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 2015  novembre 23 Lunedì calendario

Umberto Pizzi, il fotografo che ha raccontato il mondo dei vip, spara a zero su quest’Italia: «Quelli della prima avevano più stile oggi invece c’è solo gentaglia. Moralisti in pubblico e puttanieri in privato. Anzi, nei privé...»

La notizia, come spesso accade nelle interviste, arriva, quasi per caso, all’ultima risposta. Domandiamo a Umberto Pizzi, fotografo inventore del genere Cafonal: «Un aggettivo per descrivere il tuo amico Roberto D’Agostino?».
 E lui: «Innovativo. Come è stato, per molto tempo, il sito Dagospia. Ma con Roberto da tre anni non ho più rapporti. Anzi, l’ho denunciato per una questione di diritti d’autore. C’è un processo in corso. Una situazione che mi fa stare male. Sono amareggiato».
 Il loro giornalismo è diventato fonte «autorevole» di informazione. C’è da esserne lieto o da deprimersi? «È il Cafonal, bellezza. E tu non puoi fermarlo!», direbbe oggi Bogart davanti alla rotativa dell’Italia «godona».
 Pizzi è riuscito a ricamarsi un ruolo da protagonista. Primo, perché con la macchina fotografica ci sa fare; secondo, perché ha letto anche qualche buon libro: cosa che non guasta mai, anche se poi ti trovi costretto a giocare nella Cialtron’s League dell’ignoranza. Uomo di bella presenza (ha 78 anni, ma ne dimostra 10 di meno) è innamorato del suo lavoro. Fin da quando, giovanissimo, girava il mondo per fare foto social (altro che Cafonal) per conto della Fao. Clic in bianco e nero, meravigliosi. L’entusiasmo non gli è mai passato e ancora oggi ogni giorno parte in scooter a caccia di scoop. Il suo paese natale, Zagarolo, è fiero di lui. Anche per un fatto di gratitudine. Zagarolo infatti (36 km da Roma) era citato saltuariamente solo per il film con Franco e Ciccio «Ultimo tango a Zagarolo».
 Grazie al successo di Pizzi, invece, Zagarolo ha beneficiato di fama internazionale. Sui meriti di «Arsenico» Pizzi, e dei suoi vecchi merletti Kodak, i giudizi si dividono. Per Giampiero Mughini le foto di Pizzi «le faceva Longanesi già 20 anni fa»; per Filippo Facci invece «l’epoca d’oro del Cafonal passa solo attraverso l’obbiettivo di Pizzi».
 Scusi Pizzi, ma cos’è esattamente una foto Cafonal?
«Una foto mostruosa che incarna mutamenti antropologici e degrado morale. Un disfacimento etico di cui Roma è il palcoscenico perfetto».
Capitale corrotta, nazione infetta.«Siamo immersi nella Grande Bruttezza».
Per capire di che pasta (ma anche carne, contorno e dessert) sono fatti certi italiani, basta srotolare i rullini Cafonal. Le didascalie non servono. Le foto parlano da sole. «E ciò che dicono non è bello: descrivono una società magnona, porcona, godona, pappona. E, ovviamente, ladrona».
 Ma tu non ti senti mai parte integrante di questo bestiario?
«No, io a questo bestiario sono estraneo. La gente che fotografo mi fa schifo. Di più: mi fa pietà».
Però le dà da vivere.
«No caro, io vivo benissimo anche senza di loro».
Non si è mai sentito uno strumento nelle mani del popolo del magna magna?
«No, mai. Perché quando io vado via dalle feste Cafonal, torno a fare il contadino. Io non ho bisogno di lor signori. Sono lor signori che hanno bisogno di me».
In che senso?
«Nel senso che questa è gente che per uno scatto sarebbe disposta a tutto. Anche alle peggiori cose».
E di cose «peggiori» ne ha viste tante...«Sì, per questo non mi sono mai fidato. Non sono mai diventato pappa e ciccia con nessuno».
E dire che di «pappa e ciccia» ai buffet ce n’è sempre tanta...
«Il modo come mangi rivela chi sei veramente. Ho visto gente ingozzarsi come se fosse dinanzi al suo ultimo pasto. Li fotografo mentre spalancano le fauci perché quelle immagini sono la più spietata metafora del degrado sociale».
Lei è spietato con tutti o in qualche caso è sceso a compromessi?
