prima che venga improvvisamente annullato dal generale Hindenburg, sono stati numerosi gli ufficiali che hanno dato la propria disponibilità ad accompagnare l’imperatore nella sua nibelungica avventura. In una Germania emotivamente incapace di accettare la sconfitta, la vecchia pratica dell’omicidio politico del sovrano si è trasformata nel progetto paradossale del suo suicidio politico, ma la sostanza non cambia e riflette il clima irrazionale e le nebbie ideologiche al cui interno sta affogando anche il più grande e moderno paese dell’Europa del tempo. Come che sia, covato dalle illusioni anarchiche, ammantato dai miti germanici o magari causato da una statuetta trash, il sangue del principe è un segno da non sottovalutare.