corriere.it, Marco Imarisio, 14 giugno 2009, 14 giugno 2009
Un personaggio da commedia all’italiana Saya e l’incubo sicurezza Dossier falsi in salsa SS Quando fu accusato di avere una polizia parallela disse: siamo in 300
Un personaggio da commedia all’italiana Saya e l’incubo sicurezza Dossier falsi in salsa SS Quando fu accusato di avere una polizia parallela disse: siamo in 300. Non erano più di 30 NOTIZIE CORRELATE L’Msi lancia le «ronde nere». Sul basco l’aquila imperiale Gaetano Saya al termine del suo interrogatorio di garanzia nel 2005 «Certo che è bello» diceva al telefono. L’agente in ascolto non poté esimersi dal sottolineare il tono di voce. Rapito, estasiato, scrisse. Era il marzo 2005 e nella casa di Firenze Gaetano Saya contemplava il simbolo della sua «Polizia parallela». Due serpenti attorcigliati a una spada che sul manico ha una rosa dei venti in stile Nato. Quella era l’unica modifica al disegno originale, che invece aveva una svastica e non per caso, trattandosi dello stemma delle Ss croato-bosniache create da Adolf Hitler. «Gente veramente con le palle» sottolineava lui nella succitata conversazione. Fu arrestato quattro mesi dopo. Le divise della Guardia nazionale italiana, peraltro identiche a quelle dei surreali nazisti dell’Illinois indimenticati protagonisti del film sui Blues Brothers, non sono che l’ultimo di una serie di piccoli ma sentiti omaggi al Terzo Reich. Gaetano Saya, nato a Messina il 24 aprile 1956, «cresciuto dall’amato nonno Matteo Francesco Gesuino che aveva servito nel Regio esercito ed era stato presente alla marcia su Roma, il quale gli aveva inculcato l’amore per la patria », così scrive di sé in una sua asciutta biografia, è tornato tra noi. «Fascista, ma fascista vero, fascistissimo che la Alessandra Mussolini ci fa schifo perché è una moderata del c...» diceva ai tempi della Dssa, Dipartimento studi strategici antiterrorismo, la sua precedente creatura. Il giorno che venne scoperta, fu improvvidamente definita da tutti i media come una polizia parallela, una sorta di servizio che più deviato non si poteva. Sostenevano di essere in 300, erano meno di 30. Quando l’ordinanza d’arresto di Saya e dei suoi proseliti divenne di pubblico dominio, si capì che le istituzioni democratiche del Paese avrebbero comunque tenuto senza grossi problemi. Le intercettazioni sono un inno al pecoreccio, con i nomi dei principali politici italiani oggetto di rime baciate a sfondo sessuale. L’Ugo Tognazzi di Vogliamo i colonnelli in versione Alvaro Vitali. Nelle conversazioni registrate compare addirittura un generale, tale Gilberto, ma in realtà è Riccardo Sindoca, il socio di Saya, che parla camuffando la voce. Gli inquirenti scrivono che tutti gli altri affiliati ne conoscono bene la vera identità, «ma lasciano fare, con atteggiamento comprensivo». La Dssa non faceva altro che preparare dossier falsi, regolarmente spediti a organi di stampa e istituzioni, dal comando generale dei carabinieri al Vaticano. Nei fatti, vendeva paura e in qualche caso trovava acquirenti. Lo scorso 28 maggio la procura di Genova ha chiesto il rinvio a giudizio di Saya e di altre 20 persone della «piccola Gladio». L’accusa è di associazione a delinquere finalizzata all’usurpazione di titolo oltre, in vari casi, all’illecito uso d’informazioni riservate tratte dalle banche dati del Viminale. Nelle sue note autobiografiche, tra qualche verità e molte bugie, Saya racconta di essere stato ingaggiato a 18 anni dai servizi segreti della Nato. Non risulta, così come è dubbia la sua partecipazione alla prima Gladio. Nel 1997 testimonia al processo Andreotti affermando che il senatore è il mandante dell’omicidio Dalla Chiesa. A porte chiuse, lo fanno spogliare per verificare se, come sostiene, ha un tatuaggio sotto l’ascella sinistra che certificherebbe la sua appartenenza a un’organizzazione massonica legata ai servizi. Alla fine il presidente Francesco Ingargiola non nasconde la sua perplessità. «Sinceramente, non abbiamo ancora capito chi è questo signore». Nel 2004 viene indagato per propaganda di idee fondate sulla superiorità e l’odio razziale, diffuse attraverso un sito collegato al Nuovo Msi, partito che dirige assieme alla moglie Maria Antonietta Cannizzaro. Le disavventure giudiziarie non lo fanno recedere dall’agone politico. Nel 2006 si candida alle elezioni con un programma ben preciso. «Espellere tutti gli immigrati, che sono un pericolo per la purezza della nostra razza. I finocchi invece possono lavorare tranquillamente, ma devono rimanere il più possibile nascosti. La loro presenza, purtroppo, devia la nostra società ». Tra le sue molteplici attività si segnalano le mail minatorie inviate nottetempo a Furio Colombo. Il Partito nazionalista italiano – e non dell’Illinois – costituisce il naturale approdo di questo bizzarro personaggio. Le sue ronde superano a destra anche le Sss, Soccorso sociale e sicurezza, fondate a Massa Carrara da un gruppetto di persone che vanta tra le sue file un ex capitano della Folgore e alcuni universitari che aderiscono ad associazioni vicine a Forza Nuova. Per fare una prova servono tre indizi. Aspettiamo il terzo. corriere.it, Marco Imarisio, 14 giugno 2009