Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Napolitano ha pronunciato un grande discorso, ma i partiti sapranno mettersi all’altezza?
• Perché, che cosa ha detto il presidente ai partiti?
«Quanto è accaduto qui nei giorni scorsi ha rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità. Negli ultimi anni, a esigenze fondate e domande pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento della politica» i partiti hanno risposto facendo «prevalere, invece, contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi. Ho il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese». Questo discorso durissimo alle forze politiche e ai loro rappresentanti si è però accompagnato a una difesa strenua della forma-partito come fondamento della democrazia e a una critica dell’illusione che la Rete, sede di una pretesa democrazia diretta, possa surrogarli.
• Un attacco diretto a Grillo?
Stia a sentire: «La Rete fornisce accessi preziosi alla politica, inedite possibilità individuali di espressione e di intervento politico e anche stimoli all’aggregazione e manifestazione di consensi e di dissensi. Ma non c’è partecipazione realmente democratica, rappresentativa ed efficace alla formazione delle decisioni pubbliche senza il tramite di partiti capaci di rinnovarsi o di movimenti politici organizzati, tutti comunque da vincolare all’imperativo costituzionale del “metodo democratico”». Il riferimento al Movimento 5 Stelle era esplicito: «Apprezzo l’impegno con cui il movimento largamente premiato dal corpo elettorale come nuovo attore politico-parlamentare ha mostrato di volersi impegnare alla Camera e al Senato, guadagnandovi il peso e l’influenza che gli spetta: quella è la strada di una feconda, anche se aspra, dialettica democratica e non quella, avventurosa e deviante, della contrapposizione tra piazza e Parlamento». I grillini non hanno accolto bene questo rabbuffo: si sono alzati in piedi, ma non hanno applaudito mai – il discorso è stato interrotto molte volte dall’approvazione di deputati, senatori e rappresentanti regionali – e, dopo, hanno scelto la tattica del silenzio stampa. La televisione, mostrando il modo con cui hanno contestato singoli politici come Fassina o, addirittura mentre stava al ristorante, Franceschini, ne ha svelato la componente torva o livida, che deve aver spaventato lo stesso Grillo, fuggito sabato da Roma e tornato a rifugiarsi, senza rinunciare ai toni pesanti, nel suo blog.
• Siamo entrati subito nel mezzo delle cose e non abbiamo avvertito il lettore che ci stiamo occupando del discorso di insediamento del presidente della Repubblica rieletto, discorso che ha pronunciato alla Camera ieri pomeriggio alle 17 davanti ai suoi grandi elettori.
Sì, il mondo si interroga su chi sarà nominato presidente del Consiglio (Amato, Letta, ma forse addirittura Matteo Renzi) e su quale accordo politico reggerà l’esecutivo. Napolitano ha detto chiaramente che, intanto, per quanto lo riguarda, il governo dovrà obbedire a una sola condizione, quella di avere la fiducia delle due camere. E, relativamente alla maggioranza, dopo aver invitato tutti a non correre «dietro alle formule o alle definizioni di cui si chiacchiera», ha richiamato alla necessità di «fare i conti con la realtà delle forze in campo». «Non c’è partito o coalizione (omogenea o presunta tale) che abbia chiesto voti per governare e ne abbia avuti a sufficienza per poterlo fare con le sole sue forze Non si possono non fare i conti con i risultati complessivi delle elezioni. Essi indicano tassativamente la necessità di intese tra forze diverse».
• L’inciucio...
«Il fatto che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse, è segno di una regressione, di un diffondersi dell’idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche».
• E il partito democratico?
Non trova pace. Matteo Orfini ha già detto che non voterà mai un governo senza quelli di cinquestelle. I renziani e gli altri gli dànno addosso. Oggi si riunisce la direzione democratica, dove si dovrà decidere non solo chi salirà al Quirinale per le consultazioni che cominciano oggi, ma, soprattutto, se continuare a far vivere un solo partito o rassegnarsi al divorzio tra quelli che sono disposti a dialogare col centro-destra e gli altri.
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