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 2017  luglio 20 Giovedì calendario

Armando Testa, la sua penna trasformò la réclame in arte

C’è un mondo dove vivono uomini a forma di palla, ippopotami azzurri passeggiano per i prati e, nella Pampa sconfinata, un caballero misterioso cerca la sua donna. È un mondo che tutti noi, specie i più anziani, abbiamo abitato. L’ha creato Armando Testa, artista e pubblicitario geniale, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. Il Mart, Museo di arte contemporanea di Rovereto, celebra la ricorrenza con una mostra che, da dopodomani fino al 15 ottobre, racconta l’avventura creativa di un uomo che, con le sue invenzioni stralunate, ha plasmato l’immaginario degli italiani.
Le pubblicità di Testa hanno scandito gli anni del boom economico, sono state la colonna sonora, e visiva, della trasformazione dell’Italia da paese rurale a potenza industriale. La stessa industria della pubblicità muoveva i primi passi («Quando negli Anni Sessanta mi parlavano di marketing – scherzava – pensavo fosse un ballo tradizionale delle Marche»). E Testa mette al servizio dei tempi moderni il suo spirito ludico e trasognato. La mostra ne offre ampia testimonianza. C’è l’omino Facis che, con il suo abito preconfezionato sotto il braccio, corre incontro alla vita moderna. Ma c’è anche il logo inconfondibile del Punt e Mes: una sfera intera e una mezza sfera rosse. Un capolavoro di essenzialità astratta, tutto monocromo, senza fronzoli e senza sbavature.
Uno stile che Testa diceva di avere imparato quando, da ragazzo, lavorava in tipografia: «I miei maestri operai e tipografi mi dicevano sempre: “Se in una pagina ci sono due colori, uno è di troppo”». E poi in mostra occhieggiano tutti i protagonisti dei suoi caroselli, anche questi inventati spesso a partire da forme geometriche rigorose e purissime. Carmencita e il Caballero non sono null’altro che due coni con cappelli e parrucche, gli omini del pianeta Papalla sono semplici sfere. Poco più in là, l’ippopotamo Pippo affronta la carica di 23 pneumatici Pirelli trasfigurati in elefanti dal tratto visionario di Testa. Il cono del gelato Sammontana, in un angolo, tira fuori la lingua per leccarsi da solo.
Testa era nato a Torino nel 1917, quando ancora rombavano i cannoni della prima guerra mondiale. Il padre era un carabiniere di origine veneta. La madre, piemontese, gestiva un negozio di pasta. Quando il negozio fallì, andò a fare la portinaia in una fabbrica e Armando, ragazzino, racimolava qualche mancia facendo commissioni per le operaie. Ma a vent’anni, nel 1937, piazza a un’industria di colori il suo primo bozzetto pubblicitario, anch’esso in mostra. E già si vedeva quella purezza di tratto che l’avrebbe contraddistinto per tutta la vita. 
«Sono nato povero ma moderno», scherzava. Nelle sue invenzioni entrava di tutto. Le suggestioni dell’astrattismo, per esempio: lui stesso ricordava quando, un giorno, gli era apparso in sogno il pittore Mondrian, che gli aveva intimato di non esagerare con la pubblicità. La mostra documenta il suo continuo andirivieni tra la pubblicità e l’arte pura, con dipinti e serigrafie che spesso girano ossessivamente intorno agli stessi temi (le dita, per esempio). Testa travasa nella pubblicità la sua esperienza di artista (e viceversa). «Si può fare la pubblicità senza sapere nulla di arte», diceva. «Però essere pittore mi ha dato il coraggio di andare contro le mode». Ma nei suoi spot per Carosello entrano anche gli echi del cinema, con un pizzico di Nouvelle vague e un retrogusto di commedia all’italiana.
Testa, insomma, era come un’antenna. Captava tutto quello che si muoveva intorno a lui, nell’arte e nella società. Ma era anche un creatore originale, un artefice di mondi fantastici. «Inventore di paradisi», l’ha definito Gillo Dorfles. Non aveva solo la capacità di intercettare lo spirito del tempo: riusciva anche creare un incanto che stava fuori dal tempo. Sarà vero, come scrive Gianfranco Maraniello (curatore della mostra insieme con la vedova di Testa, Gemma De Angelis) in un saggio del catalogo edito da Electa, che dietro l’ippopotamo Pippo si staglia l’ombra del Dadaismo. Ma nelle invenzioni di Testa c’è qualcosa che va ancora più indietro, che rimanda a stupori arcani, a suggestioni primigenie. In fondo, il primo a immaginarsi uomini-palla che si muovono rotolando è stato Platone nel Simposio. 
Un piano sotto a quello in cui si svolge la mostra di Testa, il Mart esibisce alcune opere di Fortunato Depero, maestro del futurismo ma anche lui pubblicitario geniale. C’è la pagina autografa di un manifesto futurista del 1931 che inizia così: «L’arte dell’avvenire sarà potentemente pubblicitaria».