Corriere della Sera, 20 luglio 2017
I segreti del Re di Spade
È l’attore icona del mondo fantasy di Game of Thrones, ma Kit Harington, ovvero Jon Snow, diffida dalla virtualità. Non è su Facebook, non usa Instagram, ama «essere sorpreso dalla realtà», invita a non fidarsi di Wikipedia, dove figura imparentato con Carlo II, racconta divertito ai fan presenti al Giffoni Film Festival; dove c’è chi, per assicurarsi un posto agli incontri pubblici, ha letteralmente piantato le tende la notte prima. Ieri il Re del nord è stato accolto con un calore che sfiora il delirio: «Ti amo», «sei stupendo», «sei il nostro Lord Commander» urlano i fan accorsi da tutto il mondo, Croazia, Israele, Turchia e Armenia... Uniti nel culto di GoT.
Harington, nato a Londra nel 1986, racconta il suo rapporto con Jon Snow, figlio illegittimo, giovane Re introverso e carismatico, protagonista della settima stagione, dopo essere tornato dal regno dei morti che ora minacciano i Sette regni, divisi tra i pretendenti al Trono di Spade (in Italia va in onda su Sky Atlantic Hd ogni lunedì): «Dopo aver girato la morte di Jon Snow, era tutto strano: non mi arrivavano mail dalla produzione. Una, due settimane... Poi i produttori hanno condiviso il segreto con me: tornavo in vita!». Di Snow ama la «rigidità morale, non scende a compromessi, che a volte è frustrante, perché gli manca senso dell’umorismo: potrei dargliene un po’ io». La vita è piena di ironia: «Da piccolo volevo fare il giornalista, ammiravo un anchorman televisivo che si chiama... Jon Snow. Omonimo del personaggio dei romanzi di George Martin: poi mi sono fatto intervistare da lui. Jon Snow intervista Jon Snow!».
I suoi modelli come attore? «Mi piace il Leonardo DiCaprio di Romeo + Julietta, Edward Norton della 25a ora; ma soprattutto Ben Whishaw, che ora fa Q in James Bond, e mi ha folgorato con il suo Amleto a teatro: lì ho capito che volevo fare l’attore». Con chi sogna di lavorare al cinema? David Lynch, «ho amato Mulholland Drive». Intanto, è protagonista di The Death and The Life of John F.Donovan di Xavier Dolan: «Un personaggio a me vicino da un lato, perché è una star televisiva, e pure lontano però, perché omosessuale».
Ma non chiedetegli come sia interpretare da etero un gay, si spazientisce. Non ama parlare del privato (sa solo che non chiamerà mai il figlio Jon...), dei progetti futuri o di politica (considera la Brexit un errore terribile, dubita che Trump, nonostante la passione per i muri, sia un fan della serie). Soppesa le parole, i silenzi, assomiglia a Jon Snow, in un doppio legame, visto che è ancora fidanzato con Leslie Rose, conosciuta sul set nei panni di Ygritte, una bruta, che gli diceva spesso, amorosa: «Tu non sai nulla» («You Know Nothing Jon Snow»): «Non so cosa voglia dire quella frase, credo che Jon stesso non lo sappia. È questo il punto. Ecco perché è curioso porre questa domanda al pubblico».
Sugli eccessi della violenza, che assieme al sesso è il sale della serie, Harington risponde che «nell’arte, e vale anche per il Doctor Faustus che ho fatto a teatro, devi saperti spingere oltre i limiti, correre rischi per esprimerti». Trova più nocivo il culto mediatico della magrezza, che spinge le ragazze fino all’anoressia.
Harington non sa come andrà a finire la serie, ma azzarda una previsione: «Credo che Jon Snow sia arrivato al massimo delle sue possibilità, sul trono spero che sieda Tyrion», ovvero il vizioso e intelligente nano di casa Lannister. Perché? «È quello che ha sofferto di più». C’è forse giustizia, nel mondo fantasy ispirato ai romanzi di George Martin; ce ne è poca in quello reale: «Game of Thrones parte in tv quando c’era la crisi finanziaria e si sviluppa con il mondo reale in pieno caos. Rispetto a Il Signore degli Anelli è più brutale e più veritiero, ma resta una possibilità di evasione».
Nove anni fa, il provino che gli cambiò la vita: «Non capivo bene la parte, l’ho letta riletta, niente: ma vivevo con 500 sterline a settimana a Londra, che è cara, non potevo rifiutare un lavoro». Il successo? «Volevo fare l’attore, non la celebrità».