Francesca Paci, la Stampa 20/12/2009, 20 dicembre 2009
Nella carlinga del Boeing 737-300 Sky Express adagiato tra le colline verdeggianti del Gloucestershire, nell’Inghilterra meridionale, ci sono ancora le cappelliere, la toilette e una fila di sedili di prima classe
Nella carlinga del Boeing 737-300 Sky Express adagiato tra le colline verdeggianti del Gloucestershire, nell’Inghilterra meridionale, ci sono ancora le cappelliere, la toilette e una fila di sedili di prima classe. Da qui migliaia di businessmen moscoviti hanno solcato i cieli esportando intorno al globo il potere del nuovo rublo. Le ali, i potenti motori, il carrello che sei mesi fa ha accompagnato l’ultimo decollo sono già stati smembrati in oltre duemila pezzi, come costruzioni Lego. Dopo 22 anni di onorato servizio l’orgoglio della tecnologia aerospaziale novecentesca è atterrato qui, nel campo d’aviazione di Kemble, la più efficiente base militare della Raf all’epoca della Seconda Guerra Mondiale dove oggi vengono a morire gli aerei mandati precocemente in pensione dal mercato. Quanto costano, prima e dopo «Quando è arrivato da noi era stimato un milione e mezzo di dollari (un milione di euro), ma senza i motori ne vale appena 450» spiega, accarezzando il bestione russo addomesticato, l’ingegner Mark Gregory, fondatore e direttore di questo memorial del secolo scorso. Nel 1994, dopo la bancarotta della compagnia aerea in cui aveva lavorato sin dai tempi dell’Università, Gregory, 48 anni, capelli brizzolati raccolti a coda, piercing al naso e anello d’argento al pollice destro, ha capito che anche l’utopia della perfezione meccanica doveva fare i conti con la realtà e ha fondato la Air Salvage International (ASI), una delle due società europee specializzate in dismissione e riciclaggio di aerei. L’altra opera in Francia. Ma, con 12.500 apparecchi attesi all’estremo varco entro il 2030, l’Asi non teme concorrenza né crisi: «L’industria aeronautica non ha neppure cinquant’anni, che è già il doppio della vita media di un aereo. Fino al 1990 gli apparecchi erano giovanissimi, non creavano problemi, figurarsi pensare alla rottamazione: ora me ne portano quattro o cinque alla settimana». Il business della rottamazione La scrivania di Mark Gregory si trova in un prefabbricato a un paio di minuti di macchina dall’hangar J1 Belfast, il cuore pulsante di Kemble. Basta il cannocchiale appoggiato sul davanzale per tenere d’occhio il cimitero dei relitti. Il Labrador nero, mascotte dell’ufficio, abbaia ai visitatori ma non si scompone quando il mastodontico 737 della Klm attraversa il vialetto trainato dai tecnici che cominceranno a smantellarlo l’11 marzo. Da queste parti è meno sorprendente d’una giornata di sole. I trentacinque ingegneri dello staff, che a squadre di sei hanno già fatto a pezzi 350 velivoli (di cui 50 a Kemble e gli altri a domicilio in mezzo mondo, da Togo all’Ucraina alle Seychelles), hanno di fronte settimane intense: il 747 Cathay Pacific all’inizio di gennaio, l’A320 della spagnola Clik in servizio fino all’estate scorsa, il jet VT-EYF un tempo fiore all’occhiello dell’Air India e almeno altri sei dinosauri dei cieli parcheggiati in attesa della fine. Nel 2009, calcola Gregory, le richieste sono raddoppiate: «Smontare un aereo è davvero l’ultima spiaggia, stiamo parlando di gioiellini da milioni di sterline che, una volta giunti qui, diventano reperti da museo. Al momento però ce ne sono in circolazione più di quanti non richieda la piazza e i proprietari, piuttosto che darli via a un decimo del valore originale, preferiscono vendere i singoli componenti». Al mercato dell’usato dell’ASI si può trovare