
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ultime dai candidati: Veltroni promette che, in caso di vittoria, darà una delle due camere al Popolo della Libertà. Emma Bonino si augura di diventare ministro degli Esteri o della Difesa o del Commercio. Berlusconi giura che formerà un governo ristretto, di soli dodici ministri, e aggiunge che quattro di questi ministri saranno donne, un altro ministero andrà a Gianni Letta e un altro ancora a Lucio Stanca.
• Oggi, in base all’impegno preso ieri, dobbiamo parlare di Veltroni.
Già, ieri ci siamo occupati dello sfidante Berlusconi e oggi dobbiamo concentrarci sul vincitore uscente, Walter Veltroni. Anche se Veltroni non faceva parte del governo Prodi, non ha partecipato alla precedente campagna elettorale ed è sbucato fuori all’improvviso dopo la fusione tra Ds e Margherita, la nascita del Partito democratico e i tre milioni e mezzo di voti presi alle primarie. Le elezioni, per Veltroni, sono state un colpo di fortuna.
• Perché?
Perché hanno bloccato la lotta interna al Partito democratico, che era già cominciata e si articolava su due questioni: che rapporto si deve avere con Berlusconi e come bisogna organizzare il partito. Su questi due punti il capo del Pd ha idee particolari e una buona dose di democratici non vede l’ora di andare al rendiconto.
• Queste idee sarebbero?
Prima di tutto Veltroni non vuole un partito tradizionale, con segretario, presidente, direzione, comitato centrale, il congresso con i delegati, le tessere, le correnti eccetera eccetera. Lui, o qualcuno per lui, ha coniato l’espressione “partito liquido”, un’immagine che vuole descrivere un aggregato molto dinamico di idee, interessi, tendenze politiche o ossessioni culturali molto diverse tra loro, per nulla burocratizzate, sempre in movimento dialettico tra loro. Dibattito perenne, continuo ricorso alle primarie, niente tesseramenti o tesseramenti all’acqua di rosa, niente correnti o burocrazie interne. In un partito sapientemente disordinato, i vari cavalli di razza avrebbero difficoltà a formare gruppi o cordate, con relative spartizioni e alleanze. Insomma Veltroni non vuole un Partito democratico contenitore di altri micropartiti: i dalemiani, i fassiniani, i rutelliani, i sinistri, i teodem, eccetera. Ci sarà, in questa preferenza, anche una motivazione estetica o di gusto. Ma è anche sicuro che in questo modo il segretario del Pd impedirà ai capicorrente di tenere riunite le forze e di muoverle tatticamente nelle sedi opportune per condizionarlo e limitarlo. La direzione, la segreteria, il comitato centrale a che servono se non a limitare il potere del leader? L’esempio, Veltroni ce l’ha di fronte: Forza Italia, un partito talmente poco partito che può cambiar nome e definizione senza che nessuno si scomponga più di tanto. Esiste forse qualche direzione o segreteria capace di costringere Berlusconi a un confronto? Ma quelli non fanno neanche i congressi! Per Veltroni è una specie di paradiso terrestre.
• Che c’entra con le elezioni?
C’entra, perché dopo le elezioni le correnti del Pd – che esistono – si metteranno in moto per riprendere la marcia sul segretario, appena iniziata dopo Natale e subito interrotta dalla caduta del governo Prodi. E che cosa metterà in moto le armate democratiche? La questione del rapporto con Berlusconi, specialmente se al Senato ci sarà un pareggio o un vincitore diverso da quello della Camera. Fare o non fare il governo di larghe intese? Se pure non si facesse il governo di larghe intese, confermare i sorrisi e le pacche sulle spalle scambiati col Cavaliere lo scorso dicembre? Se Veltroni prevalesse alla Camera e al Senato potesse far maggioranza solo con i voti della Sinistra Arcobaleno, li accetterebbe o preferirebbe continuare a “star da solo”, magari accordandosi col Popolo delle Libertà? E se questi voti in più fossero messi a disposizione da Casini? E se fossero messi a disposizione sia da Casini che da Bertinotti? E in definitiva, con qualunque risultato a disposizione, Veltroni preferirebbe allearsi con Berlusconi o con uno degli altri due?
• E se Veltroni vincesse o facesse comunque un buon risultato rispetto al 2006 o rispetto alle attese di due mesi fa?
Questa è la conditio sine qua non, cioè la condizione inderogabile perché Veltroni – sia pure assaltato dai suoi compagni di partito – continui tranquillamente il suo percorso. Se ci fosse una sconfitta e questa fosse troppo netta o superiore alle peggiori previsioni dello scorso febbraio, allora sarebbe difficile evitare un redde rationem assai duro. Anche se Veltroni ha avuto questa fortuna: di poter dire che le elezioni sono arrivate troppo presto. Avrebbe ragione: come si poteva far dimenticare Prodi avendo preso in mano il partito appena lo scorso 14 ottobre? [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 11/4/2008]
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