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 2008  aprile 11 Venerdì calendario

Parmalat per Vanity Fair 1 Il nipotino di Tanzi, vedendolo tornare a casa dopo 275 giorni di carcere: «Nonno, ma non eri morto?»

Parmalat per Vanity Fair 1 Il nipotino di Tanzi, vedendolo tornare a casa dopo 275 giorni di carcere: «Nonno, ma non eri morto?». 2 Tanzi Calisto, nato a Collecchio (Parma) il 17 novembre 1938. Il padre si chiamava Melchiorre. Il nonno, ancora Calisto. Sempre con una ”l” (se lo si scrive con due l’attuale Calisto si dispiace sul serio). Alla morte di Melchiorre (1960), i Tanzi si trovarono questa aziendina che dal tempo dei tempi commerciava pomodori e prosciutti. Il giovane Calisto si sarebbe tenuto volentieri i pomodori. Invece, divisa l’eredità, gli toccarono i prosciutti. 3 Il giovane Calisto, in quei primi tempi: «Non ha senso vendere prodotti buoni, ma anonimi». 4 Primo colpo, l’idea del latte in scatola, visto in Svezia e portato subito in nItalia. L’azienda viene chiamata Dietalat. Poco dopo, nasce Parmalat. Crescita vertiginosa, con aumenti di fatturato al ritmo del 50 per cento l’anno e una volta addirittura del 74 per cento. Dai 262 milioni di lire iniziali, si arriva fino a 14 mila miliardi. 5 Idee con cui Tanzi conquista il mercato: abbinare il marchio a grandi nomi (Thoeni, la Formula Uno di Niki Lauda, Pavarotti in concerto al Central Park). Comprare a tutto spiano all’estero: Russia, Cile, Australia, Nicaragua, più tardi il Brasile. Espansione successiva in ogni settore possibile: la squadra di calcio del Parma, che diventa una delle più forti del campionato. Il turismo, con Parmatour affidato alla figlia Francesca. La televisione con Odeon tv. 6 Odeon tv viene comprata per fare un piacere a De Mita, capo del governo e della Dc. Siamo nella seconda metà degli anni Ottanta. De Mita è infastidito dall’influenza che, con le sue tre reti, Berlusconi esercita sulla società italiana. In quel momento il giornalista Giampaolo Pansa va a trovare questo Tanzi, ancora non troppo conosciuto. il gennaio del 1987. 7 La prima impressione di Pansa fu di avere a che fare con un prete o addirittura un vescovo. «Anche la voce era chiesastica: le parole avvolte in un soffio e pronunciate con decisione soave. Persino l’ufficio, il cuore di Parmalat, ricordava una cappella. Luci attenuate. Scrivania in legno lunga e stretta, come certi altari d’oggi. Pareti spoglie, a parte tre quadri naïf, belli e tetri. E un crocefisso proprio sopra la porta». Il giornalistica gli chiese che cosa volesse trasmettere su questa Odeon tv. Tanzi: «Vorrei che i miei programmi fossero incentrati sul bene e non sul male. Per farmi capire, le offro un esempio negativo: a me Dinasty o Dallas non piacciono per niente. Sono trame diseducative. Dove la gente tira a diventare ricca fregando il prossimo, mentre uno deve far denaro per aiutare gli altri. Insomma, Gei-Ar è un personaggio diseducativo. Io non lo posso soffrire. Vorrei trovare un creativo che mi aiutasse a fare un Dallas al contrario. Capace di raccontare le storie di gente che si prodiga per gli altri». Pansa era pieno di dubbi. Gli chiese: quali film trasmetterebbe? Tanzi: « Per esempio, I ragazzi della via Pal. O La città dei ragazzi con Spencer Tracy. O Walt Disney, che fa sempre emergere un discorso positivo. Ricordo anche una pellicola con Bud Spencer e Terence Hill: erano due religiosi che picchiavano un po’ duro, ma alla fine il perdente era il Gei-Ar di turno. E porterei in tivù personaggi come padre Eligio, Muccioli, don Picchi, uomini che si battono contro la droga. Oggi invece la tivù statale e quella privata fanno vedere cose sconce, volgari. Sono scandalizzato. Mi indigno!». Pansa chiese come se la sarebbe cavata col telegiornale. Tanzi: «Niente notizie dimezzate. Niente scoop. Cercare il bene e non il male nella cronaca del mondo. Lei mi chiede: e la difesa degli interessi di Tanzi, ci sarà anche quella? La mia risposta è no. Voglio soltanto un discorso onesto, obiettivo. Se tu fai il tuo mestiere con onestà e intenti puliti, fai anche il tuo interesse d’azienda». 