Enrico Sisti, la Repubblica 11/4/2008, pagina 47., 11 aprile 2008
Ring estremo per bambini. la Repubblica, venerdì 11 aprile 2008 Eli Lindsey e Gage Bloomer. Tocca a loro
Ring estremo per bambini. la Repubblica, venerdì 11 aprile 2008 Eli Lindsey e Gage Bloomer. Tocca a loro. Sugli spalti del palazzetto di Carthage, Missouri, c´è abbastanza gente, fra cui una mezza dozzina di cameramen pronti a riprendere il combattimento. L´"ultimate fighting" è da tempo una corda bella tesa fra il morboso e il tollerabile. Piace ai media perché la prima sensazione che offre è che ci siano poche regole da rispettare: gli atleti che lo praticano viaggiano su un binario privilegiato che non corrisponde a niente di sperimentato in precedenza. Puro "crossover" di botte. Né pugilato, né lotta, né arti marziali. Bensì una via di mezzo che ingloba tutto. Gli atleti si fronteggiano, urlano, si alzano, cadono e soprattutto si picchiano con una sufficiente libertà normativa da poter immaginare, nel breve volgere dei pochi minuti di match a disposizione, sviluppi agonistici ai limiti della legalità e della salute. Permane un solo paradossale obbligo: "No blood". Gran parte dell´America ne è entusiasta. Il mese scorso la Cbs è diventato il primo dei quattro grandi network nazionali ad assicurarsi i diritti per trasmettere i meeting prima serata. E fin qui niente di strano, o di nuovo. A Carthage però c´è un particolare che stravolge il quadro. Eli e Gage, gli "ultimate fighters" che stanno per darsele di santa ragione accartocciati sul tatami, hanno otto anni a testa. E non sono nemmeno i più anziani: se ne possono incontrare di sette, sei. Le famiglie sono bianche, ricche, disinvolte. Padri e madri hanno trent´anni o poco più: «Non è ultimate fighting, ma ultimate border». Siamo al confine definitivo dello sport inteso come concentrazione di valori positivi e benessere. «La colpa è del sistema: scambia l´evasione per una prigione», ha urlato il Washington Post. Ma rimarrà inascoltato: «Genitori incauti, come qualcuno che ho personalmente conosciuto e che crede di potersi permettere il lusso di lasciare i propri figli in balìa di un destino così perverso». Parola di John McCain. Quindici anni fa il senatore in corsa per la Casa Bianca si espose in prima persona per abolire l´ultimate fighting senza distinguere grandi o piccini. Ma la sua mozione finì contro un muro i cui mattoni erano (e sono) le pay-per-view. La sua voce è stata seppellita dall´atroce convinzione che «l´ultimate fighting venga in fondo percepito come una variante del wrestling, pur essendo l´esatto contrario». Infatti è kickboxing aggiornata e si picchiano. L´unica differenza fra professionisti e bambini è che i primi non hanno protezioni mentre i piccoli sono mascherati da samurai con un costoso equipaggiamento che include parastinchi e casco (250 dollari salvo complicazioni): «Nessuno considera i rischi che corre un organismo non ancora formato». No, nessuno. A comandare è il mercato. E in piena angoscia da esposizione mediatica è facile scambiare i tornaconti privati (sponsor, tv, contratti e contrattini) per esperienze di pubblica utilità. C´è chi nel giocare a gonfiarsi intravede una misteriosa funzione educativa. Ma a convincere del contrario Tommy Bloomer, padre di Gage, finora non sono bastati gli appelli dei medici. Il signor Bloomer non riesce a spiegarsi lo sdegno di quanto sta accadendo, per ora, soltanto nel Missouri: «Non li alleniamo per un combattimento fra cani. Da genitore preferisco che i miei figli (ne ha due, ndr.) crescano imparando a difendersi e a irrobustirsi piuttosto che ciondolare per le strade. E questo sport non è più, come molti credono, allo stato selvaggio dei primi anni». Nello stato dei pischelli-mostro molti sono d´accordo con lui. Qualcuno ammette che far lottare dei bambini come fossero galli possa apparire un po´ brutale. «Però è soltanto la superficie», spiega Larry Swinehart, poliziotto di Joplin, altra città del Missouri contagiata di fresco dalla febbre del baby fighting. «Sembra violento finché uno non si rende conto che l´ultimate fighting abitua a un profondo senso di disciplina». Anche i suoi figli (due maschi e una femmina) fanno parte della Garage Boys Fight Crew, la combriccola da cui si pesca per riempire i palazzetti con l´ultima moda del farsi male già dalla scuola elementare. Il sostegno culturale della civiltà dei colpi proibiti, ma non vietati arriva da film come "Never back down", il "Karate Kid" della generazione youtube: «Ma non tutti concordano», aggiunge il Post. Segno che la lotta sul tatami del buon senso non è ancora vinta dai genitori delle varie Fight Crew che potrebbero proliferare partendo dal modello Missouri e ispirandosi a un confuso indottrinamento di sapienza orientale: «Ancora non esiste una vera e propria lega, come per il basket, il baseball, il football e l´hockey». L´"ultimate fighting" (per chi volesse saperne di più, esclusa la questione bambini, c´è l´esclusiva di Sky a pagamento il sabato sera) è ancora un prodotto "sensazione". Nasce nel ”91 in California come mix sperimentale fra ju-jitsu e boxe. Il suo cuore pulsante è una dose esasperata di realismo, di anima gladiatoria e di concessioni normative che hanno un preciso obiettivo culturale e commerciale: «Soppiantare la boxe tradizionale». Già due anni dopo decine di tv locali sono pronte a catturarne il fascino e di lì a poco John McCain tenta di arginarne la diffusione. Ora lo gestisce una società che ha base a Las Vegas e che ha un nome che, trasportato nella nostra lingua, non potrebbe essere più efficace e mirato: Zuffa. L´ultima frontiera sono i bambini. Fra cui i figli di Bloomer. Il padre saggio convinto che finalmente alcuni provvedimenti abbiano umanizzato la disciplina e per questo lui non ha problemi a buttare i suoi figli nella mischia: «Non è più consentito sferrare colpi alla nuca, testate al petto e calci all´inguine». Però... Enrico Sisti