Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il governo libico di Sarraj, quello di Tripoli voluto dall’Onu e riconosciuto dalla comunità internazionale d’Occidente, ha chiesto che il mondo lo aiuti a difendere gli impianti petroliferi del Paese, sotto attacco dell’Isis. La nota è firmata dal Consiglio presidenziale, il quale si dice preoccupato «per gli avvertimenti ricevuti dalla Compagnia Nazionale Petrolifera (Noc) e dai rapporti delle forze di sicurezza su possibili attacchi a installazioni petrolifere, anche marittime». L’allarme riguarda in realtà non solo l’Isis, ma anche le iniziative del generale Haftar, che da Tobruk muove autonomamente contro gli adepti del Califfo con le armi che gli hanno fornito Egitto, Emirati e, segretamente, anche la Francia.
• Sa che non mi ricordo più la storia di questo Haftar?
È un generale a suo tempo fedele a Gheddafi, poi amico degli americani, infine ritornato in Libia dagli Stati Uniti con l’idea di diventare il padrone del Paese. Sarraj non gli ha affidato nessun portafoglio (voleva la Difesa) e Haftar gli fa la guerra da Tobruk senza dirlo esplicitamente, ma impedendo al parlamento di quella città di votare il sostegno al governo di Tripoli. Perché sia valido e riunifichi quindi il Paese ci vuole il voto dei due terzi dei deputati e dopo sei tentativi siamo appena a 102 firme su 188, invece delle 124 necessarie. La strategia egiziana è di dividere in due la Libia, in modo che la Cirenaica, governata di fatto da Haftar, ricada sotto l’influsso del Cairo. Per scompigliare le carte dopo il successo di Sarraj, a cui l’ex governo islamista di Tripoli ha ceduto il potere quasi senza colpo ferire, adesso Haftar muove da est verso ovest, ha attaccato Derna, Bengasi e Adjabiya, ufficialmente per cacciare gli uomini del Califfo, in realtà per creare uno status quo difficile da smontare. L’Isis, tra l’altro, a Derna non ci sarebbe neanche più e sembra assai probabile che, con la scusa di difendere i pozzi petroliferi, Haftar punti proprio al greggio della Compagnia Nazionale Petrolifera, quella che si è schierata con Serraj e adesso chiede aiuto all’Occidente. Molto infido è il ruolo di inglesi e francesi, che si battono per depotenziare l’influsso italiano nella zona, fortemente incoraggiato invece da Obama. Renzi ieri mattina s’è sentito al telefono con Sarraj e ha poi rilasciato questa dichiarazione: «Sulla Libia c’è una disponibilità rilevante da parte della comunità internazionale». Il premier ha specificato che i pozzi in difesa dei quali Sarraj ha chiesto aiuto non sono quelli dell’Eni. L’allusione alla «comunità internazionale» è importante perché Renzi parla dal castello di Herrenhausen ad Hannover, dove è in corso il G5, cioè il vertice tra Obama, la Merkel, Renzi, Cameron e Hollande.
• Perché il premier non attacca francamente gli inglesi e soprattutto i francesi, denunciandone il doppio gioco?
In diplomazia non si fa così. La diplomazia è una lunga tela da tessere con pazienza. Obama ha portato ad Hannover un messaggio pacificatore, esaltando il ruolo dell’Europa e la sua funzione nei confronti dei disperati che scappano dalle zone di guerra. «Quello di cui c’è bisogno non sono i muri. Papa Francesco ha detto che i profughi non sono numeri, ma persone, che hanno volti e storie».
• E sulla vittoria della destra in Austria, dovuta proprio al problema dei migranti?
Su questo ha detto qualcosa Renzi. «Nessun elemento giustifica la chiusura del Brennero. Le autorità austriache non possono far altro che rispettare la normativa europea. Il voto è del popolo e quindi da rispettare, ma occorre che contro il populismo la Ue torni a investire nella crescita. Non bisogna giocare sulla difensiva ma d’attacco». Uscendo dal vertice, Renzi ha detto anche che gli Stati Uniti invieranno mezzi Nato per bloccare il traffico di uomini e scafisti.
• Che notizie ci sono dall’altro fronte, quello di Siria-Iraq?
Obama ha ribadito che non intende mandare laggiù truppe di terra, ma ha aggiunto che va trovata un’intesa con Putin per il ripristino della tregua. La spallata decisiva non arriva anche perché c’è di nuovo conflitto tra i curdi dello Ypg e le milizie arabe filo-Assad. Raqqa sarebbe a portata di mano, ma al Baghdadi ha concentrato lì i suoi uomini migliori.
• E Mosul?
Mosul dovrebbe essere affare degli iracheni, che però sono indeboliti da una crisi politica scoppiata a Baghdad, dove il premier Haider al-Abadi ha perso la maggioranza. Ci vuole un compromesso tra sunniti e sciiti locali per dare il colpo di grazia al Califfo.
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