La Stampa, 20 luglio 2017
Nicolas Cage: «Fare l’attore mi aiuta a stabilire l’andatura della mia vita»
Nicolas Cage è sinceramente desolato. Diversi contrattempi gli hanno impedito di rispettare l’orario fissato per l’intervista e adesso non smette di scusarsi, con una gentilezza accorata che altre superstar del suo calibro difficilmente mostrerebbero. Il lavoro, spiega poco dopo, è la bussola della sua vita, e lui, con quell’espressione vagamente malinconica, gli occhi liquidi, i sorrisi ampi, ha deciso di seguirne sempre le indicazioni, di film in film, passando attraverso le esperienze più differenti, perché sa, nel profondo, che quello è il suo unico modo per essere felice.
Sugli schermi italiani, in questi giorni è presente con due film, Cane mangia cane di Paul Schrader e Uss Indianapolis di Mario Van Peebles dove interpreta il capitano Charles McVay nella ricostruzione di una delle pagine più tragiche della storia militare americana.
Durante la Seconda guerra mondiale, nel luglio del ‘45, l’equipaggio dell’incrociatore Usa che dà il titolo al film trasporta in gran segreto una delle due bombe atomiche destinate a essere sganciate in Giappone. Durante la traversata un sommergibile nipponico affonda la Uss Indianapolis, i superstiti non possono chiedere aiuto perché la loro missione è coperta dal più totale riserbo. Dopo 5 giorni alla deriva, tra le onde del Mar delle Filippine infestato di squali, solo 317 marinai (sulla nave, in partenza, c’erano 1197 persone) trovarono la salvezza e, qualche mese dopo il disastro, il capitano McVay fu giudicato dalla Corte Marziale.
Che cosa l’ha interessata di questo personaggio?
«È un uomo in conflitto con se stesso, che si ritrova caricato da immense responsabilità. Sulla sua nave viaggiano le bombe di Hiroshima, ma lui con l’idea dell’atomica non è certo d’accordo, in più, quando l’incrociatore viene colpito, non può dare l’allarme, è costretto a restare in acqua senza chiedere aiuto, vedendo morire i suoi uomini di fame e di sete».
E alla fine sarà anche processato.
«Sì, per tacitare l’opinione pubblica che chiedeva conto del disastro, fu accusato di non aver fatto bene il suo mestiere. E invece lui si era comportato esattamente come gli era stato richiesto, nonostante i tormenti interiori. L’ho trovato, per questo, un personaggio molto realistico».
Di solito come sceglie i suoi ruoli?
«Leggo tutto quello che mi viene proposto e seguo l’insegnamento del mio maestro di recitazione che mi diceva sempre “trova sceneggiature oneste, e fai quelle”. Ovviamente cerco il meglio, però non mi piace stare fermo e aspettare».
Perché?
«Quando non lavoro tendo a lasciarmi andare, e invece il mio mestiere mi aiuta a stabilire il ritmo, l’andatura della vita».
Che cosa significa per lei recitare?
«Per me questo mestiere è tutto. Quando interpreto un personaggio cerco di dare senso al suo percorso, ma anche al mio, portando nel racconto tutto quello che viene dai ricordi e dalle esperienze personali».
Preferisce le commedie o i film drammatici?
«Mi piacciono tutti e due i generi, provo sempre a fare cose diverse, stando attento a non annoiare la gente».
È in parte italiano, che rapporto ha con il nostro Paese e con il nostro cinema?
«Certo, ho un padre italiano e amo moltissimo l’Italia. Conosco bene il vostro cinema, il mio sogno sarebbe stato poter recitare diretto da Fellini e da Antonioni».
Qual è il film italiano che preferisce?
«Giulietta degli spiriti, l’ho visto e rivisto decine di volte e ogni volta mi commuovo. Sono cresciuto con quelle immagini stupende, piene di fascino».
Nel film di Schrader «Cane mangia cane» è Troy, un criminale che ricorda Humphrey Bogart. Come è andata?
«Ero molto attratto dal libro di Edward Bunker su cui si basa il film, ma per portarlo sul grande schermo era necessario cambiare tante cose e questo mi ha offerto la possibilità di lavorare sul mio personaggio, di dare a Troy sfumature inedite, che nel romanzo non c’erano. E credo che questo fosse anche quello che voleva Paul Schrader, un autore perennemente alla ricerca di novità».