Corriere della Sera, 20 luglio 2017
Giacomo, un mistico a teatro: vi spiego come nasce l’anima
Esiste l’anima o è una chimera, un desiderio? Oppure è così infinitesimale che non la si vede nemmeno con il più grande scompositore di particelle? E alla fine, anche se la scovassimo, cosa ce ne facciamo, dell’anima? A che serve?
Su queste domande si arrovella da tempo Giacomo Poretti, il noto comico del trio Aldo, Giovanni e Giacomo. Al punto da scriverci un monologo, Come nasce un’anima, spettacolo finale del Festival Tra sacro e Sacro Monte, a Varese, che si concluderà il 27 luglio. Un debutto in prima nazionale con cui Poretti torna a confrontarsi con la fede dopo il suo Dialogo tra la Madonnina e il Figlio in croce (2014), letto proprio in Piazza Duomo, a Milano, davanti a più di 40 mila persone.
«Mi interessa porre le grandi domande dell’uomo con un sorriso» spiega l’attore. Come nasce un’anima, prosegue, «è un progetto che mi frulla in testa da quando è nato mio figlio Emanuele, che oggi ha quasi undici anni. Venne a trovarci in ospedale un anziano sacerdote, padre Bruno, molto vicino a me e mia moglie, si complimentò con noi e, guardandoci, disse: “Bene, avete fatto un corpo ora dovete fare l’anima”. Questa frase mi è rimasta dentro per molto tempo, si è sedimentata, riaffiorando di tanto in tanto. Fino a che non mi sono deciso ad affrontare la questione».
Un compito certo non facile. «Infatti. Ho usato il linguaggio dell’umorismo e dell’ironia per farmi un sacco di domande. Come nasce l’anima? Spunta con i dentini di latte? O dopo? Esiste per davvero o è una nostra invenzione? E ancora: è una parola da mandare in pensione o i tempi complicati che stiamo attraversando l’ha rendono più che mai urgente, ineludibile? Fermo restando che ognuno può poi declinarla dandole il significato che meglio crede: impegno, senso morale, militanza civile...».
Per documentarsi, racconta, «il primo passo è stato Wikipedia. Utilissima, ma per approfondire bisogna leggere e per leggere tutto quello che c’è sull’anima una vita non basta. Così ho tirato fuori dagli scaffali un testo che avevo già in casa, Breve storia dell’anima di monsignor Ravasi. Naturalmente mi è servito da spunto, nello spettacolo non racconto cos’era l’anima per la civiltà dei Sumeri, mi sono affidato alla fantasia e all’ironia».
La comicità può essere un linguaggio per rappresentare temi alti? «Mai come in questo periodo nel nostro Paese sono i comici a divulgare i cosiddetti “temi alti”. Benigni ha affrontato i Dieci Comandamenti e la Costituzione Italiana con ascolti clamorosi; è uscito il libro di Papa Francesco Tempo di misericordia e il Vaticano ha chiamato due comici, Benigni e me, a presentarlo; la sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati per parlare del suo report annuale ha scelto Alessandro Bergonzoni; uno degli spettacoli di maggiore successo di Gioele Dix è La Bibbia ha (quasi) sempre ragione. Solo un caso? O forse in questo momento storico in cui la politica ha perso autorevolezza i comici riescono invece a trovare una chiave per farsi ascoltare?». Risponda lei, Giacomo. «La comicità è un vettore per tanti messaggi. Da poco se ne è andato quello che io reputo uno dei più grandi comici mai apparsi nel nostro Paese: Paolo Villaggio. Il suo ragionier Fantozzi, così diabolicamente divertente, in fondo non era altro che una maschera dolorosa della miseria umana... Il comico non è quasi mai spensierato, quando lo sembra è perché si porta dentro la dimensione del gioco, che da adulti si perde». Dopo il debutto a Varese, ha altri progetti in cantiere? «Macché, dopo sarò tutto concentrato sulla campagna acquisti dell’Inter, sperando che possa dare un senso a questa estate».
Laura Zangarini