
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Certo che l’altro giorno Amanda, vestita di bianco, con le scarpe basse celesti, la coda di cavallo, il sorriso radioso… certo che l’altro giorno Amanda era davvero uno splendore…
• Le pare questo il mondo di riassumere due giorni di interrogatorio, e soprattutto il botta e risposta di ieri in cui Amanda s’è trovata faccia a faccia con il suo accusatore, il pubblico ministero Giuliano Mignini?
Beh, ieri Amanda non era così affascinante come venerdì. Benché l’herpes sul labbro fosse più piccolo…
• Vuole rispondere o no?
Ma guardi che mi dedico alla bellezza di Amanda perché nei due interrogatori dell’altro ieri e di ieri non è successo niente. Amanda s’è limitata a ribadire quello che aveva scritto in una lettera all’avvocato Ghirga il 9 novembre 2007, una settimana dopo il delitto: «Un agente mi ha colpito alla testa due volte. La mia mente stava cercando delle risposte. Ero davvero confusa » eccetera. La ragazza sostiene di aver detto quello che ha detto solo perché la polizia la maltrattava. Ma alla fine è inutile sgolarsi troppo su queste confessioni e su come sono state estorte (se sono state estorte): gli interrogatori sono avvenuti senza avvocato, quindi non sono utilizzabili! L’insieme di queste informazioni le dà un’idea della confusione in cui si svolge il processo. Il terribile pm Mignini ieri ha domandato, freddissimo, se Amanda conosce il nome dell’agente che le avrebbe dato due pacche sulla nuca per intimidirla. Amanda ha risposto ovviamente di no. E come avrebbe potuto saperne il nome? I poliziotti mica si presentano prima di un interrogatorio, e di un interrogatorio di quella fatta. Quindi la sostanza degli ultimi due giorni del processo di Perugia, in base anche alle dichiarazioni rilasciate dal povero padre della Knox, riguarda sostanzialmente la natura di Amanda, se sia un angelo o un demone, una brava ragazza o una perversa americana venuta in Italia per fare i suoi porci comodi nel Paese dove tutto è permesso, eccetera. Vale a dire letteratura, anzi cattiva letteratura, perché la buona letteratura saprebbe trovare una meccanica plausibile della sequenza che ha portato Meredith a trovarsi con la gola tagliata.
• La meccanica non è plausibile?
Lei sa che c’è un ragazzo della Costa d’Avorio già condannato a 30 anni per il delitto. Questo disgraziato, di nome Rudy Guede, stava certamente nella casa di via della Pergola la sera della tragedia perché ci sono le sue tracce organiche. Anche i riscontri riguardanti la presenza di Amanda sono piuttosto circostanziati ed è difficile che l’americana, benché adesso nessuno le dia scappellotti sulla nuca, possa negarli. Però nessuno nelle udienze degli ultimi due giorni le ha fatto domande su questo. L’interrogatorio, forse per gli articoli del New York Times che accusano Mignini, s’è concentrato sul comportamento della polizia quella prima sera e sulle accuse di lei, inconsistenti, contro Lumumba. Bisognerebbe invece parlare di quella sera, se in definitiva Amanda c’era o no, se effettivamente è rimasta zitta e ferma in cucina mentre di là succedeva qualcosa, eccetera eccetera. La faccenda di Lumumba, a questo punto, è irrilevante.
• Che cosa ha scritto il «New York Times» su Mignini?
Che Amanda è una brava ragazza innocente mentre Mignini è un potente procuratore che tenta di far dimenticare la fallita inchiesta sui circoli di satanisti che sarebbero responsabili dei delitti attribuiti a Pietro Pacciani. Il giornalista che accusa, Timothy Egan, si lamenta del fatto che la Procura ha lasciato trapelare particolari scabrosi sulla vita di Amanda. Ma rispetto all’eventuale innocenza o colpevolezza della giovane mi pare che anche qui ci sia poco da imparare.
• Secondo lei?
Secondo me, Amanda c’entra, Guede c’entra, Sollecito non lo so, e la ricostruzione del delitto così come ce la presenta la Procura non sta in piedi. Le posizioni dei personaggi al momento del delitto e il racconto della serata – letterariamente parlando - sono cervellotiche. da dimostrare che il coltello indicato dall’accusa come arma del delitto appartenga davvero a Sollecito. In queste condizioni, condannare è davvero difficile: la Procura chiede semplicemente che i giurati giudichino alla grossa, dando retta al retropensiero: «Se non sono stati loro chi è stato?». lo stesso criterio che si adopera a Garlasco, dove l’assassino «non può non essere Alberto Stasi» anche se tante cose di quel delitto non si capiscono. Ieri una testimone ha giurato e spergiurato anche davanti ai giornalisti che la bicicletta parcheggiata davanti alla villetta dove è stata massacrata Chiara Poggi non era quella di Alberto. Mi domando solo se in queste procedure tanto arronzate se ne terrà conto. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 14/6/2009]
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