8 Adesso che di Tanzi si sa quello che si sa (bancarotta da 14 miliardi di euro, 80 mila risparmiatori truffati, almeno 500 aziende dell’indotto sull’orlo della rovina e poi salvate dal commissario Bondi), è bene rileggere quell’intervista a Pansa. Su Parmalat girava già qualche voce, e il giornalista chiese al Cavaliere qualche notizia. Tanzi: «Parmalat va bene. Ho ricevuto molte richieste d’acquisto, ma non ho nessuna intenzione di vendere. Tutti i nostri investimenti fissi sono stati pagati. Se chiudo domattina, resto con tutti gli immobili e gli impianti, e nessuna lira di debito. Posso andar male? Penso di no. C’è una campagna denigratoria contro di noi. Da parte di chi? Non lo so. E non voglio saperlo. Se uno parla così di noi, vuol dire che è cattivo. Ma io, nel prossimo, voglio trovare il bene, non il male». Diede poi qualche notizia sulla sua filosofia di imprenditore: «Quando uno fa l’imprenditore, il profitto va conseguito. Ma non a danno dei valori che contano. E aggiungo che una vera industria, teoricamente, dovrebbe essere di tutti [...] Bisogna reinvestire il più possibile i profitti, farne partecipi gli altri, non asciugarli in capricci personali. Alla Parmalat abbiamo sempre reinvestito tutto. Ed è nostra intenzione continuare a farlo. O, almeno, è la mia intenzione...». 9 Le inchieste appurarono poi che Tanzi, il quale non andava a tavola senza farsi il segno della croce e professava (e professa) la più fervente delle fedi nel Dio cattolico, ha distratto da Parmalat verso le aziende di famiglia almeno 900 milioni di euro (poco meno di duemila miliardi di lire). S’è messo in tasca direttamente almeno 26 milioni (50 miliardi di lire). Senza contare le ville, le macchine, ecc. 10 La rovina, preparata dall’abitudine di Tanzi di non mettere mai una lira di tasca sua nelle aziende che possedeva (è questo del resto il vizio degli imprenditori italiani, abituati a rischiare soprattutto i soldi degli altri o dello Stato), cominciò a materializzarsi proprio con Odeon. La televisione aveva succhiato a Parmalat 160 miliardi di lire. Parmalat e relative controllate erano poi piene di debiti perché il Cavalier Calisto s’era allargato all’estero col sistema di farsi prestar soldi dalle banche. I giudici che studiarono più tardi il caso, constatarono che l’azienda era tecnicamente fallita già in quel momento (siamo alla fine degli anni Ottanta). Tanzi però pensò di rinviare la resa dei conti facendosi prestare altri soldi. Ottenne in effetti 120 miliardi di lire dalla Centrofinanziaria, la merchant bank del Monte dei Paschi di Siena. 11 Questi denari gli furono concessi a due condizioni: che vendesse Odeon e che restituisse il prestito in tre anni. In caso contrario il Monte dei Paschi si sarebbe preso il 22 per cento dell’azienda (e la banca aveva già pronto l’acquirente: era la Kraft). Odeon fu quindi ceduta a Florio Fiorini. Il prestito arrivò, ma non era sufficiente. I soldi finirono in pochi mesi. 12 C’era ancora una possibilità: quotare l’azienda, cioè portarla in Borsa. Significa questo: tu cedi un pezzo della società ai piccoli risparmiatori che investono in Borsa e incassi i denari relativi. Poiché vai chiedere i soldi al popolo, di solito la quotazione è preceduta da una quantità di controlli. Tanzi vide che aveva problemi. Non solo nel giro dei finanzieri si sapeva che la società era - come si dice - «poco liquida». Ma era ben nota anche un’altra circostanza: Tanzi non pagava i fornitori, il più negativo tra i segnali che una ditta può spedire al mondo. In breve: gli venne fatto capire che per Parmalat in piazza Affari non era aria. 13 Consigliato dal finanziere Gianmario Roveraro, che molti anni dopo sarebbe stato sequestrato, ammazzato e fatto a pezzi (nulla a che vedere con Parmalat), Tanzi trovò un’altra strada: comprare un azienda già quotata, fondersi con questa azienda mantenendo il nome Parmalat e trovarsi in questo modo sul listino. Era il 1990: la fusione avvenne attraverso uno scambio di azioni con la Finanziaria Centronord di Giuseppe Gennari, secondo una testimonianza di Florio Fiorini «più o meno una società di strozzo». In ogni caso, con questa operazione realizzata attraverso «capitali oscuri» (Marco Vitale), Parmalat sbarcò in Borsa. 