Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La domanda a questo punto è: ma se i terroristi volessero colpirci, dove andrebbero a farsi saltare in aria? L’Fbi, in un’informativa dell’altro giorno, ci ha comunicato una non-notizia, e cioè che i bersagli del califfo sarebbero piazza San Pietro, il Duomo di Milano e la Scala. È ancora poco, ci sembra, dato che hanno fama mondiale, e susciterebbero quindi un interesse planetario, anche azioni contro la chiesa di San Marco a Venezia o Palazzo Pitti a Firenze oppure, sempre a Roma, contro il Colosseo. Di questo solo, infatti, non siamo scarsi: di bersagli.
• I problemi, secondo me, sono due: siamo in grado di difenderci? E poteva il Papa evitare di metterci a questo pericolo con un’iniziativa unilaterale e, a parer mio, discutibile?
Ieri, per l’Angelus, sono state messe in atto in piazza San Pietro misure di sicurezza impressonanti: chiusi gli ingressi al largo del Colonnato e alla fine di via della Conciliazione. Doppio controllo per chi voleva entrare: prima le borse e gli zaini, poi il metal detector. Si sono formate file molto lunghe. Turisti e romani non sembrano troppo spaventati, però: è stato calcolato che l’iniziativa Musei in Musica (concerti, mostre, performance, tutto a un euro) ha mosso 25 mila persone, tra romani e turisti. La famosa flemma romana sembra avere la meglio sul panico descritto dai giornali e dalle tv, anche se i falsi allarmi, a Roma e a Milano continuano: si segnalano «sms strani», «borse abbandonate», «zaini sospetti» e, ma siamo alle barzellette, «arabi con la barba».
• Se lo vuole sapere, a me hanno spiegato che non corriamo nessun pericolo perché ci protegge la criminalità organizzata, che aspetta con ansia il disarmo generale, e che mentre vende le armi al califfo sui mercati dei Balcani gli ha anche fatto sapere che l’Italia va lasciata in pace.
Il califfo, nei suoi messaggi, ha fatto sapere che Roma sarà colpita dopo Washington. Ci dobbiamo credere? Il ministro Alfano, l’altro giorno alla Camera, ha detto che il vero pericolo non sono quelli che si fanno saltare in aria in mezzo alla folla, ma i droni in mano ai libici, che sono in grado di volare per 20-40 ore e che, ha spiegato il prefetto Gabrielli, se non si prendono quando decollano sono poi difficilissimi da intercettare, perché volano troppo bassi. I libici ne avrebbero due. Gabrielli ha fatto sapere che il cielo di Roma, durante il Giubileo, sarà una no-fly zone, cioè gli aerei o gli elicotteri non potranno attraversarlo. Senonché lui stesso ha ricordato che appena un paio di mesi fa i Casamonica hanno fatto una cosa proibitissima, cioè hanno affittato un elicottero e lo hanno fatto volare sul centro abitato, cosa tassativamente proibita. Se i giornali non avessero parlato del funerale-show, di quell’incursione non si sarebbe accorto nessuno. Se ci sono riusciti i Casamonica, figuriamoci il califfo.
• Veniamo allora al Giubileo: sta in piedi il fatto che una bella mattina l’adorato Francesco annuncia che in nome della misericordia sono convocati a Roma dieci, venti o trenta milioni di pellegrini?
È la domanda che si fanno tutti, con grande sdegno dei cattolici, secondo i quali revocare l’Anno Santo vorrebbe dire darla vinta ai cattivi. E questo è vero. Ma come mai il Papa non ha sentito il bisogno di mandare qualche suo ambasciatore a Palazzo Chigi o in Campidoglio per raccogliere almeno un parere? E pretende poi che tutto sia a puntino all’ora stabilita? Le risposte sono due. Prima risposta: il Giubileo è in genere manna dal cielo per le nostre finanze, verranno a spendere 8 miliardi di euro, faremo con la Chiesa almeno a metà, quando mai ci sono stati dubbi sui Giubilei straordinari? Seconda risposta: le ruberie hanno messo a terra le finanze della Santa Sede, che, come si capisce dalla lettura del libro di Nuzzi, sono sull’orlo della bancarotta. Non si contano i centri di spesa, le assunzioni con la pala, i favori a questo e a quello, i bilanci truccati a beneficio proprio dai prelati che erano stati messi a capo di qualche santa struttura. Il Papa, cioè, aveva un bisogno dannato di soldi, e, a parte i motivi religiosi, non poteva fare a meno, dato lo stato delle finanze, di far qualcosa.
• Roma intanto è impreparata. Ci sono 32 cantieri aperti e nessuno sarà chiuso entro l’8 dicembre, data d’inizio delle celebrazioni.
Beh, nello slargo che dal Tevere conduce a San Pietro l’8 dicembre ci saranno marciapiedi nuovi, fioriere e graziosi divisori. E però nient’altro. Il Comune promette di chiudere 11 cantieri entro il 20 gennaio, e di aver sistemato tutto tra la fine di gennaio e la metà di marzo. Si vorrebbero riqualificare certe vie del centro, ma la Soprintendenza tarda ad autorizzare. Non sono senza soldi solo i preti, siamo senza soldi anche noi. Il governo avrebbe stanziato 150 milioni, ma probabilmente arriveranno a Giubileo concluso. Gli albergatori sono pessimisti anche sul risvolto economico: «Fino a qualche giorno fa avrei messo la firma su 700mila arrivi in più, dopo quanto accaduto a Parigi speriamo di tenere il dato del 2015, per ora stiamo registrando molte cancellazioni» dice il presidente di Federalberghi Giuseppe Roscioli
• Ci sono almeno i soldi per fare il pieno nelle macchine di polizia e carabinieri?
Il problema più grave sembra quello dei giubbotti antiproiettile che dopo dieci anni sono logori e servono a poco o a niente. E i nostri li hanno cambiati per l’ultima volta, appunto, dieci anni fa.
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