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 2016  aprile 26 Martedì calendario

A Rimini una mostra su Andrea Pazienza, tra la via Emilia e il punk

Giusto quarant’anni fa, si è nella primavera del 1976, al di là dell’Atlantico e della Manica sta per esplodere una nuova sottocultura giovanile, il punk. A New York, una band composta da quattro ragazzi di strada provenienti da Queens sforna il suo primo disco, destinato a diventare un classico, dopo aver fatto gavetta nello storico club Cbgb’s: sono i Ramones, giacche di cuoio nero, jeans strappati e capelli a caschetto come i Beatles. A Londra, altri quattro teppisti cresciuti tra Shepeherd’s Bush e Finsbury Park, e messi assieme dal duo formato da Malcolm McLaren e Vivienne Westwood, tengono i primi caotici concerti irridendo la monarchia e scandalizzando il Regno Unito: sono i Sex Pistols, magliette con la svastica o con la scritta «Io odio i Pink Floyd», pantaloni stile bondage e capelli sparati per segnare la rottura con la generazione dei Figli dei Fiori.

Artista maledetto

E in Italia? In Italia, dove sono di là da venire sia Jo Squillo (!) sia i Cccp, il primo vero punk non suona, non fa concerti e non sfoggia acconciature o capi d’abbigliamento stravaganti, ma disegna tavole e storie a fumetti nella Bologna del Movimento, lì dove i carri armati dell’Esercito affiancano i blindati della Celere nelle cariche volte a reprimere le manifestazioni di piazza in quelli che poi passeranno alla Storia come gli Anni di piombo: è un ragazzo di appena vent’anni, si chiama Andrea Pazienza.
Dunque non deve trattarsi di un caso se oggi – mentre a New York viene inaugurato proprio a Queens un museo sui Ramones e a Londra perfino il Royal & Albert Museum rende omaggio ai Sex Pistols e a quella scena che all’epoca terrorizza i benpensanti facendo titolare in prima pagina ai tabloid «Oscenità e furore» – a Rimini la Biennale di Disegno celebra proprio Andrea Pazienza con una retrospettiva curata da Egistio Quinti Seriacopi e Marina Comandini: mostra che ripercorre il fulminante, strepitoso percorso del più maledetto artista di quegli anni. E perciò ecco, va da sé, i suoi anti-eroi capaci di incarnare la rabbia, le frustrazioni, il dolore e la voglia di ribellione di tanti ragazzi cresciuti come i loro fratelli maggiori ascoltando L’avvelenata ma che di lì a pochi mesi vengono travolti dal clima di violenza che si respira coi lacrimogeni nelle nostre metropoli, dagli effetti devastanti dell’eroina e dalla furia iconoclasta del punk.
Energia autodistruttiva
Bologna, oltre a essere la città del Movimento, è sede del Dams di Umberto Eco. Nelle osterie cantate da Guccini si danno appuntamento i giovani arrivati fin lì percorrendo la via Emilia e raccontati da Pier Vittorio Tondelli in quel libro scandalo che è Altri libertini, subito sequestrato per pornografia. E quando non è chino sulle sue tavole alle prese con gli amati colori, Andrea Pazienza – nato a San Benedetto del Tronto il 23 maggio 1956, pescarese dall’età di dodici anni e a diciotto novello felsineo proprio per iscriversi alla facoltà di Eco – bazzica quegli stessi posti, a un tempo scenario ideale e terreno fertile per le sue storie irriverenti, nichiliste, percorse dalla stessa energia autodistruttiva del punk.
A Bologna il giovanissimo Andrea frequenta oltre a Tondelli anche Enrico Palandri, Freak Antoni con i suoi Skiantos, la critica e curatrice Francesca Alinovi. Sulle pagine di Alter Alter pubblica Le straordinarie avventure di Pentothal. Col collega Filippo Scòzzari fonda la rivista Cannibale: da quest’esperienza e dall’incontro con Vincenzo Sparagna vengono poi alla luce un nuovo mensile, Frigidaire, e un nuovo personaggio, Zanardi. Tra il 1979 e il 1981 collabora con un’altra testata destinata a segnare l’immaginario collettivo di tanti ragazzi, Il Male. Ma se in America e nel Regno Unito sono il punk e il football a catalizzare la violenza della prima generazione cresciuta all’indomani del boom e consapevole di non avere futuro, in Italia è la radicalizzazione dello scontro politico a segnare per sempre chi si trova ad avere vent’anni tra la fine dei Settanta e i primi Ottanta. Le vittime, da una parte e dall’altra, non si contano. E l’arrivo dell’eroina nelle città, a cominciare dalle università e dalle fabbriche, non è casuale.
Gli anti-eroi di Pazienza sono i residui tossici di quel clima a un tempo elettrizzante e irrespirabile. Andrea mostra di avere una capacità di lavoro strabiliante: sforna a getto continuo dozzine di storie, realizza quadri, copertine di dischi, poster. La sua opera «è un work in progess», scrivono i curatori della retrospettiva riminese che comprende anche alcuni inediti, «cominciato e mai finito, vista la sua prematura scomparsa. La sua vasta produzione, in alcuni casi ancora inedita, spazia dal linguaggio del fumetto all’illustrazione alla pittura». E ancora: «Pazienza è stato l’unico autore italiano assolutamente libero di scrivere e disegnare quello che ha voluto o, almeno sentito».

Illusi di cambiare il mondo

Verissimo: la libertà dell’artista naturalizzato bolognese è totale, e i suoi alter ego, si chiamino Pentothal, Zanardi o Pompeo, raccontano con enorme sincerità e senza filtri il vissuto di quegli anni. Così Pentothal è a un tempo davvero la controfigura del suo creatore ma anche l’incarnazione dei ragazzi del Movimento. «Dotato di uno straordinario talento grafico, di rapidità esecutiva e di un’eccellente creatività», Pazienza «si esprime passando con semplicità da una tecnica a un’altra». Lavora instancabile con le sue matite, ma anche a penna, pennarello, con la tempera o coi colori a olio, mettendo a frutto le enormi capacità espressive che lo porteranno a collaborare con Federico Fellini (suoi il manifesto e la locandina per il film La città delle donne, 1983) o Roberto Vecchioni.
Andrea Pazienza muore ad appena trentadue anni a Montepulciano, nel 1988. Prima però, su un semplice block notes a quadretti e con pennarello nero, dà vita a Pompeo, racconto di «un inferno doloroso che è poi l’inferno di tanti giovani che non hanno voce». Si tratta, in realtà, del testamento di un artista che dipingendo un’epoca ci ha lasciato una testimonianza vera, sofferta e beffarda degli ultimi anni in cui dei giovani si sono illusi a sinistra come a destra di cambiare il mondo – con le tragiche conseguenze che sappiamo – anziché sognare di partecipare a X-Factor.