14 Comincia adesso un calvario che durerà fino al 2003, l’anno del crack. Parmalat ha debiti e non ha soldi. Si finanzia facendosi prestare altro denaro. Come ci si può far prestare denaro se si è già pieni di debiti e non si hanno soldi? Emettendo dei bond, attraverso l’appoggio di una banca. I bond sono titoli identici ai bot, cioè garantiscono un interesse e la restituzione finale del capitale. Con questa differenza: i bot sono emessi dallo Stato, quindi sono sicuri. I bond sono emessi dai privati e possono perciò dar luogo a perdite, se l’azienda che li emette - che chiede cioè denaro ai risparmiatori - si trova in difficoltà o fallisce. Per questo molte volte i bond sono accompagnati da una certificazione - emessa da una società specializzata - che li garantisce, che assegna cioè un voto all’emissione e attraverso questo voto dice al pubblico: guardate che questa azienda è solida, i denari che vi chiede ve li restituirà senz’altro, eccetera. Parmalat ebbe sempre quotazioni di primo livello, al punto che certe banche (per esempio Deutsche Bank) consigliarono l’acquisto dei suoi bond ancora nell’ottobre 2003, cioè pochi giorni prima della dichiarazione di insolvenza. Vi furono anche emissioni non garantite. Su queste Tanzi sostenne poi - e, a quanto s’è capito, a ragione - che questi bond senza certificazione non dovevano essere offerti al pubblico, cosa che invece le banche fecero senza esistazione. 15 I ”negozi dei bond”, cioè il posto dove un investitore qualunque (un pensionato, una madre di famiglia) può comprare questi titoli, sono le banche. Come mai la banca vende tranquillamente prodotti avariati? Ma perché la banca dichiara di fidarsi della società di rating (quella che dà i voti o certifica sulla solidità dell’azienda). la società di rating che la copre. E che convenienza ha la banca a vendere i bond? Piglia un tanto per ogni bond sottoscritto. E questo ”tanto” - detto ”commissione” - costituì nella storia del calvario Parmalat - calvario sopportato esclusivamente dai piccoli risparmiatori, ampiamente truffati da tutti - un tesoro molto ricco. 16 Vennero infatti a proporsi come distributori dei bond Parmalat - con cui il pio Tanzi impestava senza sosta il mercato - banche di tutto il mondo. E in particolare banche amerciane, come Citigroup o Bank of America. Si vide poi, in sede di rendiconto, che al fallimento finale da 14 miliardi avevano contribuito per il 70 per cento banche straniere e solo per il 30 per cento banche italiane. 17 Parlamalat era infatti diventata un’’azienda marcia”. Che cosa significa questa espressione? Significa questo: c’è un’azienda A che deve restituire alla Banca - mettiamo - 50 miliardi. La Banca sa che l’azienda A non ha e non avrà mai questi 50 miliardi. Va allora dal signor Tanzi, patron della Parmalat - l’azienda marcia - e gli dice: «Caro Tanzi, c’è questa azienda A che ci deve 50 miliardi e non ce li può restituire. La compri per favore lei per 50 miliardi di modo che il padrone dell’azienda A, incassati i soldi della vendita, possa girarceli e saldare il suo debito». Tanzi: «E come faccio a comprare un’azienda da 50 miliardi se non ho una lira?». « semplice» risponde la Banca «lei emetterà un bond che noi distribuiremo sul mercato. Facciamo un bond di valore più alto dei 50 miliardi, qualcosa come 70 o 80 miliardi, in modo che le resti qualcosa con cui tirare avanti. Il bond glielo collocheremo noi e, naturalmente, tratterremo le relative commissioni». Avrebbe potuto Tanzi rifiutarsi a un imbroglio simile, che oltre tutto aumentava pesantemente il suo indebitamento (i 50 miliardi di esposizione dell’azienda A erano passati a lui)? No, perché la Banca che gli faceva questi discorsi era sua creditrice e un rifiuto di Tanzi a prestarsi a questo gioco avrebbe provocato un immediato taglio delle linee di finanziamento, con conseguente, immediato default. 