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 2015  novembre 23 Lunedì calendario

Tutte le armi dello Stato Islamico. Maria Rita Gismondo, esperta in bioterrorismo, svela come il califfato può colpirci. I possibili attacchi «vanno dall’esplosivo al chimico e purtroppo anche al nucleare perché l’Isis ormai copre una vasta zona di territorio nella quale ci sono scorte di armi di ogni genere, da quelle biologiche a quelle atomiche»

Nei giorni scorsi il premier francese Manuel Valls ha lanciato l’allarme denunciando «il rischio di attacchi con armi chimiche e batteriologiche». Una possibilità che non sarebbe più solo un’ipotesi astratta. Come ben sanno gli esperti di bioterrorismo che nei giorni scorsi si sono riuniti a Milano in due importanti convegni. La prima occasione è stata il simposio internazionale annuale (4-6 novembre) sulla biosicurezza organizzato da Maria Rita Gismondo, direttore del laboratorio di microbiologia clinica, virologia e bioemergenze del polo universitario e azienda ospedaliera Luigi Sacco; all’incontro hanno partecipato tra gli altri Selwyn R. Jamison, responsabile per la prevenzione del bioterrorismo della Fbi di Washington e l’ambasciatrice statunitense Bonnie D. Jenkins, membro del board e responsabile della Health security del G8. Venerdì e sabato scorsi, invece, al Cern di Milano, i Cavalieri dell’Ordine di Malta hanno organizzato un convegno (“Chem bio haza”) per studiosii e analisti militari sui pericoli di natura chimica, biologica, radiologica e nucleare (minacce Cbrn). Tra i relatori la stessa Gismondo il cui intervento sulle “Minacce emergenti e recenti esperienze in ambito di difesa da rischio B” è stato particolarmente apprezzato. Gismondo dal 1995 è anche la responsabile del laboratorio Bsl4 (Biosafety level four, il massimo nel nostro Paese) del Sacco, punto di riferimento in Italia per le emergenze infettivologiche; inoltre fa parte di comitati e commissioni governative per la biosicurezza ed su questo tema è rappresentante italiana presso l’Unione europea e il G8 nell’ambito della Globalpartnership.
«Il pericolo è il mio mestiere» si è schermita, spiegando che per lei «l’emergenza è tutti i giorni». Ma ha ammesso, però, che «oggi c’è un allarme diffuso» per tutti i possibili attacchi «che vanno dall’esplosivo al chimico e purtroppo anche al nucleare perché l’Isis ormai copre una vasta zona di territorio nella quale ci sono scorte di armi di ogni genere, da quelle biologiche a quelle atomiche». Ma i terroristi islamici che cosa potrebbero avere in mano concretamente? «Sappiamo che le vecchie riserve batteriologiche irachene erano provviste del virus del vaiolo del cammello, che se inoculato nell’uomo è mortale. Invece in Libia l’esercito del Califfo si è certamente impossessato di numerosi serbatoi di sarin: è un gas nervino che, come la ricina, rappresenta un altro pericolo concreto. E l’Isis ce l’ha». Sembra sia già stato utilizzato in Siria nel 2013 e nel Kurdistan; provoca intossicazioni, gravi ustioni alla pelle e ovviamente la morte. Come ci si difende da questo gas? «Non ci si difende», riconosce Gismondo. I terroristi che cosa possono aver fatto di queste scorte? «Le conservano per eventuali attacchi. Ma noi non conosciamo i loro piani. Sappiamo solo che il sarin non è difficile da trasportare, può viaggiare in bottiglie, fialette, rudimentali contenitori». Nella santabarbara dei mujaheddin, come accennato, ci sono anche batteri o virus che possono provocare gravi malattie infettive come l’ebola e il vaiolo del cammello. Sei sette mesi fa le intelligence occidentali avrebbero sventato un attacco molto particolare. «È successo in Liberia: alcuni terroristi volevano mettere un malato di ebola in contatto con persone sane per infettarle. Per fortuna il loro piano è fallito e sono stati intercettati». Queste malattie si possono trasmettere attraverso le migrazioni? Gismondo capisce il rischio insito nella risposta: «Ahi! Se io prendo dei malati e li infetto li posso mettere sul barcone, li posso mettere sull’aereo, li posso mettere da tutte le parti». Poi frena: «Se questi fanatici avessero a disposizione un kamikaze “di qualità” secondo lei rischierebbero di farlo annegare o intercettare su un barcone? Per carità con le zattere ci arrivano la tubercolosi, la scabbia… ma un malato di ebola o di vaiolo deve essere trasportabile con un furgone o un aereo da una parte all’altra nel giro di 24 ore prima che muoia o mostri i sintomi». Chiediamo se sia plausibile un attacco con “bombe” umane e Gismondo ribatte: «Sicuramente sì, è fattibile e noi lo consideriamo un potenziale rischio: è più semplice infettare un gruppo di persone e mandarle in giro che trasportare il virus e poi diffonderlo sul posto».
