
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Gli arabi di Dubai stanno facendo passare un brutto quarto d’ora al mondo: all’inizio della settimana la Dubai World, una holding posseduta dallo Stato, ha chiesto di congelare un debito di 59 miliardi di dollari.
• Che diavolo è una holding?
E’ una società il cui lavoro è possedere pezzi di società. Con soldi presi in prestito e rigirati a qualcuna delle società posseduta. Questa Dubai World ha passato gli ultimi anni a farsi prestare soldi da tutti e a rigirarli a sue società che dovevano costruire grattacieli, isole artificiali, piste da sci, case da gioco, una Disneyland del deserto. L’ipotesi era che i grattacieli (alti più di 800 metri) costruiti con i soldi presi a prestito sarebbero stati comprati da tutti i ricchi del mondo e specialmente dalle star, per esempio Beckham o Rod Stewart. Con quei soldi, i debiti sarebbero stati ripagati. Per un po’ è successo e questo ha permesso a Dubai World di diventare qualcosa di gigantesco: 50 mila dipendenti sparsi in 100 città del pianeta, proprietà del valore di 100 miliardi di dollari distribuite soprattutto tra America, Inghilterra e Sudafrica. La gente comprava, i soldi giravano. Ma a un certo punto la gente ha smesso di comprare e all’inizio della settimana la Dubai World ha chiesto a quelli che le avevano prestato soldi di aspettare fino a maggio. Fino a maggio, hanno annunciato, non siamo in grado di pagare gli interessi su un debito di 59 miliardi di dollari, una quarantina di miliardi di euro. Una delle società controllate da Dubai World, inoltre, la Nakheel, un’immobiliare, ha un bond in scadenza il 14 dicembre per 3,52 miliardi. Significa questo: Nakheel tanti anni fa s’è fatta prestare questi 3,52 miliardi, ha pagato fino a oggi gli interessi e il 14 dicembre dovrebbe restituire il capitale e chiudere la partita. I soldi ci saranno? Sono guai, perché quelli di Abu Dhabi, che dovevano soccorrere Dubai con dieci miliardi, gliene hanno dati solo cinque e...
• Aspetti, aspetti. Abu Dhabi?
Siamo nella penisola arabica. In basso a destra, c’è una piccola area colorata che si chiama Emirati Arabi Uniti . Sono 7 emirati, alleati tra loro. Il più potente è quello di Abu Dhabi, che è anche la capitale della confederazione. Abu Dhabi controlla il 9% di tutto il petrolio del pianeta. Abu Dhabi è anche la città più ricca del mondo. Dubai, a un’ora e mezza di auto, ha invece poco petrolio, e il suo sceicco, il famoso Mohammed bin Rashid al-Maktoum, un patrimonio personale di 14 miliardi di dollari, pensò di sviluppare il suo territorio con l’edilizia. Cioè: debiti ed edilizia. I risultati si cominciano a vedere adesso.
• Gli italiani?
Hanno un bel giro d’affari con l’emiro, 13 miliardi di investimenti ed esportazioni superiori a quelle che facciamo in Brasile o Giappone. Il pericolo principale al momento sono le banche, cioè quelle che hanno prestato e che rischiano di non vedersi restituire i soldi. Tutta Dubai è esposta per 80 miliardi di dollari. Gli europei rischiano per 40. Intesa è l’unica banca italiana ad aver aperto una filiale laggiù. Dovrebbe essere esposta per qualche decina di milioni. Idem Unicredit. Ieri il direttore generale della Banca d’Italia, Saccomanni, ha detto parole rassicuranti. Naturalmente, la preoccupazione è che il rischio sia sistemico.
• Vale a dire?
Tra le cadute più significative dell’altro giorno (ieri, almeno in Europa, è andata meglio) c’è quella della Borsa di Atene, che ha perso più del 6%. Un default a Dubai può far saltare per aria qualcun altro che può a sua volta trascinare nel baratro altri ancora, Stati o istituzioni finanziarie. La preoccupazione riguarda adesso la Grecia, si guardano con ansia anche Irlanda, Russia, Ungheria, Turchia. Se ci pensa è ovvio: ti devo restituire una somma importante, non te la restituisco e ti faccio precipitare con me sul lastrico.
• Può succedere?
La crisi globale non è affatto finita, perché i virus che l’hanno provocata – cioè i debiti e la fabbricazione di un’immane quantità di carta – stanno ancora lì. Gli Stati hanno sperato di risolvere il problema moltiplicando ancora la carta, cioè il denaro disponibile. Il caso di Dubai potrebbe significare che quel progetto è fallito. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 28/11/2009]
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