Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Potremmo quasi scrivere lo stesso pezzo di ieri: i rivoltosi sono alle porte di Tripoli, Gheddafi è asserragliato nella sua residenza di Bal-al-Aziziya, mancano poche ore, o pochi giorni, alla capitolazione finale, i massacri continuano, eccetera eccetera. Ci sono però alcune novità e, soprattutto, c’è un pensiero.
• Quale pensiero?
Ma in che misura tutto quello che abbiamo riferito in questi giorni è vero? Prendiamo i diecimila morti e i massacri. Sono stati denunciati dalle televisioni satellitari e rilanciati da agenzie che si trovano fuori dalla Libia e sono nemiche di Gheddafi. Tuttavia, se dobbiamo stare alle immagini – foto e video – questi massacri, questi cumuli di cadaveri non si sono visti. Come mai? Ogni volta che c’è una rivoluzione, fotoreporters e cameramen indugiano anche troppo sulle crudeltà, le sevizie e il sangue, e nelle redazioni c’è in genere l’imbarazzo di scegliere che cosa non far vedere per non disgustare il pubblico. Ma stavolta non è arrivato niente, a parte resoconti drammatici ma solo verbali. Ieri nel suo tg Enrico Mentana, facendo lo stesso ragionamento, ha concluso che «diecimila morti sicuramente non ci sono». Il video dell’altro giorno, che mostrava fosse scavate nella sabbia a pochi metri dal mare, mostravano in realtà un normale cimitero e gli uomini che vi si affacendavano intorno erano becchini o parenti dediti alla custodia dei loro cari. Tombe qualunque, filmate in un giorno qualunque e che però tutto il mondo ha guardato con orrore indotto a credere che si trattasse di fosse comuni approntate in tutta fretta per dare sepoltura alle migliaia di ammazzati impossibili da sistemare altrimenti. È dunque in atto, mentre si svolge la rivoluzione contro il colonnello (che, a scanso di equivoci, resta un capo sanguinario come pochi), un’ampia opera di disinformazione nella quale siamo caduti e cadiamo quotidianamente tutti quanti, dato che ci è impossibile controllare quello che ci viene raccontato.
• Chi farebbe quest’opera di disinformazione?
Ieri mattina è improvvisamente apparso in Internet un video in cui si vede la foto di al Zawahiri, un barbone che è fa il numero due di Bin Laden. La sua voce invita a non colpire moschee o mercati o vittime innocenti quando si mette in atto un attacco terroristico. La Libia e Gheddafi non sono mai stati nominati, ma a un certo punto lo sceicco ha pronunciato queste parole: «Se non siamo in grado di produrre armi simili a quelle dei Crociati in Occidente, possiamo sabotare i loro sistemi economici e industriali e prosciugare i loro poteri che si battono senza causa, fino a metterli in fuga». Beh, la caduta di Gheddafi mette l’Occidente in qualche guaio, senza dubbio. Il colonnello ha intrecciato i suoi affari con tutto l’Occidente, la storia del baciamano di Berlusconi – tanto per parlare dei casi nostri – fa il paio con la corsa di D’Alema alla tenda del rais, quando Gheddafi si permise di disertare l’appuntamento con la Camera. Del resto Gheddafi è sempre stato nemico di al Qaeda, e adesso grida infatti che dietro tutto c’è la mano di al Qaeda. Perché non dovremmo credergli, almeno un poco? Non è una fonte peggiore delle altre. Le due tv satellitari che ci hanno informato in questi giorni – al Arabiya e al Jazeera – sono quelle a cui talebani e qaedisti hanno sempre passato i loro messaggi e i loro video con le decapitazioni.
• Non dobbiamo neanche credere che sia in corso, laggiù, una guerra civile?
No, la guerra c’è. Ieri Gheddafi s’è fatto vedere addirittura sulla Piazza Verde, per rassicurare i suoi: «Sono sempre al mio posto, e combatterò fino alla morte». Messaggi identici dai figli. Forse i diecimila morti non ci sono, ma una furibonda guerra di comunicati è comunque in corso. È pure strano che, avendolo a portata di mirino, nessuno gli abbia sparato. Questo intrico, su cui i potenti ne sanno certamente più di noi, spiega l’esitazione con cui i cosiddetti Grandi si sono schierati dalla parte della rivoluzione. Solo, ieri, a quanto pare, ci si sarebbe decisi a preparare un pacchetto di sanzioni. Non so quanto dolorose, però, a questo punto.
• Per esempio?
Divieto di vendere armi alla Libia, divieto di dare ospitalità a Gheddafi o ai suoi familiari, congelamento dei beni del colonnello, che ha a Londra, a quanto pare, una fortuna in fondi per miliardi di sterline, più una casa che vale più di dieci milioni di sterline nel quartiere esclusivo di Hampstead.
• E le partecipazioni italiane?
Già, per esempio il 7% di Unicredit o la quota in Eni o in Finmeccanica. Dove le avrà depositate? E, se dovesse cadere, chi si presenterà al suo posto per reclamare i dividendi? [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 26/2/2011]
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