
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il ministro Costa lascia per colpa dello Ius soli: cosa rischia il governo?

Le dimissioni di Enrico Costa da ministro degli Affari regionali non arrivano affatto come un fulmine a ciel sereno. Le aveva preannunciate qualche giorno fa con un’intervista al Mattino, meritandosi l’elogio di Renato Brunetta. Al momento della riforma del processo penale aveva votato contro. E adesso era contrarissimo alla legge sullo Ius soli, quella che facilita la cittadinanza italiana per gli stranieri nati in Italia e che secondo una forte corrente d’opinione inciterebbe ulteriormente la corsa dei disperati del Terzo Mondo verso le coste italiane. Costa aveva annunciato che, se il governo avesse posto la fiducia su questo provvedimento, lui si sarebbe dimesso.
• Come mai non ho la minima idea di chi sia?
È un avvocato, figlio di Raffaele Costa, un liberale che fu alla Camera per trent’anni, tre volte ministro (l’ultima con Berlusconi), famoso perché, assai prima di Rizzo-Stella, denunciò sprechi della pubblica amministrazione e privilegi della casta. Questo figlio Enrico fa politica da una quindicina d’anni. Consigliere comunale in un micropaese del cuneese, poi consigliere regionale in Piemonte, poi alla Camera col Pdl nel 2006 e da allora fino ad oggi sempre deputato. Sempre con Berlusconi, e berlusconiano convinto come testimonia tutta una serie di provvedimenti proposti a suo tempo e mai passati, segue però Alfano quando Alfano si stacca dal Cav. Perciò sta al governo con Renzi e diventa ministro nel momento in cui Carmela Lanzetta, una sinistra-sinistra, preferisce lasciare il ministero (senza portafoglio) «per gli affari regionali e le autonomie». Resta ministro delle Regioni anche con Gentiloni ed ecco qua, adesso molla il governo per tornare da Silvio.
• Governo in pericolo?
Tutti dicono di no, ma non bisogna giurarci. Il punto apparente del conflitto riguarda la legge sullo Ius soli, e cioè le facilitazioni per la concessione della cittadinanza a stranieri nati in Italia da un genitore residente da noi da almeno cinque anni. Gentiloni ha fatto slittare la legge e l’intenzione del premier parrebbe quella di lasciar perdere. Ma Renzi, invece, vuole che a settembre si affronti la questione, al limite (forse) ponendo la fiducia. Matteo si figura una situazione win-win: se il Parlamento approva, si sarà incassato un bel provvedimento tipicamente di sinistra; se il Parlamento respinge, si va a votare, come il segretario del Pd chiede da un anno. In realtà, alla caduta di Gentiloni seguirebbe un Gentiloni-bis, che, galleggiando tra le varie pulsioni di deputati e senatori, porterebbe di sicuro la legislatura fino a scadenza naturale. Magari tentando anche l’impossibile acrobazia di una nuova legge elettorale.
• Lei ha adoperato la parola «apparente», cioè la ragione vera delle dimissioni di Costa non sarebbe lo Ius soli.
Il ministro ha scritto una lettera al presidente del Consiglio Gentiloni. Vi si accenna anche ai provvedimenti contestati: «In questi mesi ho anche espresso il dissenso su alcuni provvedimenti (ius soli, processo penale), motivando dettagliatamente le mie posizioni. C’è chi ha ritenuto queste opinioni fonte di pregiudizio per il Governo, ma anche chi le ha apprezzate perché hanno portato a una interessante dialettica». Il punto chiave però è il seguente: «Non posso far finta di non vedere la schiera di coloro che scorgono un conflitto tra il mio ruolo ed il mio pensiero. E siccome non voglio creare problemi al Governo rinuncio al ruolo e mi tengo il pensiero». Costa si propone «di lavorare ad un programma politico di ampio respiro che riunisca quelle forze liberali che per decenni hanno incarnato aspirazioni, ideali, valori, interessi di milioni di italiani che hanno sempre respinto soluzioni estremistiche e demagogiche». Proposito che abbiamo ascoltato decine di volte e dalle personalità più diverse senza che questo programma autenticamente liberale sia mai stato praticato. Sarebbe stato di cattivo gusto scrivere: «Me ne voglio tornare da Berlusconi, perché Berlusconi mi dà più chances di essere rieletto».
• Sì?
Parrebbe di sì. I sondaggi dicono che il centro-destra ha la grande occasione di ribaltare il tavolo e vincere il prossimo giro. Se solo si presentasse unito e con un candidato premier credibile. Berlusconi non può correre come premier per via della legge Severino che lo condanna a restarsene a casa. Se Salvini si mettesse con Forza Italia, il Carroccio perderebbe la metà dei suoi voti (così dicono i sondaggi). D’altra parte lo stesso Salvini ha capito che non si può continuare a sparare a palle di fuoco contro gli alleati di un tempo. Al convegno leghista di Piacenza di domenica scorsa ha invitato Parisi, che ha accettato di essere presente, apprezzando poi i toni un po’ meno eccitati del leader leghista. D’altra parte c’è una fuga di ritorno di tutti quanti verso Arcore. A cominciare da Alfano, che non l’ha ancora annunciato, ma lo annuncerà presto avendo poche speranze di superare gli sbarramenti previsti dalle due leggi elettorali attuali. Berlusconi, come al solito, riaccoglierà tutti i figliol prodighi.
• Non è troppo facile, ai nostri tempi, cambiare partito, spostarsi da qui a lì?
Altroché. Openpolis ha calcolato che dall’inizio della legislatura a oggi hanno cambiato casacca 324 parlamentari, per un numero di spostamenti pari a 502, circa dieci al mese, un record mondiale. Scissioni e fusioni hanno dato luogo anche a una comica onomastica. Per esempio il partito di Alfano, quello da cui viene questo Enrico Costa, si chiamava, subito dopo l’uscita dal Popolo della Libertà, Nuovo Centro Destra (Ncd). Divenne poi Area Popolare, quindi Area popolare-Ncd-Centristi per l’Italia, quindi Area popolare-Ncd-Centristi per l’Europa, infine Alternativa popolare-Centristi per l’Europa-Ncd. Tra le molte doti di cui il nostro ceto politico è privo, spicca il senso del ridicolo.
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