Dunque è notizia certa che i terroristi islamici abbiano il sarin e provato a diffondere l’ebola, mentre è altamente probabile che siano forniti del vaiolo del cammello. «Questi sono dati concreti, non ipotesi fantascientifiche, sono informazioni che l’intelligence sta diffondendo». Tra le armi biologiche potenziali Gismondo fa l’esempio di San Francisco, dove una decina di anni fa sono stati immessi dei batteri di salmonella nel cibo, causando centinaia di casi di tifo. Al Cern di Milano qualcuno le domanda se la malaria possa essere diffusa in modo deliberato e la microbiologa non ha esitazioni: «Certamente sì, basta portare la zanzara anopheles in zone dove può sopravvivere e si può radicalizzare. Il bioterrorismo attraverso gli animali è un evento più che possibile. Come è successo nella guerra tra Iran e Iraq». A disposizione dei tagliagole c’è pure l’antrace che ha gettato nel panico gli Stati Uniti nel 2001-2002 con la spedizione di lettere a politici redazioni giornalistiche contenenti il micidiale batterio: «È molto più facile da trasportare rispetto ad altri “veleni” e pensi che per infettare l’intera città di Boston è sufficiente mezzo cucchiaino di polvere di antrace». Con un semplice aerosol si possono nebulizzare nell’aria spore di carbonchio. Ma chi possiede questa arma di distruzione di massa? «Il mondo intero. Durante l’allarme del 2001-2002 il mio istituto lo ha comprato via Internet dalla banca ufficiale dei ceppi batterici, la batterioteca degli Stati uniti d’America e ci è arrivata la fialetta, senza particolari controlli sulle nostre identità e intenzioni». Uno dei timori più diffusi tra gli scienziati è quello dei virus geneticamente modificati irriconoscibili a livello diagnostico e incurabili con i normali vaccini. «Oggi manipolare un virus o un batterio non è difficile. Un genetista o un microbiologo lo sanno fare. Su Internet si trova di tutto. Lei pensi che da 3-4 anni si sono costituti negli Stati uniti dei club che riuniscono nei fine settimana con l’utopia di poter costruire vite nuove e che manipolano il dna, si chiamano “Do it yourself» e hanno persino un sito Internet. Potrebbero perdere il controllo di una manipolazione o causare un incidente di laboratorio. Purtroppo la ricerca scientifica e determinati prodotti possono sempre avere un “dual use”, un doppio uso, buono o cattivo».
Quanto al rischio di bombe sporche che cosa si sa? «Se controlla su una cartina i Paesi dove c’è la macchia nera dell’Isis troverà certamente Stati in cui si sa che c’erano dei depositi nucleari. Può trattarsi di uranio, ma anche di testate atomiche pronte». Sul livello di allarme attuale Gismondo spiega: «Rispetto a un mese fa non è cambiato assolutamente niente. Forse il pericolo che si corre adesso è inferiore a quello che si correva prima dell’attacco francese. Perché adesso siamo tutti un po’ più attenti». Ma allora perché il premier francese ha parlato solo ora di rischio bioterroristico? «Forse perché ha bisogno di consenso per fare la guerra» taglia corto la microbiologa e aggiunge che a volte c’è un periodo di massima allerta di cui l’opinione pubblica nemmeno si accorge. Come è successo durante l’Expo di Milano. «L’estate scorsa abbiamo intercettato una ragazza liberiana che aveva i sintomi dell’ebola e che aveva girato per l’esposizione tre giorni consecutivi. Noi abbiamo fatto subito la diagnosi e per fortuna era un altro problema. Ma in quel momento abbiamo trepidato perché avrebbe significato chiudere l’Expo». In un caso di attacco biologico o chimico l’Italia è in grado di rispondere positivamente? «Tra Milano e Roma siamo in grado di curare decine di malati. E in questa battaglia non siamo da soli. Abbiamo a due passi Zurigo e Ginevra con le stesse capacità di isolamento, abbiamo l’Olanda, in questi casi il mondo diventa un’unica casa. I posti letto sono variabili, visto che possono aumentare in base alla necessità: noi ne abbiamo già pronti 12, ma possono essere moltiplicati in base alle necessità». A chi le chiede se la Libia sia un canale fuori controllo per il passaggio di sostanze letali Gismondo fa notare che il deserto africano, infestato da bande di predoni, non è il posto più sicuro per trasportare certi carichi, e che per questo è molto meglio il «corridoio turco» anche perché i Balcani «sono un colabrodo». La scienziata a questo punto fa notare al cronista che al rischio più o meno concreto di attacchi terroristici sono connessi altri problemi, legati anche all’informazione: «Per esempio la psicosi della gente. Che può fare tanti morti. Pensi se in questo momento a un concerto uno iniziasse a urlare o esplodesse un petardo: scoppierebbe il panico e la gente verrebbe calpestata. Il panico della gente non si governa. La verità è che contro la minaccia del bioterrorismo non possiamo fare niente di più di quanto stiamo già facendo. Per questo dobbiamo continuare a vivere le nostre vite normalmente e impedire all’Isis di conquistare le nostre teste».