Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Napolitano darà stamattina l’incarico di formare il governo e il prescelto dovrebbe uscir fuori dalla terna Amato-Letta-Renzi, con la candidatura di Renzi però in calo. Il presidente ha sbrigato il rito delle consultazioni in un solo giorno, sentendosi ripetere quello che già sapeva, a parte forse i distinguo democratici, decapitati dalle dimissioni di Bersani, Bindi e dell’intera segreteria ed impegnati per tutto il giorno nella loro direzione. Al Quirinale sono saliti Enrico Letta e i due capogruppo.
• Spaccature? Scissioni?
No, a parte la fine prossima dell’alleanza con Vendola. Vendola – dimentico del fatto che Sel è entrato in Parlamento grazie all’apparentamento con il Pd, dato che alle elezioni il partito non ha superato la soglia di sbarramento del 2% ed è stato recuperato solo perché «miglior perdente» della coalizione – ha detto a Napolitano un bel «no a qualsiasi esecutivo che abbia un blocco berlusconiano al suo interno. Nemmeno un esecutivo con Matteo Renzi potrà farci accettare il Pdl al governo». Il divorzio con Sinistra e Libertà sarà formalizzato al momento del voto di fiducia. Per il resto, durante la direzione del Pd non si sono registrate pulsioni scissioniste, ma, anche qui, bisognerà aspettare il voto di fiducia: a regola, chi non voterà la fiducia al prossimo governo dovrebbe essere automaticamente fuori dal partito.
• Non si potrebbe sostenere che in definitiva si tratta di un governo del presidente, cioè proprio di Napolitano?
È quello che ha spiegato Bersani nel suo intervento. L’ex segretario del Pd ha aperto la direzione democratica confermando le proprie dimissioni. «Molti dei nostri grandi elettori sono venuti meno a decisioni formali collettive in un momento cruciale. Siamo stati sull’orlo di una crisi gravissima e senza precedenti. Qualcuno pensa che se ci sono degli irresponsabili, la responsabilità è del responsabile, cioè io. E voi capite che con tutta la buona volontà, non posso accettare una cosa del genere».
• Ma che hanno detto poi? Voteranno a favore di un governo con dentro anche ministri berlusconiani oppure no?
Bersani ha detto: «Ci vuole una ragionata disponibilità a ricercare tutti insieme una soluzione». La direzione si è poi conclusa con un documento in cui si dà «esplicito e pieno sostegno al tentativo del presidente Napolitano di dar vita a un governo». Nella discussione, Orfini – che non è un renziano, ma l’altra sera aveva proposto l’incarico a Renzi – non ha ripetuto la sua idea, di cui s’è impadronito invece Umberto Ranieri («Sarebbe una scelta coraggiosa, risponderebbe alla domanda diffusa nel Paese di un profondo cambiamento»). Il discorso più chiaro è stato quello di Franceschini. «Siamo al bivio e in fondo al bivio c’è una scelta riformista di governo e una scelta movimentista. La scelta relativa al governo col Pdl noi la dobbiamo fare. Facciamoci anche carico dell’impopolarità di una scelta che poi spiegheremo. Oppure andiamo dritti a elezioni e con questa legge elettorale rischiamo di trovarci di fronte a un altro bivio in una posizione di minoranza. Dobbiamo dire sì al presidente della Repubblica e non ni». La Finocchiaro ha aggiunto: «Nel governo il Pd deve metterci la faccia», che farebbe pensare a una pressione democratica per un incarico a Letta, ipotesi che la Bindi aveva avversato. La Bindi s’è espressa invece su Renzi: «Renzi è più utile al partito che al governo». Tutto sommato potremmo riassumere la direzione così: un certo grado generale di depressione, quello tipico di chi si rialza da un kappaò. Però meno divisioni di quanto si poteva temere.
• Possibile che Renzi, sulla candidatura a se stesso, non abbia detto niente?
«È l’ipotesi più sorprendente e meno probabile, non credo sia sul tappeto». Ieri sera un incarico al sindaco di Firenze pareva davvero poco probabile.
• Che hanno detto tutti gli altri durante le consultazioni?
Quello che ci si poteva aspettare. Berlusconi: «Aspettiamo che il presidente decida a chi affidare l’incarico e daremo il sostegno al candidato che sarà in campo». Stessi discorsi da parte di quelli di Scelta civica («siamo per un governo stabile che faccia le riforme chieste dal capo dello Stato»). La Lega resterà all’opposizione, come Sel, Fratelli d’Italia e Movimento 5 Stelle. La Lombardi ha detto: «Siamo l’unica opposizione di questo paese, ma non saremo contrari per principio ai provvedimenti del governo: valuteremo caso per caso». C’è anche da segnalare l’euforia della Borsa: Piazza Affari ha segnato un +2,93%, con lo spread sceso fino a 265 e i titoli delle banche in grande spolvero.
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