Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Enrico Letta, presidente del consiglio incaricato, ha esordito con una bella frase: «È una responsabilità che sento forte sulle mie spalle. E, se posso permettermi, la sento più forte e pesante della mia capacità di reggerla».
• Come si è arrivati a scegliere Enrico Letta? Sembrava certo che l’incarico sarebbe stato dato a Giuliano Amato.
Giuliano Amato faceva venire troppi mal di pancia tra i democratici, la Lega non lo voleva e anche nel centro-destra - a parte il convintissimo Berlusconi - qualche perplessità esisteva. L’obiezione di fondo riguardava la sua carriera politica, il suo essere stato uomo di tutte le stagioni, in definitiva la sua età (ha 75 anni). Letta ha appena 47 anni e se riuscirà nell’impresa di formare un governo sarà il più giovane presidente del Consiglio del dopo guerra, dopo Giovanni Goria. Quanto ai democratici, l’altra sera il capo dello Stato li ha interrogati a fondo, facendosi raccontare per filo e per segno l’andamento della direzione, nel tentativo di capire, in quel partito balcanico, quale nome avrebbe suscitato meno obiezioni. Non c’è nessuno, infatti, che possa riunire in un consenso unanime la quindicina di correnti di cui è fatto oggi il Pd. Alla fine, nonostante i veti terribili della Bindi, il nome giusto è sembrato quello di Enrico Letta, oltre tutto vicesegretario del partito.
• Non è troppo giovane? E, soprattutto, ha sufficiente caratura internazionale?
Ha fatto parecchie volte il ministro e, relativamente all’esperienza internazionale, ha lavorato con Andreatta, quando questi era alla Farnesina, è stato segretario generale del Comitato per l’euro e infine ministro per le Politiche comunitarie. Prima, a 25 anni, presidente dei giovani popolari d’Europa, carica che gli permise di vivere a Maastricht e di guardare il nostro paese da lassù («un’esperienza fantastica», racconta). A 12 anni il padre, Giorgio, professore universitario di matematica, se lo portò per tre anni a Strasburgo. Lei sa che il padre è il fratello di Gianni Letta, circostanza che induce a ogni sorta di ironie, da ultimo ai sarcasmi, stavolta troppo facili, di Beppe Grillo.
• Che possibilità concrete ha di riuscire nell’impresa?
Ci sono un paio di paletti importanti. I primi li ha messi Napolitano: presentando il presidente incaricato, Napolitano ha detto chiaramente che non ci sono «alternative al successo». In altri termini: se i partiti, non assumendosi in pieno la loro responsabilità, faranno fallire questo tentativo, le camere saranno sciolte e lui stesso, probabilmente, si dimetterà da presidente della Repubblica. Un altro paletto lo ha fissato lo stesso Letta: il governo non nascerà ad ogni costo. L’incarico infatti è stato accettato con riserva.
• Primi problemi? Ostacoli? Nomi di ministri?
Ieri Letta ha parlato a lungo con i suoi, e sentirà gli altri a partire da oggi. La Lega, soddisfatta che si sia evitato il nome di Amato, potrebbe anche non negare la fiducia. Il sito di Repubblica scrive che c’è un veto del Pdl al ritorno della Cancellieri agli Interni: il ministro avrebbe sciolto troppi comuni di centro-destra perché mafiosi. Per il Viminale Berlusconi punterebbe a Schifani. Altra questione delicatissima è la Giustizia. Dal canto loro i democratici denunciano molti mal di pancia, all’idea di trovarsi in un gabinetto insieme – poniamo – alla Gelmini o a Brunetta. Pippo Civati, ex renziano, per esempio, ha scritto sul suo blog: «Mi dispiace, ma continuo a non essere d’accordo. Soprattutto perchè il governo, di ora in ora, si irrobustisce, e il governo di scopo sta diventando un governo di scopone (scientifico). Un governo politicissimo, basato sulla collaborazione Pd-Pdl, senza scadenza, non a caso presieduto dall’ultimo dirigente del Pd che non si è dimesso (perchè eletto dall’assemblea, ma non solo). Le cose, dal mio punto di vista, stanno peggiorando». Ricorderà che i democratici volevano un governo a «bassa intensità politica», in modo che l’accordo con il Pdl li inquinasse il meno possibile. Sandro Gozi, altro democratico, pretende che il governo non viva più di sei mesi.
• Che cosa può fare in sei mesi?
La nuova legge elettorale, prima di tutto. E comunque quello che si potrà fare o non fare – il taglio dei parlamentari, delle province e degli altri costi della politica, la riforma dello Stato in senso presidenziale, i provvedimenti per l’economia prima di tutto con il rifinanziamento della cassa integrazione – dipenderà anche dai partiti che sono stati chiamati a dar vita a una maggioranza. Dipenderà dai loro calcoli, dai loro interessi, dalla loro valutazione sul momento migliore per tornare alle urne. Lo stesso Letta, ieri sera, concedendosi un attimo ai cronisti, lo ha ammesso: «Siamo in terra incognita».
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