18 Quante banche nel mondo adoperarono Parmalat come discarica, considerando che il gruppo di Tanzi, ottavo per fatturato nella classifica delle nostre aziende, era presente in tre continenti? Non si sa. Ma due operazioni di questo tipo, messe in atto dalla Banca di Roma (poi Capitalia), sono state ricostruite nel dettaglio. Tanzi dovette farsi carico di un indebitamento di 630 miliardi di lire per rilevare la Eurolat della Cirio (Cragnotti). E poi fu costretto a farsi carico per 38 milioni di euro (da restituire in sei mesi con tassi da strozzinaggio) della Ciappazzi di Ciarrapico, una società di acque minerali che non imbottigliava più niente perché le concessioni di cui aveva goduto erano scadute e perché le fonti a cui faceva riferimento s’erano inaridite. Per queste due operazioni è stato rinviato a giudizio il potente banchiere Cesare Geronzi, all’epoca patron di Capitalia e oggi presidente di Mediobanca. 19 Finalmente, alla fine del 2003, la verità venne a galla. Parmalat doveva restituire i soldi di un bond in scadenza e, ai dubbi che venivano avanzati da istituzioni e investitori, rispose mostrando l’estratto conto di un deposito della sua controllata Bonlat presso la Bank of America. Questo estratto conto certificava una liquidità «immediatamente disponibile» di 3,95 miliardi di euro. Ma, poche ore dopo, la Bank of America smentì l’esistenza di quel conto. Il disperato Tanzi e il suo direttore finanziario, il terribile Fausto Tonna, avevano costruito l’estratto conto a Collecchio, fabbricando un falso con uno scanner e una stampante a colori. Era il 17 dicembre 2003. Cominciava lo scandalo Parmalat, subito definito la più grande bancarotta europea di tutti i tempi. 20 Pochi giorni dopo venne chiamato a salvare l’azienda Enrico Bondi, l’uomo che l’ha risanata e rimessa sul mercato e che è stato confermato pochi giorni fa alla sua guida con il 98% dei voti. Il salvataggio fu possibile grazie a una legge - la cosiddetta legge Marzano - varata a velocità record, che insediava in Parmalat e in tutte le aziende con almeno mille dipendenti che in futuro si fossero trovate nella stessa situazione, un commissario-dittatore, autorizzato, per salvare il salvabile, a non guardare in faccia né gli azionisti né le banche né gli altri creditori. Bondi, dichiarando guerra a tutte le banche del mondo, ha incassato fino a questo momento, in transazioni, un miliardo e duecento milioni di euro. Il titolo, lungamente sospeso dalla Borsa, è oggi quotato due euro e mezzo circa, un valore non troppo lontano da quello dei presunti tempi d’oro. Quest’anno è stato persino distribuito un dividendo 2,5 centesimi. Parlando ai soci, Bondi ha annunciato l’intenzione di fare acquisizioni, specialmente sul mercato australiano. 21 Intanto sono partiti i processi. Uno, in corso da poco meno di due anni, si svolge a Milano e riguarda esclusivamente i reati di Borsa. L’altro, che giudica su tutto il resto, si svolge a Parma ed è cominciato adesso. I numeri sono più eloquenti di qualunque spiegazione: gli imputati sono 66, gli atti occupano sei milioni di pagine, i testimoni chiamati da Tanzi a sua discolpa sono 33.550, cioè tutte le vittime dei bond-truffa. Costoro, nelle intenzioni dichiarate di Tanzi, dovrebbero dimostrare che il vero demonio del default Parmalat è il sistema bancario e che il povero, devotissimo Tanzi non è che una vittima come le altre. Non è tanto facile da credere. Anche perché, se davvero i giudici accetteranno 33.550 testimoni, tutto il procedimento finirà di sicuro in prescrizione. Giorgio Dell’Arti