un sedile reclinabile di business class con televisore e lampada da lettura a 300 sterline (338 euro) invece delle 5.000 intrattabili del listino del nuovo. «Volare è un’esperienza compatta, nessun passeggero pensa d’essere seduto su un giocattolo scomponibile» nota l’informatico Lindon Northword mentre testa e ricertifica i circuiti del computer di bordo di un 938 ARJ100 ascoltando la musica degli Abba. E’ qui che le parti elettroniche, il 90 per cento del materiale riciclato, vengono aggiustate o riadattate alle esigenze dei potenziali acquirenti. Durata media, cinquant’anni Sono sufficienti una decina di settimane perché gli autobus volanti, che mezzo secolo fa hanno sfidato lo spazio prima che internet desse loro definitivamente scacco matto, si polverizzino: basta fare un giro nel magazzino stipato di ruote, eliche, batterie grandi quanto cassapanche, per capire che gli aerei sono la variante meccanica dei maiali di cui non si spreca niente. Quando raggiungono Kemble con le proprie ali o su navi speciali, come gli apparecchi guasti della Ryanair che dal deposito italiano di Ciampino vengono imbarcati al porto di Napoli per arrivare nel Regno Unito via mare, sono pronti per il macello, dove mani abili affilano i coltelli prima di dar loro degna sepoltura consegnandoli alla pressa. «Il 95% di un aereo si recupera» «Dei modelli nuovi tipo l’Airbus 320 riusciamo a recuperare fino al 95 per cento, tra elettronica e alluminio» continua Gregory. I Boeing 747 invece rendono appena il 60 per cento: troppo diffusi per essere competitivi. Di buono i Jumbo Jet hanno gli interni: «Finestrini, sedili, cappelliere, tutto è in plastica. Finora siamo riusciti a riciclarne solo un decimo ma stiamo firmando un contratto con la società Environmental Power International che, attraverso impianti pirolitici, è in grado di smaltirne il cento per cento». Il business è promettente. Non c’è solo il fatturato annuo di due milioni di sterline della pioniera ASI. Incalzato dalla recessione e dalle esigenze ecologiche non più rinviabili, richiede una razionalizzazione urgente e non solo in Gran Bretagna, dove l’industria aeronautica, gemma della poderosa manifattura d’epoca thatcheriana, s’è da tempo rassegnata alle ragnatele. Con le compagnie che, anziché comprare gli apparecchi, cominciano a noleggiarli o prenderli in leasing dalle banche (a novembre un istituto di credito tedesco ha affittato il motore di un 737 per 40 mila sterline al mese), i pezzi di seconda mano vanno a ruba e il giro d’affari dell’usato è già arrivato a 1,2 miliardi di sterline l’anno. I clienti di Gregory, due terzi dei quali inglesi e americani, hanno capito che il nuovo al momento non tira. Molto meglio spendere dalle 30 mila alle 130 mila sterline per far riparare o smantellare un vecchio arnese, a meno che non sia troppo usurato, come i 737 o i 747. Aspettare che qualcuno si prenda un aereo difettoso è ottimistico e soprattutto esoso. L’ASI affitta anche il parcheggio ma, dopo due mesi d’attesa a 1.500 sterline la settimana, la banca proprietaria dell’Airbus A300 giallo e rosso, un postale addormentato accanto alla carcassa dell’Air India dal nome evocativo de La Belle Creole, ha deciso di sborsarne 70 mila per la dismissione. Qualcuno spera fino all’ultimo in un’altra vita, chiosa Mark Gregory passando in rassegna ancora una volta l’interno del Boeing 737-300 Sky Express: «C’è una compagnia polacca interessata ad acquistarlo per fare training». Riciclaggio concettuale, il migliore. La maggior parte dei morti del cimitero di Kemble viene sezionata, redistribuita e poi dispersa nell’aria come polvere. www.lastampa.it/paci