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 2013  aprile 25 Giovedì calendario

SOLDATI GUERRIGLIERI

Per molti secoli la guerriglia ha rappresentato l’unico modo dei più deboli di combattere i più forti. È stata la tattica delle plebi miserabili contro le oligarchie tiranniche o contro un potente invasore, che non si poteva affrontare in una battaglia campale. Ma, preso alle spalle, di sorpresa, da azioni impreviste e contemporanee fra loro, il nemico, che sembrava invincibile, mostrava la sua vulnerabilità. Duemilacinquecento anni fa il magno esercito di Dario, il re dei re, persiano, non riuscì a sconfiggere gli Sciti, un popolo nomade asiatico dalle parti del Mar Nero, superbi cavalieri, che usavano la tecnica eminentemente guerrigliera dell’hit and run, colpisci e fuggi. Sembravano provenire da un mondo di fantasmi e lì sempre ritornavano.
La tattica dei guerriglieri è sempre stata esattamente all’opposto degli eserciti in divisa, che concentravano i loro reggimenti per raggiungere la superiorità numerica e in quel momento attaccare. Le armate mongole sono state per molto tempo gli unici eserciti regolari che potevano combattere nel modo tradizionale e nello stesso tempo capaci di orchestrare micidiali manovre guerrigliere. Il grande Subotai, il generale preferito di Gengis Khan, non attaccava subito. La sua fama di ferocia e invincibilità era talmente grande che bastava dispiegare le sue truppe in manovre di parata davanti al nemico, perché questo perdesse il suo assetto di guerra. Quando si muoveva, dopo aver disseminato il terreno di trappole, era come se andasse a caccia dei lupi siberiani. Le armate mongole erano simili alle tramogge: non rimaneva nulla di vivo sotto il loro rullo compressore.
Ma la guerriglia non è stata solo una tattica diversa da quella tradizionale. Uno dei pochi che si accorse che il miglior carburante degli irregolari era un fiammeggiante nazionalismo che li spingeva ad azioni così temerarie da mettere in difficoltà qualsiasi nemico, è stato von Clausewitz, il fin troppo citato studioso e riformatore prussiano dell’arte militare, commentando la rivolta popolare spagnola contro la dominazione francese. E a Waterloo l’imperatore perse non perché il suo genio militare era afflitto da emorroidi che gli impedirono di pensare, come vuole una versione trash della sconfitta di Napoleone, o perché
la cavalleria francese guidata da Ney venne respinta dai quadrati delle giubbe rosse attestati sulle colline di Saint Jean. Ma perché i veterani di Napoleone, quegli splendidi soldati che avevano conquistato l’Europa, non c’erano più. Erano quasi tutti morti durante la ritirata di Russia, uccisi dal freddo e dalle incursioni dei partigiani russi.
Fino al Ventesimo secolo la guerriglia è stata poco amata dalle alte sfere militari, che la ritenevano indegna dell’onore militare. Ancora nell’ottocento l’immagine che si aveva dei guerriglieri, chiamati “irregolari”, era qualcosa tra il brigante e il vagabondo straccione, come la regina Vittoria definì Garibaldi, accolto nel 1864 a Londra da settecentomila inglesi; la più festosa accoglienza mai decretata ad
uno straniero (un altro personaggio di rilievo che criticò l’arrivo di Garibaldi in Inghilterra fu Karl Marx: i due estremi si erano congiunti). Questo ritratto degli irregolari come morti di fame è durato a lungo e trovava conferma nelle guerriglie guidate dai caudillos, in Messico, dove sopra gli stracci i guerriglieri portavano, incrociate sul petto, le bandoliere cariche di proiettili. Persino i guerriglieri più famosi del secolo, diventati oggetto di culto per tutta la sinistra, i
barbudos di Cuba, avevano un aspetto poco rassicurante. Il loro arrivo nell’isola, raccontato con toni epici da un giornalista del New York Times, diventato amico di Castro, che voleva dare all’avvenimento un’importanza molto superiore alla realtà, non fu uno sbarco ma un naufragio, con i guerriglieri sconvolti dal mal di mare e in condizioni pietose.
Ma già molti anni prima la guerriglia aveva conquistato un rispetto che era andato sempre più crescendo, per merito dei due capi guerriglia Lawrence e
von Lettow-Vorbeck. L’archeologo inglese, diventato agente dell’intelligence nella penisola arabica, riuscì in un’operazione memorabile, quella di radunare tutte le tribù beduine del deserto dell’Hegiaz, sotto l’unico comando di Feisal, il leader politico e religioso hashemita. Ma la sua fama cominciò a salire a livelli impensabili solo quando i giornali inglesi, alla ricerca di un eroe introvabile sul fronte occidentale, scoprirono che in quello orientale un giovanotto inglese audace e vanitosissimo, ammantato di scialli ricamati, più come una danzatrice della Sublime Porta che come sceicco, aveva guidato una carica contro le postazioni turche ad Akaba su un mehari da corsa a fianco di Auda Abu Tayi, leggendario capo degli howeitat. E come routine faceva saltare in aria una quantità inverosimile di treni che attraversavano il deserto.
Ma il più grande leader di guerriglia di tutti i tempi è stato von Lettow-Vorbeck, un alto ufficiale cresciuto nel severo addestramento prussiano, ritenuto molto rigido, mentre era estremamente elastico. Durante la Prima guerra mondiale con tremila soldati tedeschi e non più di
undicimila ascari, personalmente addestrati e diventati i migliori soldati di tutta l’Africa, riuscì a tenere a bada e a sconfiggere un’armata anglo-indoboera di oltre centosessantamila soldati. Ma la storiografia inglese è molto nazionalista, sotto l’apparente obiettività, lo ha sempre ignorato. In The Oxford Companion to Military History, la Bibbia degli storiografi militari, le sue imprese sono illustrate in dieci righe, mentre a un tipo insignificante come Lord Mountbatten, il viceré delle Indie, è stata dedicata una pagina. Negli ultimi anni, dopo la sconfitta dei russi in Afghanistan e degli americani nel Vietnam, i libri di guerriglia stanno sostituendo i classici “reçit de bataille” alla John Keegan (in Italia è da poco in libreria L’arte della guerriglia di Gastone Breccia, il Mulino). Ma nell’ultimo volume uscito in questi giorni, Invisible Armies di Max Boot, uno stimato esperto di guerriglia che ha come sottotitolo “L’epica storica della guerriglia dall’Antichità ad Oggi”, il nome di von Lettow-Vorbeck è stato semplicemente cancellato. Forse non si è ricordato che i marines, come quasi tutte le forze speciali che ora operano nel mondo, tra le quali si può contare la squadra americana che ha ucciso Bin Laden, hanno come precursore e maestro l’ufficiale prussiano che ha inventato la guerriglia moderna.