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 2009  novembre 28 Sabato calendario

LA LEGA NORD E’ IL PARTITO DEL SUD


«L’altro giorno, un altissimo esponente del Pdl mi ha raccontato un aneddoto. Quando Umberto Bossi viveva di espedienti faceva, tra le altre cose, anche il fotografo dilettante. Al matrimonio della sorella Angela, lui le disse: ”Guarda, lascia perdere di assumere un fotografo. Ti faccio io le foto e mi dai metà dei soldi”. Fatto sta che la sorella di Bossi è l’unica sposa d’Italia a non possedere una foto del proprio matrimonio». Altro che il Nord al potere.

Per Aldo Cazzullo la Lega di Alberto da Giussano è «un partito de noantri». Tipico esempio di un Paese, che l’inviato del Corriere della Sera ha immortalato nel suo libro «L’Italia de Noantri – Come siamo diventati tutti meridionali» (Mondadori), unificato dall’egemonia di Roma e del Sud. Che non risparmia nessuno, tantomeno il partito verde che inveisce ogni giorno contro ”Roma ladrona”.

« Per carità, io rispetto Bossi. un uomo pieno di carisma, sembra un generale ferito ma vittorioso e ha la tempra del fondatore. Ma è chiaro che a Pontida non contano lo statuto o il merito, come sarebbe in un partito di ispirazione anglosassone, quanto piuttosto l’amicizia e la fedeltà al capo, cioè, a ben vedere, il più mediterraneo dei criteri».

Non a caso il Carroccio si sviluppa attorno a un nucleo di amici varesotti. «In Emilia, dove alle prossime elezioni regionali farà il botto, la Lega nasce attorno al gruppo di amici di Bobo Maroni che suonavano con lui al Festival del soul di Porretta Terme. E poi cosa c’è di più mediterraneo di Bossi che festeggia per tre volte una laurea che non ha mai preso?»

Prosegue Cazzullo: «A Castel Volturno, ultimo campo di battaglia dei Borboni, oggi la Lega Nord è il secondo partito. Perché è la risposta sbagliata a una domanda reale, e io sono convinto che il futuro appartenga alle leghe locali. Da quella del Salento a quella delle Madonie. Proprio perché l’Italia è il Paese de noantri, dove l’interesse privato prevale sul pubblico, il localismo non è definito dalla regione ma dal campanile e alle elezioni gli italiani premiano i partiti che rappresentano gli interessi del territorio. il Paese della camarilla, del clan, della famiglia e della fazione. Una frammentazione evidente soprattutto in Toscana, composta da città che si detestano l’una con l’altra: Pisa odia Livorno, Massa odia Carrara e tutte quante insieme odiano Firenze».

Italiani cafoni, ignoranti, fannulloni, che diffidano dei giornali e credono solo alla televisione. Che ha omologato gusti e linguaggi, trasformando in personaggi di culto Fabrizio Corona, Lele Mora e Lucio Presta. Italiani che «la televisione la prendiamo tanto sul serio da aver consegnato il Paese al padrone delle tv. Quel Silvio Berlusconi che è stato un eccezionale veicolo di unificazione nazionale, come a suo tempo la Dc e Benito Mussolini (con la differenza che il consenso di Berlusconi è distribuito in maniera più uniforme della Dc, e a differenza di Mussolini il Cavaliere non ha mai preteso di trasformare gli italiani). Quando Berlusconi è sceso in campo, lui nato all’Isola, un quartiere popolare di Milano, e imprenditore di successo, sembrava che sarebbe stato davvero il Nord al potere. Invece si è meridionalizzato. Si è innamorato di Napoli e, a Napoli, ci ha portato addirittura il consiglio dei Ministri. Ha risolto l’emergenza rifiuti ma poi si è infilato negli scandali di Casoria e Bari. Ha ripianato il bilancio di Catania e sogna il ponte sullo Stretto, intanto la Pedemontana non si fa e Fiumicino ha mandato Malpensa nell’oblio. Nessuna meraviglia, quindi, che il Pdl abbia più voti in Campania che in Lombardia, più in Sicilia che nel Veneto».

E se, nell’autunno della Seconda Repubblica, il Pdl appare bloccato, con Berlusconi stretto fra lo spettro dei processi e la guerra che gli fa Gianfranco Fini, mentre le regionali incombono e lui non ha deciso nulla, Cazzullo rimane convinto che Berlusconi migliorerà il risultato del 2005, che vide la sinistra vincere tutto. «La débâcle di quattro anni fa fu un evento irripetibile, sia perché le regionali si svolsero nel momento più basso del governo Berlusconi, e questo non lo è, sia per l’astensionismo dell’elettorato cattolico seguito alla morte del Papa, in particolare nel Lazio, che è stato decisivo».

Ma se il Pdl è fermo, il Partito democratico, senza voti e soprattutto senza compattezza, è in piena crisi. Dalla spaccatura sul No-B Day del 5 dicembre, cui Pierluigi Bersani aveva negato l’adesione ma a cui parteciperanno il vicepresidente Ivan Scalfarotto e molti altri, ai ”gran rifiuti” di Massimo Cacciari e Sergio Chiamparino.

Una sinistra, insomma, che trent’anni fa era gestita come una caserma (ben altra da quella che lamenta Fini), ma dove, oggi, ognuno fa quello che vuole. Una crisi evidente soprattutto in Piemonte, dove «il Pd ha un problema di leadership e di amalgama». Dal traforo del Fréjus, su cui al partito è sfuggito il controllo della base, allo scontro sulla discarica torinese di Basse di Stura, fino alle regionali, dove gli è sfuggito il controllo di Mercedes Bresso, autoricandidatasi a governatore e con Bersani costretto ad inseguirla.

Per Cazzullo, «ostentando il proprio forte sentimento anticattolico, la Bresso ha mancato di sensibilità. Niente da dire se vai a braccetto con un ateo come Piergiorgio Odifreddi, ma in una regione cattocomunista come il Piemonte è chiaro che trovi difficoltà a farti rieleggere. Il che non vuol dire che non abbia chance, perché Roberto Cota non è un candidato forte. Tra l’altro è di Novara che, nel resto del Piemonte, considerano snob. Poi, a Torino, i meridionali non sono integrati come quelli di Milano: hanno mantenuto la loro identità, e non so quanto siano pronti a votare un leghista con gli occhi azzurri».

Il giornalista ripone quindi le sue speranze in Pier Ferdinando Casini. Che alle politiche del 2008 si era salvato grazie all’appoggio del cardinal Ruini e ai voti della Margherita, e oggi si dice pronto a creare un nuovo partito con Francesco Rutelli. «Capisco che per il momento Casini non voglia fare accordi né con Berlusconi né con Bersani. Col Cavaliere non può più tornare perché ormai ha cambiato elettorato: contraddirebbe tutto ciò che ha fatto finora e gli elettori non lo seguirebbero. D’altronde è evidente che il Paese, in questo momento, non si governa da sinistra. La sinistra, casomai, può concorrere a un governo riformatore che avrà inevitabilmente il suo equilibrio al centro e il suo candidato premier in una persona estranea alla politica attuale».

Cazzullo un nome ce l’ha già, non vuole farlo perché lo brucerebbe. Però una cosa ce la dice: «Non si tratta di Luca Cordero di Montezemolo».