«A volte ho rinunciato a pubblicare foto per non rovinare delle persone. Ma occhio, non l’ho mai fatto per soldi».
Se quindi le dicono che Fabrizio Corona è un suo collega, si offende?
«Altro che offendermi, querelo».
Mai venduto una foto a un privato?
«Mai. Una volta beccai un famoso petroliere milanese, di cui non ti sarà difficile capire il nome, in un atteggiamento compromettente».
E cosa successe?
«Lui capì di essere stato scoperto. Uscì dal locale e mi offrì un rotolo di banconote: Prendile e dammi il rullino, mi disse».
E lei?
«Gli detti il rullino. Ma gli risposi: non si permetta mai più di offrirmi denaro».
Ha conosciuto bene i potenti della prima e della seconda Repubblica. Differenze?
«Quelli della prima avevano più stile».
Faccia qualche esempio.
«Uno come l’avvocato Agnelli, anche se veniva colto col sorcio in bocca, manteneva sempre un certo aplomb...».
Gli altri invece...
«Gentaglia. Moralisti in pubblico e puttanieri in privato. Anzi, nei privé...».
Le hanno impedito di fare fotografie nella tribuna vip dello stadio Olimpico.
«Il trionfo dell’ipocrisia. Ho visto politici fingere di scannarsi in Parlamento e poi essere culo e camicia sulle poltroncine dell’Olimpico».
La tribuna Vip come status symbol.
«Come simbolo del potere. E se dalla tribuna d’onore ti sfrattano nella tribuna laterale, vuol dire che ormai stai cadendo in disgrazia».
Lei è stato testimone di qualche personaggio «degradato» sul campo?
«Un giorno il povero Cossutta passò improvvisamente dalla tribuna Vip a quella laterale. Ormai infatti non contava più nulla neppure nel Partito comunista...».
«Galleggiatori» di professione?
«Gigi Marzullo è un modello di riferimento. La sua diplomazia ha fatto scuola nella difficile arte del bacio della pantofola».
Chi era il più ossequiato all’Olimpico?
«Ricordo Cesare Geronzi, veniva con tutta la famiglia. E andare a inchinarsi davanti alla sua poltroncina era un rito imperdibile».
 Giudizio su Renzi?
«Uno furbo. Che sa vendersi. E sa farsi fotografare...».
Cioè?
«Renzi si muove solo con il suo fotografo di fiducia. E le foto che vengono pubblicate (gratis) sui giornali sono solo quelle che lui decide di farsi scattare. Alla faccia della libertà di informazione».
Una parola sull’ex sindaco Marino.
«Niente di eccezionale come sindaco. Più onesto di tanti altri. Ma il suo partito l’ha fatto fuori in maniera indegna. Un complotto contro di lui ordito proprio da chi doveva sostenerlo».
Ma a Roma, almeno i leghisti, sono stati duri e puri?
«Ma scherzi? Sono stati tra i peggiori».
I peggiori?
«Ti racconto un episodio. Eravamo al night. Un anziano notabile della Lega festeggiava. Con lui la sua amichetta. I compagni di partito la stendono sul tavolo seminuda e la inondano di champagne. Io scatto le foto, ma a un certo punto la macchina si inceppa. Dico: fermatevi un attimo».
Loro hanno proseguito, ovviamente.
«Macché, si sono bloccati. Hanno atteso che io cambiassi macchina fotografica. E poi, quando gli ho dato il via, hanno ripreso a inondare la ragazza di champagne».
Di queste scene se ne vedono ancora?
«Ora c’è meno ostentazione. I politici della generazione Facebook le loro porcate le fanno al riparo dagli sguardi indiscreti».
 Un guaio per chi fa il suo lavoro.
«Un tempo andavo ai congressi dei partiti e li massacravo. Facevo liberamente ogni tipo di fotografie. Arrivavo fin sotto il palco dove parlava D’Alema e immortalavo le sue scarpe griffate».
E ora?
«Ora ai congressi non mi fanno più entrare».
 Però nei party con le signore rifatte si diverte ancora.
«Ho visto donne bellissime completamente rovinate dalla chirurgia plastica. Un autentico scempio. Riflesso speculare di una Roma indecente».
Cosa si augura per la Capitale?
«Il ritorno di Nerone».
Per far cosa?
«Bruciare la città».